Io, secondo pilota del “Dart”
di Guido Buriassi
Quando Alfredo Micheletti mi ha chiesto se volevo fargli da navigatore sul “Dart” mi sono sentito abbastanza imbarazzato. Conoscevo un po’ tutto di questa incredibile barca perchè sia Giorgio Adreani che “Sonny” Levi mi onorano della loro amicizia.
Sapevo delle velocità eccezionali che lo scafo poteva toccare grazie alla poderosa spinta dei due Montreal Autodelta. Sapevo delle difficoltà che una barca così sperimentale andava via via incontrando e che Levi e l’ing. Chiti andavano via via risolvendo. Ma sapevo anche e soprattutto che mai al mondo era stata messa assieme una macchina da corsa di quel genere.
Mi affascinava l’idea d’entrare a far parte di questo “gioco”.
Esperienza nel campo delle gare offshore un pò ne avevo. Fra gli scafi diesel, un paio d’anni fa mi ero comportato bene e per due anni di seguito ho vinto il Delfino d’Argento a Les Embiez. Però si trattava pur sempre di barche con velocità di punta superiori appena ai 40 nodi. E qui, per il “Dart”, la velocità di progetto era addirittura doppia…
In più sulle mie barche precedenti ero abituato ad avere io in mano sia il gas che il volante. Le rare volte che avevo ceduto i comandi ad Ivano Giovanelli (mio secondo in tutte le gare) o ad Antonio Soccol dormivo fra due guanciali perchè era gente che veniva in barca con me da sempre e sapevo di potermi fidare. Inoltre quelle barche consentivano al navigatore di stare affianco al pilota e di intervenire rapidamente in qualsiasi situazione.
Ma sul “Dart” come sarebbe andata? Seduto là, dietro alla schiena di Micheletti, senza quasi poter vedere altro che il suo casco, senza poter comunicare con lui che tramite il classico cazzotto in testa (segnale di massimo allarme), senza poter prevedere l’arrivo di un’onda o l’inizio di un volo?
L’esperienza acquisita sarebbe servita a poco. Sul “Dart” il secondo ha funzioni e compiti ben diversi da quelli del secondo di qualsiasi altra barca. C’è un pannello strumenti per controllare i Montreal Autodelta da far invidia a quello di un Concorde, ci sono casse di zavorra da manovrare con la sensibilità di un bisturi perchè possono modificare spaventosamente l’assetto della barca. E c’è una bussola. Qui mi ha aiutato la mia esperienza di pilota d’aereo. Si dice navigazione cieca: e si pensa all’impossibilità di vedere ciò che c’è fuori dalla carlinga.
Sul “Dart” vedevo solo un casco al contenuto del quale (il cervello del Micheletti) avrei dovuto, per telepatia, dare suggerimenti di rotta. Mi sono posto tutti questi problemi prima di dire sì.
Dire che il “Dart” era definitivamente a punto sarebbe grossa bugia. C’erano però condizioni di navigazione (ed erano già il 70 per cento dei casi) in cui non conosceva rivali al punto da poter tranquillamente ridicolizzare ogni più veloce avversario. Ma Levi garantiva che si poteva avere di più da quello scafo e noi ne eravamo convinti. Forse, se ci fossimo accontentati di vincere semplicemente non avremmo, nelle prove, tirato oltre ogni limite logico.
S’è detto che a Viareggio il “Dart” s’è infilato nelle onde a velocità ridicola e s’è scritto che ne è uscito distrutto. Bene: posso garantire che chi ha detto la prima affermazione (un noto pilota offshore) sul mare, alla velocità alla quale il Dart s’è perso il portellone coprimotori ed un po’ di sovrastrutture, non c’è mai andato nemmeno in sogno.
Quanto alla famosa “disintegrazione”, le foto possono ben testimoniare la reale entità dei danni. E se la memoria non mi tradisce nel 1971 di coperte sfasciate a Viareggio se ne son viste più di una e molto più malconce di quello dello scafo costruito da Giorgio Adreani.
Articolo apparso su “Mondo sommerso” di ottobre 1973. – Tutti i diritti riservati. Note Legali
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Carissimo Antonio,
scusami dell’ “accusa” ingiusta (che poi accusa non era) sull’incidente della VBV ’74. Sarebbe bastato che avessi allungato il braccio sinistro verso la cartella “1970-1979” la avessi aperta e cercato quella copertina e relativo articolo per dire le cose giuste invece di affidarmi alla mia mente che è notorio fa acqua da tutte le parti peggio di una zattera in pieno Capo Horn…
Quanto a Maccanti e Cecchi dell’Indiana (mitizzata da mio cognato su cui ci aveva lavorato ad allestirla nel 1973 suo ultimo anno di lavoro ai Cantieri San Lorenzo di Viareggio) non era un equipaggio-fulmine nè tantomeno la barca fu una “milestone” nella storia dell’Offshore. Il loro gesto, di esporre denuncia nei confronti del natante-pasdaran, non fece che aggravare la loro figuraccia etico-sportiva.
C’erano e qui rispondo a Mirco, anche nell’Offshore epico personaggi quantomeno discutibili, ma questo accadeva e purtroppo accade ancora anche in altre discipline sportive di tutte le risme, fa parte di questo mondo ahimè.
Quanto all’Arcidiavolo II i colori rosso e nero mi pare di vederli come principali anche se si notano anche sia la sfumatura verso l’arancione e le bande tricolori… anche qui mi sono andato a memoria e però non credo di non aver toppato alla grande.
Mentre chiedo venia per il discorso “sedili”, che invece erano spalliere e sull’esatta collocazione del cockpit in tandem… l’elica è assai dietro.
Tornando alla VBV del ’74 la vostra fu veramente una gara bella e peccato che non siete riusciti a terminarla. Citi Bonomi dietro a voi; pare che all’arrivo il Dott. Carlo Campanini-Bonomi abbia imprecato come un forsennato dopo aver saputo che l’odiato burino romano De Angelis gli aveva soffiato la gara(in realtà fra i due c’era l’altro romano Balestrieri che fu autore di una partenza al fulmicotone-come se in Offshore fosse importante partire come in F1. sic!). Disse fra i dent i (più o meno) se proprio quel giorno quel rompi-motori di palazzinaro doveva essere assistito da San V8!
Parola di Richie Powers che allora “smanettava” i Dry Martini.
L’antipatia di Jean Claude Simon, progettista francese cresciuto nello studio di Caliari e poi “fuggito” in Usa per disegnare i suoi scopiazzamenti a destra e a manca,è proverbiale. Anche negli States pare non goda di simpatie particolari.
Il povero Halpern invece fu centrato da un semi-novellino che poi divenne un mito in Usa;Al Copeland.
Re dei polli fritti (mannaggia quanto poco ci vuole per far soldi, tanti soldi!) Al Copeland si cimentò nella massima classe, la Open 1, senza successo e con quella brutta storia nella prima gara della stagione APBA, il campionato nazionale Usa, del 1981.
Visti gli scarsi risultati si inventò una nuova classe, la Superboat, dove forse sperava di correre da solo e così vincere. Invece trovò qualche seguace che per anni gli fece pure le scarpe. Dopo mille tentativi e barche dove a bordo non mancava il frigo bar e l’impianto stereo oltre alle poltrone in pelle umana, alla fine cominciò a vincere.
E pensare che in USA tutti si ricordano di lui e non di altri che hanno nel frattempo hanno vinto anche veri titoli mondiali. Da pochi mesi non è più fra noi, che riposi in pace.
La sua storia sportiva mi ricorda molto quella di un italiano che a cavallo degli anni ottanta-novanta solcò le acque del mondo con mille barche e soluzioni motoristiche senza però mai ottenere alcun risultato degno di nota se non una vittoria nella gara finale a Key West nel 1987 battendo una flotta agguerrita di catamarani americani e non con il suo primo monocarena al suo primo anno di gare: Edoardo Polli.
Cari Saluti Antonio e Mirco e un “Sorrisone” dal mio Valerio!
Marco
Premetto che sono un appassionato di barche e di tecnica in generale e non di off-shore (nello specifico) e meno male visto che tipo di concorrenti frequentavano questo mondo i quei anni… ma la sportività e un minimo di senso civico dove stavano ???
Mi piacerebbe sapere e vedere in faccia questi campioni (in senso negativo) Maccanti e Cecchi…. vent’anni fà avevo un professore che si chiamava Maccanti ed era una vera testina di vitello che siano mai parenti ????
Un affettuoso saluto a chi ha praticato invece l’offshore all’insegna della passione e della leale sportività.
Carissimo Marco,
eh, no! “Timore reverenziale sconfitto” va benissimo ma… non cambiamo la storia!
Nel 1974, alla VBV, “Arcidiavolo” non fu “protagonista” dell’incidente che tu ricordi. Ne fu solo “testimone”. Ad investire di fiancata quel temerario e incosciente che si era messo con il suo gommoncino da spiaggia (e con moglie e i figli) proprio sulla rotta della gara, fu infatti lo scafo “Indiana” che era ingarellato (senza speranza ma ancora non lo sapeva) con noi (Tognelli ed io) e che, pur di non mollare il gas, rischiò di provocare una tragedia.
“Arcidiavolo” aveva visto il gommone e lo aveva lasciato a dritta, largamente al di fuori di qualsiasi possibile (nostra) rotta di collisione. Cosa sia, invece, successo a bordo di “Indiana” non so: forse lo hanno visto troppo tardi, forse (avendo la barca una trasmissione con i piedi poppieri) pensavano di evitarlo all’ultimo momento con una manovra “calcolata”… Difficile dirlo.
Di certo un fatto fu molto grave da parte di quell’equipaggio: non si fermò a valutare i danni provocati né a prestare eventuali soccorsi. Una cosa inammissibile. A terra, sempre. In mare ancor di più.
Ricordo che scrissi un articoletto su “Mondo sommerso” a questo proposito. Te l’ho cercato e te lo riproduco in coda, mentre la documentazione fotografica del tutto venne pubblicata in copertina della stessa rivista. Guido Alberto Rossi, grande fotografo, aveva scattato tutto dall’aereo ma quasi senza vedere: “Ho capito quello che avevo fotografato e ciò che era successo, solo dopo aver sviluppato i film”, mi raccontò quando portò in redazione le due diapositive in sequenza che Furio Lettich, allora direttore della testata, impose in cover.
Fu una splendida gara quella, per noi di “Arcidiavolo”. Primi (di classe) al Tino, primi al passaggio a Viareggio, primi a Bastia (incrociammo il secondo, che era l’indomabile Salvo Grande in coppia con Guerrini, sulla via del ritorno verso la Versilia, dopo 20 minuti…), primi in Capraia e poi, a poche miglia dalla barca boa della Gorgona… bang! Si spezzò di netto la barra d’acciaio che reggeva la pala del timone. La barca, spinta dall’effetto di coppia dell’elica, fece – girando sul culo- una rotazione completa di 360°, con la poppa sollevò una montagna d’acqua che salì in cielo e poi ci si rovesciò addosso a mo’ di doccia, proprio mentre Giorgio Tognelli stava urlando: “Ma che cazzo è successo?”. “Abbiamo perso il timone”, gli dissi sicuro, asciugandomi in qualche modo. “Impossibile”, garantì.
Mi tolsi la tuta ignifuga e mi tuffai in mare: la pala del timone non c’era più! Ma Giorgio era uno di quelli che non mollano mai: “Prendi la pagaia e cerca di timonare…”. Purtroppo, controllare con uno stuzzicadenti di legno quanto aveva già “sbregato” un asse d’acciaio da 25 mm., era impresa umanamente e tecnicamente… impossibile.
Finimmo al rimorchio di una CP mentre pian piano passavano in sfilata tutti quelli della classe 2 (e qualcuno della classe 1: Bonomi, tanto per fare un nome a caso): Salvo Grande (media finale 41,40 nodi), GB Frare, Emilio Mangini, Giulio Torroni. “Indiana” era l’ultimo (fece registrare una media di 26,216 nodi). Dissero (Cecchi e Maccanti che lo pilotavano) che erano andati piano perché nell’incidente con il gommone avevano perso un flap… Bah.
Proprio in occasione di quella gara, al sabato precedente, avevo scoperto Don Aronow che, infilato sotto agli scarponi di “Arcidiavolo”, ne studiava la carena: “Something quite new”, mi disse. Già.
Per quanto concerne “Shot”, era gemello di “Arcidiavolo” (stesse dimensioni, stessa carena, stesso motore, stessa trasmissione). Era nato per una “sfida” fra Carlo Sereno, allora titolare della Stain, e il suo caro amico Giorgio Tognelli. “Se questa barca la facciamo in alluminio, pesa di meno e guadagni una bella manciata di nodi in velocità,”, aveva detto e, d’accordo con Levi, aveva studiato il piano dei ferri e l’aveva costruita. La portò alla VBV del 1976. Come sempre riuscimmo a provarla appena nel pomeriggio precedente la gara…
Tognelli era molto incerto se usare quella in legno che, scusami, non era affatto nera e rossa, ma multicolore; e i “sedili sopra all’elica” non erano né sedili -stavamo in piedi al punto che l’acceleratore era a pedale!- e, tanto meno stavano sopra all’elica, visto che dietro a me, secondo pilota con posti in tandem, c’era sia il motore che, anche, un serbatoio supplementare di benzina che usavamo solo nelle gare più lunghe (guardati le foto a https://www.altomareblu.com/arcidiavolo/ ). Oppure se tentare la fortuna con questo scafo nuovo, il cui vero nome era “Hot shot”, poi abbreviato a “Shot”. Il mio caro amico e primo pilota decise a pochi minuti dal via e scelse la “tradizione” e io naturalmente lo seguii. Piloti di “Shot” furono così Giorgio Acquaviva e Quinto Mussoni: entrambi erano i due effettivi costruttori … di “Arcidiavolo” in legno!
Non ebbero molta fortuna: dopo una trentina di miglia il “mancione” dell’asse porta elica si svitò dall’asse stesso che finì a mare. Uno straccio bloccò la via d’acqua e la barca si salvò. Anni dopo, Fausto Atzori, che nel frattempo aveva acquistato la Stain, la tagliò e modificò per realizzare una sorta di mini prototipo di un “ses”. Uno spreco inutile, ma la “ricerca” lo contempla, purtroppo. Almeno, così si dice,no?
Nella VBV di quell’anno, parlo ancora del ‘76, “Arcidiavolo” spaccò, invece , il motore Aeromarine… e rientrò al traino di una CP (era una Barnett) il cui comandante …bah, lasciamo perdere, è acqua passata.
Quanto al Cobra 38’ “Beep Beep” di Joel Halpern , ricordo soprattutto l’antipatia di Jean Claude Simon che si credeva chissà chi… Halpern, purtroppo è poi morto negli anni Ottanta proprio per un incidente in gara.
Un caro saluto a te e un “buffetto” a Valerio. Mi spiace per lui: quel “offshore”, il nostro, lui non potrà vederlo mai. Nemmeno dalla riva del Lido.
Antonio
“COMUNQUE” IL PIÙ VELOCE POSSIBILE?
Viareggio, domenica 21 luglio 1974, ore 10: dalla zona antistante il porto scattano 14 bolidi ruggenti. E’ la partenza della Viareggio-Bastia-Viareggio, la più prestigiosa gara offshore in programma nel Mediterraneo. Prudenza consiglierebbe un avvio non troppo veloce, ma in gara lo spirito agonistico impone l’andar comunque il più veloce possibile. Comunque? Anche a danno dell’incolumità propria ed altrui?Questa è la domanda che ci si pone osservando i fotocolor di Guido A. Rossi pubblicati in copertina di questo numero di “Mondo sommerso”.
Poco prima del via, un gommone di piccole dimensioni si stacca dalla spiaggia e, forse ignorando le disposizioni della capitaneria di porto che proibiscono la navigazione per un tratto di un chilometro davanti alla linea di partenza, si mette nel bel mezzo della rotta degli scafi.
Mamma, papà e due bambini guardano affascinati il Cigarette di Balestrieri: “Guarda, eccone un altro tutto bianco e celeste, uhu, com’è passato vicino e, guarda di qua questo com’è strano con quei due scarponi bianchi e rossi, si chiama Arcidiavolo”. Forse è in quel momento che il padre capisce la pazzia che ha fatto e rimane paralizzato quando s’accorge che una barca tutta rossa sta piombando addosso al suo gommone. E’ l’Indiana di Maccanti e Gianfranco Cecchi.
Un urlo, una botta tremenda, poi solo la scia dell’imbarcazione che si allontana veloce, la fugace apparizione di due teste che guardano, inespressive sotto i caschi e le visiere. Un taglietto di pochi centimetri su un polso, una strisciata di vernice antivegetativa sulla schiena, una zuccata. Tutti qua i danni subiti. Quando si dice fortuna.
Maccanti e Cecchi hanno sporto denuncia per danni contro i proprietari del gommone perché nell’urto l’Indiana ha perso un flap. In qualsiasi paese, non diciamo marino, ma semplicemente civile, se una barca investe un’altra e non si ferma, si provvede a squalificarla e a ritirare la patente al suo equipaggio. (A.S.)
Da “Mondo sommerso”, agosto-settembre 1974
Ciao Antonio!
Timore reverenziale sconfitto! Ma sai com’è cominci da ragazzino creandoti dei miti che poi nel subcoscio un pò rimangono anche se si cresce. Ma è bene poi crescere tanto? Per me no. Amo ammirare i miei quadri di barche offshore più o meno come ammiravo i miei poster appiccicati in camera con lo scotch. E gli ammiro mentre cullo il mio ultimo nato Valerio di 6 mesi…
Vabbè stasera scrivo ad un ora accettabile queste poche righe per dirti che comunque hai ragione perfettamente quando di che non solo le coppe sono importanti ma anche certe soddisfazioni che uno si prende seguendo vie che nessuno si sognerebbe di affrontare.
Mi ricordo bene del vostro bianco e rosso Arcidiavolo nel 73-74 (in quest’ultimo anno tu e Tognelli foste anche protagonisti involontari di una collisione in partenza dell VBV con dei cretini che con un gommone si gongolavano bel belli in mezzo allo specchio d’acqua del via. Andò bene per fortuna. Ricordi?
E di quella barca, che dalla spiaggia del Lido si riconosceva fra tutte per quell’enorme scia bianca, io e il mio amico Nicola favoleggiavamo mille imprese possibili e impossibili. Era un mito. Già dal suo nome.
Poi venne quello più “magro” il rosso e nero con quei sedilini praticamente in acqua seduti sull’elica.
E’ quello dei risultati più eclatanti,forse culminati con il record mondiale di velocità per la Classe 2 o meglio OP2 come si diceva allora.
Poi c’era il fantasma Shot che credo fosse gemello del vostro…in argento? Dico fantasma perchè credo di averlo visto una sola volta a Viareggio nel ’76 se non sbaglio,in una delle più belle edizioni della VBV che ho visto,dove nonostante la crisi petrolifera che aveva decimato le partecipazioni alle gare in tutto il mondo riuscì ad avere un bel nutrito gruppo di barche al via,con due americani (Gentry, che vinse il mondiale con il 35′ e Halpern allora sconosciuto a tutti con una barca dalle linee insolite per gli americani dai disegni di Miller e Saccenti ma con la coperta di Caliari copiata da Simon),poi c’erano due inglesi e diversi italiani. A vincere fu De Angelis con l’ex barca di Balestrieri che si era ritirato definitivamente dalle competizioni dopo la VBV del ’75 e che dette una mazzata al Gentry con il nuovo fiammante 35′ ed iper organizzazione come solo gli yankee sanno fare.
Tornando allo Shot che se non ricordo male era del titolare della Stain che costruì i due tri (Fausto Atzori?) e che corse talmente poco che io non possiedo neanche un immagine.
E come al solito mi lascio trasportare e scrivo e scrivo… ok basta sennò divento “palloso” come si dice a Viareggio.
Cerca di scrivere un pò più di vecchio Offshore su Barche. Anzi perchè non cominci a farne una serie a puntate sulla storia italiana della Motonautica d’Altura e della Classe 2?
Il materiale non ti dovrebbe mancare.
Salutoni!
Marco
Caro Marco e, con l’occasione, anche caro Mirco ex-Miura,
prima di tutto grazie per i vostri contributi. Questi dialoghi che comportano ricordi, testimonianze e -naturalmente- opinioni sono non solo piacevoli ma anche fondamentali. Siamo tutti “cronisti” della nostra vita e del nostro tempo. Giornalisti, insomma.
In realtà non pensavo di rispondere a questi vostri ultimi “commenti” perché sono sempre stato un feroce sostenitore del principio che, assolutamente, non deve esser chi sta “dietro al banco” (redazione) ad avere l’ultima parola. Chi scrive dice la sua e chi risponde anche. Punto e fine. A meno che, è ovvio, non vi siano domande specifiche cui rispondere o equivoci da chiarire.
In questo caso però mi sembra doveroso ringraziarvi per l’attenzione con cui ci seguite. Premia il nostro impegno (molto notturno).
Quanto a Marco che dice di avere un certo “timore reverenziale” nei miei confronti, vorrei ricordargli che se mi legge da circa 30 anni non deve più esser un “bambino”. Uno di quelli che mangio tutte le mattine a colazione, intendo… quindi: niente paura!
Scherzi a parte. Per favore: non mettermi in imbarazzo. I lettori sono per principio miei amici, anche (e, talvolta, “soprattutto”) quando non condividono le mie idee.
Per quanto concerne le gare: io le ho sempre vissute come banco di prova per le barche. Certo, non mi dispiaceva vincere perché è quel desiderio quello che ti porta a trovare i veri limiti estremi del mezzo che stai collaudando. Ma, valutando tutto, mi interessava più di tutto “capire” se una linea di ricerca era valida o meno.
Questo sentimento, condiviso per mia fortuna anche da Giorgio Tognelli, ha fatto sì che “Arcidiavolo” sia vissuto a livello sperimentale per ben quattro anni, sino al successo.
Sai, una cosa? Dopo dieci anni di gare offshore, io ho in bacheca una sola “coppa”: me la regalò Tognelli dopo che “Arcidiavolo” aveva fatto il record mondiale. Non sfottermi dicendo che altre coppe non ne ho vinte: non è affatto vero. Sul podio ci sono stato più volte. Ma una gara in mare aperto non si può riassummere con una coppa… Una carena “nuova”, sì.
Per quanto concerne il tuo lavoro notturno e le conseguenze della stanchezza: non preoccuparti per la forma. La sostanza era chiara. E, inoltre, tranquillo: tutti noi abbiamo lo stesso problema…visto che chi lavora a questo blog lo fa (gratuitamente) dalle 21 all’alba!
Chi è che cantava: “Ah, l’amore…, quante cose fa fare l’amore…” La Vanoni, mi pare. Beh, la passione per il mare è un amore, no?
Un caro saluto a entrambi,
Antonio
Ieri notte ho finito di scrivere la risposta sopra che erano le 2 e non ho avuto la forza di rileggerla per quanto ero stanco e sopraffatto dal caldo e dal sonno.
Oggi rileggendomi mi vergogno un pò per la marea di errori grammaticali, dubitando che qualcuno sia riuscito nell’impresa di capire qualcosa di cosa ho scritto.
Me ne scuso con tutti e con Soccol a cui replicavo.
Marco
Caro Soccol,
anzi vorrei dire Antonio ma ho un certo timore riverenziale per chi leggo da oltre trent’anni i suoi interessanti articoli su quell’offshore,anzi Offshore che mi appassiona da quando ero un tredicenne.
Dico Offshore per distinguerlo dall’offshore(anche se questo termine ormai è desueto)di questi ultimi 15 anni.
Cosa stava dietro la parola Offshore? In Italiano Altura e qui penso ci troviamo tutti d’accordo. Un pò meno d’accordo poi su come affrontare questa altura;c’è chi preferisce pensare solo alla velocità pura e un pò fine a se stessa e chi preferisce accettare dei compromessi,diciamo ad alto livello.
Mi spiego meglio venendo subito al sodo; stelle e striscie mastica chewingum e spocchiosità,stampati di vetroresina senza aneme e’core Cigarette 36′ da 130 mph contro concentrati assoluti di linea,velocità e originalità e velocità da capogiro…
L’Offshore,l’Altura non offre piste da F1; sempre le stesse ogni curva da imparare a memoria in poco tempo,rettilinei dove l’unico nemico è un pò di vento contrario.
Soccol tu lo sai meglio di me perchè hai corso,in Offshore si parte con un mare “pressochè” calmo o piatto e poi si comincia dapprima a saltellare e poi si vola e non certo per la velocità e poi verso l’arrivo un pò di fastidiosa onda lunga di poppa. Lasciamo perdere la variabile dei problemi meccanici e di quelli che saliti a bordo si vedono i resti del fritto misto della sera prima sparati dritti verso la strumentazione o nella peggiore delle ipotesi contro la parte interna della loro visiera.
Si può essere veloci a Sarnico come sul Lago X degli yankee o lungo le coste ma poi?
I Cigarette, come i Bertram o gli Shead, Enfield o CUV che si voglia vincevano le gare i 36′ facevano di più vincevano più di tutti gli altri,detenevano i record sul percorso spesso battuti solo dopo decenni e soprattutto quando il gioco si faceva duro non hanno mai conosciuto rivali degni di tale nome. Basti pensare che il successivo 35′ non più largo ai fianchi e più leggero(roba da fitness!)e che gli yankee tanto osannano tutt’ora, nelle rare occasioni in cui si trovarono ad affrontare mare duro e vecchi 36’nella stessa gara hanno rimediato sconfitte dal loro “grassone”(VBV 1976-77 per esempio).
A me non stava molto simpatico Bonomi però le sue considerazioni sul 36′ rilasciate nell’intervista che mi hai gentilmente allegata e che non conoscevo mi trovano perfettamente d’accordo. E quelle sono parole uscite da un pilota Offshore due volte Campione del Mondo non da uno abituato a vedere le gare da un molo.
Credo comunque che le nostre considerazioni porterebbero ad interminabili discussioni su chi ha torto e chi ha ragione e finiremmo ognuno arroccato sulle proprie filosofie.
Se restiamo nella filosofia.
Se,come in tutti gli sport e non solo si guardano i risultati però……quante gare fatte? Quante finite? E con quali risultati? ecc. ecc.
Mi potrai dire; mancarono i soldi per far sviluppo e ricerca e far si che barche come il Dart fossero poi costruiti in serie come dei Cigarette.
E’ innegabile che lo sviluppo delle trasmissioni di superfice hanno portato nei decenni molto lontano nello sviluppo delle barche da competizione come in quelle da diporto.Merito di barche come gli Arcidiavolo e lo stesso Dart. Altro che esterofilia!
I piedi poppieri o stern drives all’americana non sono merito di Wynne o Volvo ne tantomeno di Mercury.
Un certo ing. Guido Cattaneo sul finire degli anni trenta progettò un tipo di trasmissione per i famosi barchini esplosivi italiani che fecero vedere i sorci verdi alle navi di sua maestà britannica in diverse occasioni durante la seconda guerra mondiale.
Il giovane ingegnere americano Jim Wynne che faceva parte della US Navy nell’immediato dopoguerra probabilmente vide i disegni originali di Cattaneo sequestrati dagli americani e perfezionò il sistema aggiungendo la trimmabilità di cui l’idea di Cattaneo era sprovvista.
Ho intenzione prossimamente di innescare al riguardo una grossa “controversy” come la chiamano gli americani su uno dei più seguiti forum in Usa.
Se mi andrà bene mi daranno del “sovversivo comunista e terrorista”,come mi è quasi successo quando ho detto che secondo me spesso i titoli mondiali offshore erano decisi a tavolino prima di iniziare i campionati dalla Kiekhaefer e dalla Mercury per questo o quel pilota a seconda degli interessi economici interni o per qualche specifica nazione e/o continente.
Tornando a noi,riguardo alla mia errata interpretazione di chi fosse il pilota chiamato in causa da Buriassi mi ha tratto in inganno proprio la sua citazione alla VBV del 1971 dove a sfasciare la coperta fu appunto Balestrieri.
Qui poi vorrei fare dei distinguo riguardo ai piloti filo-vittoria facile-con il made in Usa.
Essi erano per la precisione in ordine di apparizione:
Balestrieri, Cosentino, Bonelli, Bonomi, De Angelis e Mondadori per citare quelli di maggior successo.
Fra questi vorrei però staccare Balestrieri,perchè nella sua lunga e appassionata carriera credo abbia dimostrato di saperci fare con le gare Offshore.
Non è stato un “veni-vidi-vici e poi mi ritiro” alla Bonomi o un “corro per farmi vedere” alla Bonelli o ” ci sono perchè lo fanno gli amici” alla Mondadori o “se non spacco vinco” alla De Angelis o alla “gentleman” come Cosentino.
Non lo dico soltanto io,ma Balestrieri fu il primo e a lungo l’unico europpeo a tenere testa agli yankees usando i loro stessi mezzi in casa loro.
Aveva soldi, non v’è dubbio era forse compromesso in qualche modo con gli interessi di Mercury,aveva i migliori throttleman,ma per vincere non bisogna avere il meglio in ogni parte? C’è chi aveva tutto ma rimediava figurette…
Quanto al discorso di Balestrieri allievo di Levi mi riferivo più che altro al fatto che prima del romano Levi,con Petroni, aveva gareggiato alla prima Cowes-Torquay quindi qualcosina in più poteva insegnare su uno sport che in Italia nessuno conosceva allora.
Comunque e qui finisco,oggi hanno poco da ridere progettisti,ingegneri e piloti su ciò che avveniva trenta e più anni fà. Se si hanno le tecnologie di oggi è grazie ai vari Hunt,Bertram,Levi,Aronow.
I piloti di allora correvano sul serio. Le competizioni di oggi inshore su circuitini quelli si che fanno ridere.
Anzi fanno pena.
Grazie per il tempo e pazienza dedicata a leggermi.
Marco
Egr, Sig. Soccol, mi scuso per non essermi presentato con il mio nome, cosa che farò da oggi in poi, questo era dovuto solo ad una mia passione (dura da 41 anni) che ho dall’età di sei anni per un’altro capolavoro della tecnica e dello stile Italiano.
Ho avuto modo oggi di leggere l’intervista fatta da lei al magnate della finanza se non Campione del Mondo di Offshore nel 1973, sono rimasto sbalordito da certe affermazioni sulle opere dell’ING.LEVI, “A parte che Levi ha fatto una sola buona barca in tutta la sua vita: la Speranziella”…
Ma questo qua ne sapeva di barche …allora o era solo un miliardario viziato con l’Hobby della nautica??
In questi anni si è ricreduto o è rimasto della stessa idea ?? Per la prima domanda penso che ne sappia di barche visto che ha fondato cantieri e fabbriche di motori (SEATEK), ma forse come diceva mio nonno …non si è mai finito di imparare a tirare i bulloni.
Affettuosi saluti,
Mirco.
Caro Marco,
grazie per il tuo contributo storico. E per le tue precisazioni su alcune delle quali mi permetto però di dissentire.
Innanzitutto il pilota cui si riferiva Buriassi non era Balestrieri ma Carlo Campanini Bonomi. A questo proposito ho recuperato una mia intervista che gli avevo fatto proprio la sera dell’incidente di “Dart” e che era stata pubblicata da “Mondo sommerso”. La copio-incollo dal mio archivio e la puoi leggere qui di seguito.
In secondo luogo non è del tutto esatto che Levi sia stato “maestro” di Balestrieri: i due, assieme al comandante Attilio Petroni, erano soci nella proprietà del cantiere Navaltecnica. Poi il gruppo si divise perché Levi chiedeva, giustamente, di poter progettare anche per altri cantieri (o clienti particolari che gli chiedevano scafi “one off”) cosa che Balestrieri non gradiva.
Non ricordo particolari sfottò fra i differenti team anche se convengo che quelli fossero anni molto vivaci. Da un lato c’era chi andava in America e comprava l’ultima novità in fatto di barche e di motori dai vari Aronow, Mercruiser, Aeromarine eccetera. (Una operazione che comportava un biglietto d’aereo per Miami e un concreto conto in banca: niente di più.)
E dall’altra c’era chi cercava di fare ricerca, di sperimentare vie nuove: carene, motorizzazioni e trasmissioni. (Operazione un po’ più impegnativa, quanto meno come impiego di energie cerebrali.)
Come certamente ricorderai, erano tempi quelli in cui “meglio di un paio di piedi poppieri” era inutile sognare… e valenti piloti come De Angelis, Balestrieri, Cosentino, Mondadori, Bonelli e Bonomi sostenevano con disinvoltura che l’alta cresta prodotta dalle eliche di superficie era “tutta spinta sprecata”. Infatti… oggi chi vuol andar veloce per mare usa trasmissioni con “surfaces props” e non piedi poppieri! Ma poiché loro, i “succitati”, vincevano le gare era “evidente” che, in automatico, avevano “anche” ragione. Che oggi i fatti ridicolizzino le loro patetiche affermazioni, nessuno lo ricorda.
Oppure, quei “grandi” campioni, sostenevano che per andar veloci in mare ci vogliono barche larghe… Strana interpretazione delle leggi dell’idrodinamica, non c’è che dire. Chissà se, alcuni anni dopo, Fabio Buzzi sia riuscito a far cambiare idea in merito al suo cliente e “socio” Carlo Campanili Bonomi? E, dato che c’era, a spiegargli che Don Shead capiva niente di barche, tranne il poco che aveva messo “in archivio” trafugando i progetti di Levi con le cui barche aveva corso nei primi anni Sessanta.
Tutta roba questa che, oggi, fa comunque ridere ma allora aveva “sèguito” perché l’Italia è un paese buffo: se una cosa è “made in Italy” non funziona…Strano no? Dico, nonostante i successi della Ferrari, dell’Alfa Romeo, della Lancia, della Maserati… Abbiamo persino accettato che ad inventare il telefono sia stato quel plagiatore di Bell invece che il nostro povero emigrante Meucci…
L’incidente di “Dart”. E’ stato causato dall’improvviso sbarco di Buriassi dallo scafo, durante le prove. Il minor “carico” all’estrema poppa ha sbilanciato l’assetto della barca rendendolo troppo appruato e Micheletti non ha fatto in tempo a compensarlo con le apposite casse di zavorra.
Inoltre l’ing. Chiti aveva sempre chiesto (e, ahimé, ottenuto da Levi) che le prese d’aria installate in coperta per dare respiro alla sala macchine fossero in dinamica. Quando “Dart” si è infilato nell’onda, la pressione su quelle prese d’aria è stata tale che la coperta è in parte esplosa. Se tu osservi bene le immagini che il blog ha pubblicato, puoi notare come il cofano che copriva i motori si sia “scollato” dalla coperta. OK, non bello da vedersi ma in uno scafo assolutamente sperimentale come quello, poteva accadere.
Ti dice nulla il fatto “storico” che la prima “Smart” fatta dalla Mercedes, il giorno della sua presentazione ufficiale alla stampa, si sia rovesciata come un birillo? Le cose davvero “nuove” hanno questa caratteristica: bisogna avere il coraggio di sperimentarle. E, comunque, quel pezzo di coperta di “Dart” non era strutturale: in tre ore di lavoro si poteva rimediare al guaio per poi passare successivamente ad una coperta più “integrale” e con prese d’aria rivolte verso poppa anziché verso prua…
La velocità dell’incidente. Mi congratulo con la tua memoria (che coincide con quella di Bonomi): personalmente io non ero presente al momento del crash e quindi non posso dirti nulla di specifico in merito. Rimane incontestabile che “Dart” aveva fatto più volte fermare i cronometri sulla base misurata di Sarnico a 145 km/h mentre i “Cigarette” dell’epoca superavano a fatica i 130 km/h. Credo che il pensiero di Buriassi fosse che “Dart” era in grado di superare con facilità qualsivoglia “Cigarette” pur avendo la metà di cilindrata. E non mi pare poco.
Lo stato del mare. Nessuno ha detto che c’era una tempesta in corso. Ero in mare anch’io quel giorno (per le prove di “Arcidiavolo”) e ricordo solo un po’ di quel mare che in Toscana chiamano “ignorante”: ondine che arrivano un po’ da tutte le parti e che fatichi a mettere d’accordo. Inoltre, di barche in mare, in quel pomeriggio, ce n’erano parecchie e tutte creavano un po’ di moto ondoso. Insomma, era proprio come dici tu “pressochè calmo”. Proprio “pressochè”.
Infine, credimi, un conto è valutare lo stato del mare da terra, con i piedi ben poggiati sull’asfalto e altro è affrontarlo da dentro una barca lanciata a più di 60 nodi.
Grazie ancora per il tuo contributo e eccoti, a seguire, quella antica intervista assieme ai miei migliori saluti.
Antonio Soccol
P.S.:
A proposito di velocità. Alcuni mesi or sono, un comunicato stampa informava che presso la base aeronautica americana di Tyndall in Florida, un Cigarette 46’ aveva stabilito il nuovo primato mondiale di velocità per scafi monocarena: 172 mph, pari a 275 km/h o a 149 nodi.
Ho chiesto notizie più precise all’importatore di questi scafi in Italia e mi hanno detto che l’U.I.M. non avrebbe omologato il record e che quindi non erano in grado di darmi alcun elemento tecnico (potenza motori, rapporto lunghezza/larghezza, tipo di trasmissioni eccetera) su questo scafo.
Strano e… peccato. Sarebbe stato interessante valutare “quanta” strada e, soprattutto, “quale”, si sia fatta, dal 1973 a oggi.
Al riguardo del commento finale sull’incidente accorso al Dart a Viareggio durante le prove della VBV del 1973, io ero un testimone e mi ricordo che avvenne sotto gli occhi di molti che come me stavano assistendo chi sul molo chi dalla spiaggia come pubblico.
Avvenne nel pomeriggio e assai vicino alla spiaggia di ponente davanti Viareggio e la velocità era abbastanza sostenuta ma non certo da poter dire che un pilota come Vincenzo Balestrieri (credo che sia a lui che si riferisce Buriassi) si sia mai sognato di raggiungere.
Lo so il Campione romano si lasciava qualche volta scappare considerazioni poco sportive e comunque discutibili anche riguardo alle belle e interessanti opere di Levi (che era stato suo maestro alle prime VBV) come l’Arcidiavolo o lo stesso Dart e questo comportava una certa rivalità anche fuor d’acqua, magari al bar del Club Nautico ma faceva parte dello spirito dilettantesco e un pò guascone che caratterizzava l’intero “Circus” della motonautica d’altura di quei meravigliosi anni e gli sfottò da una parte e dall’altra non mancavano. Sfottò che comunque sempre erano privi di fondamento sempre sia che da una parte che dall’altra.
Comunque per la cronaca nel 1971 Balestrieri con il suo Cary-Cigarette alleggerito con una coperta in legno sottile come una sogliola di giovane età riuscì almeno ad effettuare buona parte della gara prima che la suddetta cominciasse a creare problemi in rotta per Bastia con un mare formato e onde di prua.
Nel 1973 il mare durante quelle prove era quello classico del Tirreno nelle calde giornate di luglio; pressochè calmo.
Marco
Caro “Miura”,
scusa il ritardo con cui rispondo: ero all’estero (in Svezia) e non mi era facile lavorare seriamente da un Internet Cafè con un pc con tastiera totalmente differente da quella “nostra” classica.
Non ti nascondo inoltre che ho una certa difficoltà a colloquiare con lettori che non si firmano in chiaro. Lo so, nel web si usa ma è usanza che io non apprezzo.
Che poi il tuo commento dovesse esser rivolto a Giacomo Vitale anzichè a me mi lascia ancor più perplesso.
Comunque sia, non sono purtroppo in grado di darti dettagli interessanti circa la fine di Dart. Ricordo che venne abbondanato in un prato dalle parti del cantiere Vega, a Cinisello Balsamo, periferia di Milano.
Poi il cantiere chiuse, Giorgio Adreani migrò in Sud America e tutto piombò nell’oblio più totale…
Un gran peccato. Non rimane che rattristarsi, purtroppo.
Ciao, chiunque tu sia.
Antonio Soccol
@Miura,
lo staff aveva capito e prima di dare delle risposte attende conferme e considerando il periodo… dovrai aspettare un attimo di più.
Antonio apprezzerà le tue parole come tutti i componenti di questo “blog Levi” dedicato alle barche di qualità che hanno fatto… storia!
Grazie,
Alex
Ho sbagliato nome volevo dire Giacomo, comunque il saluto vale sempre anche per il Sig. Antonio Soccol.
Ciao Antonio,
è tanto che non ci sentiamo, il DART sai se c’è ancora in giro (ciò che ne rimane) visto che si parla anche dei motori Alfa Romeo Montreal sarei veramente entusiasta di sapere qualcosa di più di questa opera d’arte diciamo quasi incompiuta, se l’ho trovo stacco il motore dalla mia Montreal (scherzo) per restaurarlo.
Fammi sapere visto i contatti che hai.
Un cordiale saluto…
P.s.
Con il tuo sito si trova sempre uno stimolo per capire ed apprezzare tecnologie e sfide passate…
Thanks