Anzio: il porto e la nautica
Associazione Anzio Città Porto
Il porto: le origini
E’ risaputo che il porto di Anzio sia stato nell’antichità maestoso e prestigioso. Le dimensioni del cosiddetto porto neroniano costruito con maestria in età imperiale sono tali da far pensare ad una intensa attività commerciale e ad uno sfarzo che solo un imperatore avrebbe potuto concedersi. E’ quindi opinione comune che la storia di Anzio debba coincidere con quella di Roma, sia repubblicana che imperiale.
In realtà la storia di Anzio e del suo porto è molto più antica ed affonda le sue radici nella notte dei tempi durante la quale l’agro pontino iniziò ad essere popolato dall’uomo, e già nell’antichità in questa area si era realizzata la fusione tra mare e territorio con il porto a far da cerniera, anche se non di porto in senso moderno possiamo parlare e tantomeno di città.
Ma il mare era quello di oggi, con le sue burrasche, le sue calme, le sue correnti, le onde, i venti e i suoi orizzonti. Chi guarda verso sud oggi, dalla zona del faro, in un giornata di settembre dopo una libecciata e nella leggera brezza di terra che ne fa seguito, mentre all’orizzonte si stagliano i profili del promontorio del Circeo, dell’isola di Ponza e Palmarola, vede esattamente ciò che avrebbe potuto vedere un uomo diecimila anni fa.
Se poi l’osservatore lo immaginiamo qualche migliaio di anni più indietro, sopra una zona di arenaria che costituisce un piccolo promontorio tra due insenature laterali che delimitano un porto naturale, quest’uomo sta scrutando l’orizzonte sopra il Cenon, l’antico porto di Anzio, nella stessa sede in cui i romani avrebbero edificato il tempio della dea fortuna e in seguito sarebbe stata costruita Villa Sarsina.
Quello è il mare, quelle le onde, quello il vento e le nuvole. E allora via alle imbarcazioni sulla spiaggia, vanto di una tradizione mai più sopita, via a raggiungere Palmarola, ad un giorno di navigazione, per portare la preziosa ossidiana, la pietra nera che lì si estraeva, e alimentare una raffinata industria litica che consentiva scambi commerciali con la Grecia, la Sicilia, il mondo etrusco e tutta la civiltà tirrenica.
E via alle barche per compiere quel prodigio che ancora oggi a distanza di migliaia di anni possiede lo stesso significato ieratico di allora che è la pesca. Un cacciatore vede le sue prede, le segue sul territorio mentre lasciano tracce visibili e le affronta. Un pescatore non vede, immagina, utilizza tecniche e rappresentazioni che ne fanno uno stratega antesignano di un uomo moderno e torna al porto con le reti gonfie del suo operato e del suo ingegno.
Il maestoso porto neroniano venne costruito su questo impianto e raggiunse il suo massimo splendore nei secoli precedenti alla caduta dell’impero romano.
Costituito da due bracci, quello di ponente la cui origine è ancora visibile, e quello di levante che si originava dove oggi sorge la chiesa, arrivava a chiudersi come una cupola nel tratto di mare ove oggi riconosciamo lo scoglio dello sconciglio. Le sue banchine permettevano un libero passaggio di correnti, attraverso numerose aperture che facilitavano il flusso delle correnti e consentendo un costante ricambio dell’acqua eliminavano quasi completamente l’insabbiamento che era verosimilmente limitato all’origine del braccio di levante.
La sua apertura, orientata a scirocco, era probabilmente protetta da un antimurale che oltre a contenere la risacca consentiva l’agibilità da levante e da ponente. O forse l’ingresso era uno soltanto, a levante, ben ridossato. A levante, nella zona attualmente occupata dal “moletto pamphili” e fino a qualche decennio fa dal “molettone”, vi era un terzo braccio, un approdo di sosta e di disimpegno , in parte ridosso a venti del secondo quadrante.
Doveva essere una realizzazione invero magistrale visto che sopravvisse per più di un millennio senza alcuna manutenzione e consentì al Cardinale Pignatelli, futuro Papa Innocenzio XII, di trovarvi rifugio il 2 febbraio del 1692, mentre, salpato da Napoli alla volta di Roma per il conclave, veniva sorpreso da una violenta tempesta.
Il porto Innocenziano: la storia
Come racconta la storia, Il cardinale Pignatelli, già ottuagenario, promise ai notabili del luogo che si erano prodigati nell’ospitarlo, di ricostruire il porto di Anzio se fosse stato eletto al soglio pontificio, cosa da lui medesimo ritenuta poco probabile.
In mille anni di medio evo il porto era andato incontro a devastazioni, saccheggi, scorribande di pirati, totale assenza di manutenzione, eventi che avevano trasformato quella antica culla di civiltà in un luogo desolato e insicuro. Eletto pontefice con sua personale sorpresa, Innocenzio XII incaricò un illustre ingegnere, il Fontana, di procedere alla ricostruzione del porto e mantenere la promessa data. Il Fontana, esperto conoscitore delle leggi dell’idraulica, propose di ripristinare il porto neroniano, diminuendo l’estensione dello specchio d’acqua verso sud, lasciandone comunque inalterato l’impianto e la struttura di base. Il progetto prevedeva il recupero dei due bracci di ponente e di levante e un antimurale davanti l’apertura. Tutto come il vecchio porto imperiale, seppure in scala leggermente ridotta.
Il preventivo dell’opera fu di 60000 scudi, cifra che destò la preoccupazione del pontefice che vedeva molto costoso il tener fede ad una promessa che non pensava di dover mantenere. Per tale ragione consultò un altro architetto, lo Zignaghi, invero molto meno esperto del Fontana, ma abile nel tenere relazioni sociali e millantar crediti. Questi, dopo un frettoloso sopralluogo, propose di costruire un braccio ex novo perpendicolare al braccio di levante del vecchio porto preventivando la modica spesa di 20000 scudi, configurando comunque un ampio bacino.
Ovviamente venne scelto questo progetto, economico e innovatore. Possiamo immaginare lo Zignaghi che in un giorno di bel tempo, passeggiando sulla riva con la brezza di ponente che ancora oggi accarezza questo luogo, ritenga, senza alcun approfondimento, sufficiente la costruzione di un braccio per realizzare un porto, con la supponenza e la superficialità tipica di chi è incompetente e presuntuoso.
Come sappiamo le cose andarono ben diversamente da quanto previsto. Il nuovo braccio non proteggeva dai venti e dalle mareggiate del II e III quadrante che lo devastavano in corso d’opera e il costo della realizzazione superò di gran lunga la somma preventivata. Le cronache raccontano che l’incompetente e inadempiente architetto fuggì vestito da frate cercando rifugio a Napoli. Ma il danno era ormai fatto. La curia difese l’investimento frutto di scelte poco oculate e alla fine il porto Innocenziano venne realizzato tra mille difficoltà.
Soggetto a continui insabbiamenti, come era prevedibile, già durante la sua realizzazione, il bacino del nuovo porto veniva costantemente dragato, e la sabbia e il fango scaricati all’interno del vecchio porto neroniano che si interrò dalla metà del braccio di levante sino alla base del braccio di ponente. L’insabbiamento della costa sulla sinistra del braccio di levante completò l’opera, costituendo comunque la base sulla quale sarebbe stata edificata la città. Quale singolare destino!! Il centro di Anzio verrà costruito sulla sabbia dragata dal nuovo bacino portuale. Chissà, forse anche per questo la nostra città si identifica con il porto.
Il porto Innocenziano: lo sviluppo
Pur tra mille difficoltà il nuovo porto iniziò a funzionare. L’interramento sopra descritto costituì il punto di partenza della realizzazione di Anzio moderna. Si edificarono opere imponenti come l’arsenale e un fortino all’estremità del molo, significative come la chiesetta di S. Antonio in corrispondenza dell’attuale edificio della guardia costiera e punto nodale della suggestiva processione che si tiene ogni anno, e moltissime altre che fecero assumere ad Anzio il ruolo di un centro strategico da un punto di vista commerciale e militare del centro Tirreno. Si istituì una parrocchia e la città iniziò a popolarsi e animarsi di nuova energia vitale.
In effetti era accaduto un mezzo miracolo. Un operazione mal concepita e mal condotta aveva dato nuova vita ad un luogo desolato e dimenticato dal tempo. Ma l’operazione insensata di costruire un porto nel posto e nel modo sbagliato rimaneva. Sarebbe lungo anche solo citare i numerosissimi tentativi di rendere il porto Innocenziano compatibile con le leggi dell’idraulica.
A più riprese si aprirono e si richiusero passaggi di acqua, si prolungò sulla destra il braccio del molo nel tentativo di costituire ridosso alle devastanti mareggiate da libeccio senza risolvere il problema dell’insabbiamento e senza riuscire a proteggere il bacino dallo scirocco. Il porto andava costantemente dragato, esattamente come adesso, non offriva riparo adeguato ai venti del secondo e terzo quadrante, esattamente come adesso, ma iniziò a essere amato dai portodanzesi che con esso si identificarono. Esattamente come adesso.
Il secolo diciannovesimo, il secolo delle rivoluzioni, non risparmiò Porto d’Anzio. Il 5 ottobre del 1813 una formazione di navi inglesi aprì il fuoco contro le postazioni francesi che nella nostra città si erano installate occupando lo Stato Pontificio. Napoleone aveva conquistato l’Europa, Anzio evidentemente non poteva sfuggirgli. Nella piccola Trafalgar che ne seguì il risultato fu disastroso: porto semidistrutto, la nascente città ridotta ad un cumulo di rovine fumanti. Ma ancora una volta Anzio seppe risorgere. Caduto napoleone e restituito lo Stato pontificio a Papa Pio VII fu rapidamente avviata la ricostruzione del porto e della città e l’attività portuale e commerciale riprese febbrile.
E’ qui che Anzio moderna si è edificata improntando la sua economia, ed è nel porto e nella piazza che si è realizzato il prodigio di ciò che è intorno e di ciò che dentro, di ciò che confina, definisce e caratterizza lo spazio.
Così come la piazza senza le strutture edilizie circostanti sarebbe uno spazio vuoto composto di pietrisco e terra, il porto non è solo acqua e fondale, ma banchine ed accessi, cantieri e strutture; è l’integrazione tra ciò che è intorno e ciò che è dentro a caratterizzare l’identità di una città e il rapporto con i suoi abitanti.
Nel maggio del 1818 transitò a Porto d’Anzio Giovan Battista Rasi, console del re di Sardegna presso la Santa Sede. Acuto osservatore e conoscitore della marineria, dedicò uno studio approfondito al bacino portuale vecchio e nuovo, e concluse che era sicuramente più opportuno ripristinare il vecchio porto neroniano e abbandonare il nuovo, insensato da tutti i punti di vista e soggetto ad una incessante onerosa manutenzione. Ancora una volta la Curia operò nella direzione sbagliata e per tutto il secolo diciannovesimo si continuò a discutere sulla necessità di riattivare il bacino del vecchio porto.
La nautica
Oltre ai fatti politici e sociali che caratterizzano il diciannovesimo secolo, un’altra rivoluzione andava diffondendosi per l’Europa: la rivoluzione industriale. Anzio ricostruita si arricchiva della ferrovia e nuovi impulsi la animarono, sino a farle assumere verso la fine del secolo la conformazione attuale che la memoria trigenerazionale permette di tramandare.
Proliferarono nuove dimore estive che contribuirono a dotarla di quel fascino un po’ pigro e sensuale che ancora oggi, nonostante l’incalzare della barbarie, si percepisce nella nostra città. Esplose il turismo, non ancora di massa, ma signorile e aristocratico e con esso la nautica.
Con l’inizio del ventesimo secolo l’attività cantieristica locale, sempre all’avanguardia nella tecnologia e nelle maestranze, oltre a produrre imbarcazioni destinate alla pesca, al trasporto di persone e di cose, realizza i primi legni per andar per mare per il puro piacere della navigazione.
Un clima unico per la sua mitezza, la suggestione incomparabile delle sue coste e l’arcipelago pontino a poche ore di navigazione, resero la nostra città un vero angolo di paradiso che conobbe, nel periodo tra le due guerre, i fasti e gli splendori di duemila anni prima.
Ma ecco una nuova devastazione ad incombere insieme a lutti, miseria, rovine. Con la stessa caparbia tenacia Anzio risorge e nell’arco di neanche un decennio ritrova intatto lo stesso fascino di prima e diventa il porto della dolce vita, dove è possibile incontrare attori e regnanti, industriali e playboy.
E’ negli anni cinquanta e sessanta che Porto d’Anzio diventa la capitale della nautica, dove vengono costruiti secondo tecniche innovative in accordo con raffinate tradizioni bolidi off-shore, panfili da sogno e imbattibili imbarcazioni a vela da regata. Nello spazio di un centinaio di metri nel porto di Anzio, in un inedito Cenon, i cantieri Gallinari e la Navaltecnica realizzano scafi tutt’oggi insuperati, il Vihuela, la Speranzella, la serie dei Ghibli, che solo la maestria dei nostri artigiani guidati da architetti navali famosi in tutto il mondo poteva essere in grado di produrre.
Ed oggi sono ancora lì, Peppino, Gino, Valentino, Nicola, Aldo e Sandro Gallinari, Guido e Giorgio Tuiach, Ernesto e Pierino Gargana, Filiberto Vaudi, depositari di questa antica conoscenza e sempre disponibili a tramandarla alle generazioni successive.
E il porto e la nautica? Anche il porto sta sempre lì con i suoi insabbiamenti, con la sua traversia a scirocco, con le sue banchine un pò malandate che richiedono interventi urgenti di manutenzione.
Ancora oggi nel suo bacino trova ormeggio una imponente flotta di pescherecci e numerosissime imbarcazioni da diporto, nonché centinaia di derive a vela che testimoniano l’affezione per questo luogo magico e prezioso.
Non distruggiamo il nostro sogno con la costruzione di un nuovo porto che riproporrebbe amplificati i problemi di insabbiamento e di esposizione ai venti del secondo e terzo quadrante, paralizzerebbe la vita della nostra città per un periodo di almeno cinque anni, stravolgerebbe le nostre abitudini.
E soprattutto, trasformerebbe il nostro porto, quello che amiamo, con tutti i difetti suscettibili per altro di venir attenuati da piccoli interventi, in un marina privato, triste parcheggio di barche, destinato ad alimentare i consueti interessi speculativi.
Basterebbe prolungare il moletto Pamphili, ristabilire il flusso delle correnti con delle apposite aperture, realizzare un antimurale all’ingresso, provvedere ad una elementare manutenzione, per rendere di nuovo agibile il nostro paradiso e ritrovare il sogno di millenni di storia. Con questi piccoli interventi è un po’ come se il porto innocenziano, mantenendo la sua identità e la sua ubicazione attuale assumesse le caratteristiche dell’insuperato porto neroniano. Proviamoci.
Si ringrazia l’architetto Paolo Prignani per l’insostituibile documentazione fornita.
Bruno Intreccialagli
Faccio rilevare che,
la teoria delle luci dissabbianti è da tempo dimostrata infondata. Si tratta dei vuoti lasciati dai legni di costruzione delle casse di gettata, legni per altro, conservati in sito in molte parti della struttura.
Il tentativo di realizzare, sulla base di questa erronea interpretazione, luci dissabbianti nel porto Innocenziano, con la demolizione di sezioni del molo Neroniano, risultarono del tutto inefficaci.
Grazie per le tue parole, Giacomo, e grazie e scusa ancora per il “prestito” del blog, Alex.
Roberta
Ciao Roberta,
io sono sempre on line e leggo sempre tutto quello che ci arriva come commenti, quindi vedo anche te e ti leggo sempre con piacere. Spero presto di venire ad Anzio, magari un sabato e ti scrivo avvisandoti, magari ci possiamo incontrare per fare le quattro chiacchiere di cui dicevi… sarebbe per me un gran piacere ed un onore conoscerti.
Un caro saluto
Giacomo Vitale
Vi ringrazio.
Dopo le recenti amarezze che ho qui raccontato, fa bene trovare persone (grazie anche a Giacomo Vitale se leggerà) come voi, che amano il mare appassionatamente come me, e senza operare discriminazioni. Spero anch’io di incontrarvi ancora e magari condividere idee, impressioni, ecc.
Il mare si può amare con tutta l’anima anche se non è possibile praticare la vela. E tra vera “gente di mare”(sia a piedi come me, col gommone, o con la barca) come giustamente afferma Giacomo, ci si aiuta, si usa gentilezza, disponibilità.
Vi sono dunque grata per la grande cortesia che avete dimostrato concedendomi spazio nel vostro blog. A presto, spero, e cordiali saluti.
Roberta Piferi
Gentile Roberta,
ci mancherebbe, nessun fastidio anzi, ci ha fatto piacere dare spazio e non è assolutamente una intrusione.
Siamo qui, se mai ci volesse fare nuovamente visita, saremo a sua completa disposizione.
Alex
Mi scuso con l’amministratore per l’intrusione “anche” nel blog. Non proseguirà, ha la mia parola.
Cordiali saluti
Roberta Piferi
@Roberta, Bruno e Giacomo…
Per cortesia, che le mie parole non giungano né come un richiamo né come una “censura” ma tuttavia, visto che si tratta di argomenti OT (Out of Topic, fuori argomento) che riguardano nel personale di un presidente e un circolo, vi pregherei di continuare in privato questa discussione che posso capire ma non su questo blog.
Se Bruno o Roberta gentilmente mi autorizzano a fornire i rispettivi e-mail sarà mia cura mettervi in contatto.
Mi ripeto, spero possiate capire senza per questo giudicarmi come severo…
Amministratore del Blog Barche d’epoca Levi.
Caro Dottor Intreccialagli,
non sono affatto d’accordo con lei. Vale a dire: apprezzo moltissimo il tentativo di “recupero” del Tirrena effettuato dal circolo della vela, ma come utente non posso esimermi dall’esprimere la mia indignazione in merito all’uso della spiaggia, che è, e deve essere, di tutti (e non solo di chi ha i catamarani o i cabinati miliardari).
In quanto poi al tale che mi ha chiesto cosa volessi, dubito molto che intendesse propormi, data la non verdissima età e dal momento che mi ha precisato che lì non si poteva stare, una frequentazione dei corsi di vela che come ben sa, non posso permettermi, anche se mi piacerebbe.
Ops! Non sapevo che lei fosse il presidente del circolo in questione: mi devo scusare per la segnalazione? Ma io frequento Anzio praticamente da quando sono nata e non credo di togliere nulla a nessuno se mi va di fare un giretto tra le imbarcazioni, non crede?
Grazie invece a Giacomo Vitale, che ha perfettamente capito il mio sfogo.
Non sono proprio un lupo di mare, ma ciò non toglie che anche io amo moltissimo il mare (e Anzio)…
La sua “poco paziente” (nel senso di pazienza)
Roberta Piferi
Cara Roberta,
mi spiace che lei non abbia potuto usufruire del consueto ingresso dello storico stabilimento di Anzio.
Ci sono due o tre cose che però deve sapere. La prima: il circolo della vela nel quale si è imbattuta ha il nome di Circolo della Vela Anzio-Tirrena. Come dire: il circolo della vela è di fatto il Tirrena.
In effetti sorge su un tratto di arenile demaniale che è in concessione al Tirrena e che il Tirrena ha ritenuto di cedere sotto forma di “cessione” di ramo d’azienda ad un gruppo di appassionati e volenterosi che che hanno provveduto a ripulire quel tratto di spiaggia dove regnava la sporcizia e l’abbandono e di trasformarlo in una attività culturale sportiva riconosciuta dalla Federazione Italiana Vela dove si pratica e soprattutto si insegna la vela.
Ricorderà che l’ingresso cui fa riferimento comportava un tratto di spiaggia lontana dalla battigia dove in passato erano ammassate imbarcazioni in modo disordinato. L’operazione effettuata dal circolo della vela e ancor di più dal Tirrena è stata quella di portare un po’ di ordine in quel tratto di arenile dimenticato dalla civiltà.
Secondo: tutto il tratto di spiaggia dove è attualmente locato lo stabilimento non possiede i requisiti di balneabilità, trovandosi tra due porti, quello di Anzio e quello di Nettuno, che porto non è, ma è un marina privato e come tale equiparato, che de iure non consentirebbero la balneazione. La sconsiglio infatti di bagnarsi in quelle acque se non dopo la costruzione centrale (la rotonda, che una volta ricorderà era nell’acqua e si è poi insabbiata a causa degli scriteriati interventi portuali) procedendo verso Nettuno, che da sempre rappresenta l’ingresso principale.
Terzo: ne deriva che quello effettuato dal Tirrena attraverso il circolo della vela è un tentativo di riqualificare quel tratto di spiaggia compatibilmente alla sua agibilità attuale. Le imbarcazioni che vi sono allocate sono semplici imbarcazioni da spiaggia e catamarani, non certo cabinati miliardari. Non pensi al circolo della vela di Portofino.
Forse chi le ha chiesto se le serviva qualcosa auspicava che lei fosse interessata alla frequentazione di un corso di vela, cosa che mi poermetterei di suggerirle di prendere in considerazione. Con l’imminente realizzazione del nuovo porto, l’inagibilità sarà totale e temo che il circolo rimmarrà l’unico e ultimo baluardo di una tradizione civile e indimenticata.
Rimango a sua disposizione per ulteriori chiarimenti e la saluto con cordialità.
Bruno Intreccialagli, (dimenticavo) presidente del circolo in questione.
Cara Roberta,
anche se non ci conosciamo ti do del tu come é tradizione tra buoni uomini e donne di mare e se da una parte sono molto dispiaciuto per quanto ci racconti, sono contento che tu abbia fatto presente a questo blog, dedicato principalmente alle barche a motore progettate negli anni 60′ – 70′ dal mitico “Sonny” Levi, dandomi l’opportunità di dire alcune cose in merito ai comportamenti di qualche persona che fa parte del settore nautico in genere.
Premesso che le cose nel tempo, purtroppo, cambiano per tanti motivi, nel caso specifico, per motivi che non conosco, non essendo di Anzio e frequentando pochissimo questa ridente cittadina, comprendo a fondo il tuo immenso dispiacere per il cambio di proprietà che ha portato questa parte dello stabilimento “Tirrena” a divenire proprietà di un gruppo Velico locale.
Come ben sai, la proprietà gode di determinati diritti eccetera. Ovviamente andrebbe segnalato, nel caso specifico, con un cartello o una recinzione che ne delimiti i confini o avvisando che comunque pur essendoci dei varchi, agli estranei é vietato il transito e la sosta in quall’aria.
Nel tuo racconto non mi dici se questi cartelli o confini sono esistenti e ben visibili e comunque non lo voglio sapere. Il fatto é che il “deficiente di turno” ti ha chiesto cosa cercavi, visto che da solo non é stato in grado di capire la tua difficoltà, cioè dei tuoi piedi che stavano andando arrosto e pur avendogli risposto e tu appurato del fatto che era una proprietà privata eccetera, il solito tizio di turno ha continuato a fare il suo mestiere, cioè quello di chi non ha cervello e quindi non in grado di capire… ma a monte di questo, la buona educazione e la gentilezza sono sempre prerogative di persone mentalmente sane, sincere e limpide nei comportamenti. Insomma voglio dire che, a parte leggi e cartelli che ci siano o no, resta il fatto che essere dei galantuomini, nei confronti di una donna in difficoltà, oggi é diventato un vero miraggio.
Io al posto di “quel tipo di turno”, sarei addirittura venuto incontro per aiutarti, magari portando un secchio d’acqua fresca, non so. Credimi, é il mio sincero comportamenteo verso tutti.
Invece, insistere che nemmeno nello spazio demaniale del bagnoasciuga potevi stare… lasciamo perdere… Insomma hai la mia solidarietà e ti chiedo scusa al posto di chi si é comportato male nei tuoi confronti, ma voglio qui fare una considerazione da uomo di mare.
Chi é appassionato di mare, pur vivendolo da diversi punti di vista, cioè da sub in apnea, da motonauta, da velista da semplice appassionato che ama fare escursioni in mare lungo le coste, il fatto di appartenere ad un Circolo motonautico o di velisti, non autorizza nessuno a credere di essere un appartente ad una “razza speciale” e mi viene subito in mente una parolaccia, che per ovvi motivi non scrivo…
Insomma se siamo tutti amanti del mare rispettiamolo e rispettiamoci tra di noi con semplicità. Da possessori di barche o semplici nuotatori, o canoisti o sub ecc… Se non ci capiamo tra di noi é la fine di tutto.
Cara Roberta mi dispiace veramente per l’increscioso episodio nel quale sei rimasta coinvolta.
Spero un giorno di poterti incontrare personalmente e parlare un po’ con te, raccogliendo e scambiandoci le nostre impressioni di “gente di mare”. Si… ma quella vera.
Un caro saluto,
Giacomo Vitale
Frequento Anzio praticamente da quando sono nata (54 anni)e il mio stabilimento preferito è sempre stato il “Tirrena”.
Ebbene, quest’anno ho avuto la sgradita sorpresa di trovare l’ingresso principale sbarrato a causa del circolo velico, che si è “accaparrato” parte della spiaggia. Siccome sono un’inguaribile nostalgica e mi piacciono barche e mare, nel pomeriggio ho voluto fare una passeggiata lungo la spiaggia fino alla zona “off limits” ma, essendo la sabbia bollente, ho dovuto rifugiarmi, a meno di non ustionarmi i piedi, all’ombra di un’imbarcazione.
Subito, è spuntato un tipo che mia ha chiesto “Signora, cerca qualcosa?”. Ho risposto che stavo cercando di raffreddarmi i piedi e poi ho aggiunto “Perchè?” Il tipo ha risposto che lì non si poteva stare ed io non ho potuto fare a meno di sogghinare: “Ha paura che rubi una barca?”, dopodichè mi sono incamminata, nell’acqua, sotto i piloni del vecchio edificio sede del circolo.
Ancora, alle mie spalle: “Cerca qualcosa, signora?” Ormai incazzata, ho ribattuto che mare e spiaggia sono di tutti, e che non mi risulta che la battigia non possa essere considerata proprietà privata. Protesto contro tali soprusi!
Ae ho voglia di camminare fino alle barche, ne avrò ben diritto o no? Ridateci allora il “camminamento” che da 50 e passa anni è stato del “Tirrena”!
Una che non ha la barca, che non è di Anzio ma ama Anzio, e che lotta da una vita contro i soprusi…
Roberta Piferi (Roma)