La ventilazione delle carene plananti
di Oscar Carriero
Le principali leggi della Fluidodinamica sono state identificate nell’arco di tre secoli a partire dal 1600. Prima di allora le conoscenze erano esclusivamente di tipo empirico, ma non per questo meno pregiate. Gli antichi Romani, ad esempio, ci hanno lasciato opere idrauliche tuttora funzionanti, a distanza di secoli dopo la scomparsa della civiltà che le ha create. Le navi erano a vela, una forma di propulsione piuttosto semplice. L’invenzione dei motori ed il perfezionamento delle eliche ha permesso di fare il grande balzo in avanti, scatenando la corsa alla velocità.
Studi e ricerche avevano messo in evidenza un concetto ben definito: non sono importanti le dimensioni in assoluto, quanto quelle relative.
Una barca di 12 metri che naviga alla cosiddetta “velocità critica” (per quella lunghezza è pari a 4.3 metri al secondo) è nello stesso regime fluidodinamico di una sua sorella più grande di 80 metri la cui velocità critica è di 11.2 metri al secondo, cioè più di due volte e mezzo maggiore.
Dobbiamo questa scoperta a Froude (1810-1879). Ormai parliamo di “velocità relativa” o, meglio ancora, di Numero di Froude:
V | Velocità |
g | Accelerazione di gravità |
LWL | Lunghezza al galleggiamento |
Le barche planano solo a Numeri di Froude superiori a 0.4. Le molecole di aria o di acqua hanno una grandezza ben definita, per quanto piccola. Quando le velocità o le dimensioni della barca scendono al di sotto di un certo valore, i fenomeni possono risultare sorprendentemente diversi in quanto prevalgono le dimensioni e l’importanza delle molecole di fluido. Non si creda che occorra una barca giocattolo per incorrere in questa situazione, il fenomeno è verificabile anche per barche a grandezza naturale.
Dobbiamo questa conoscenza a Reynolds (1842-1912). Il Numero di Reynolds è:
V | Velocità |
L | Lunghezza caratteristica (cambia secondo lo scenario di lavoro) |
v | Viscosità cinematica |
Un alto Numero di Reynolds significa che domina la velocità e non il fluido, ma anche che si tratta di flusso turbolento.
Con motori sempre più potenti si sono raggiunte velocità relative molto elevate e di conseguenza resistenze fluidodinamiche incredibilmente alte. I primi ad accorgersene sono stati gli Aeronautici. Negli anni ’20 costruire un aeroporto aveva un costo superiore al ricavo. L’unica soluzione era l’idrovolante. Non dimentichiamo che ¾ della Terra è coperta da mari ed oceani, tutte potenziali piste di decollo/atterraggio.
Le carene veloci che conosciamo si basano sulle forme a spigolo studiate per gli idrovolanti. A dire il vero su una carena planante troviamo spigoli un po’ dappertutto: trasversali (“gradini” in Italiano, “redan” in Francese, “step” in Inglese), longitudinali (in Inglese “spray rails”), paraspruzzi, etc. Perchè tanti spigoli?
Lo scafo perfetto dal punto di vista fluidodinamico ha il fondo piatto.
Molti di noi hanno provato a lanciare un sasso schiacciato di taglio sull’acqua: il sasso rimbalza due, tre, tante volte, secondo la velocità e l’inclinazione rispetto all’acqua (incidenza), poi affonda definitivamente. Il sasso si sostiene solo per gli effetti dinamici, cioè plana. Purtroppo un fondo completamente piatto presenta alcuni inconvenienti:
- è duro in condizioni di mare formato, soprattutto quando lo scafo cade dalla cresta di un’onda (oppure ammara nel caso di un idrovolante)
- non permette di mantenere la rotta
- è debole dal punto di vista strutturale e produce spruzzi in gran quantità.
Una carena a cuneo (detta “carena a V”) migliora la tenuta di mare ed ammorbidisce gli impatti verticali sulle onde, ma fornisce meno portanza perché la pressione sul fondo non è perfettamente verticale (la pressione è sempre perpendicolare alla superficie. Se questa è inclinata lo è pure la pressione).
Concentriamo l’attenzione sugli spruzzi perché i progressi nelle carene veloci sono stati possibili solo dopo la comprensione del fenomeno. L’impianto moto-propulsore di un idrovolante deve risultare sempre lontano dagli spruzzi per evitare che l’acqua venga ingerita dal motore e che l’elica sia investita dalle micidiali goccioline (le eliche in legno degli idrovolanti di una volta erano blindate con un lamierino sul bordo di attacco altrimenti le goccioline aprivano letteralmente le pale).
Oltre ai danni nei motopropulsori, ogni spruzzo in più signifca energia sottratta allo scafo, quindi si traduce in una resistenza aggiuntiva. Per progettare una carena planante, dunque, occorre conoscere il meccanismo degli spruzzi ed evadere il giuoco negativo delle pressioni.
Una lastra piana (o un fondo piatto) in planata viene a trovarsi nelle condizioni di figura:
Figura 1 – Lastra piana in planata
Da notare che l’impatto nel punto di ristagno provoca la separazione del flusso d’acqua. Una parte viene deviata verso prua, il grosso fluisce verso poppa. Nel punto di separazione si generano spruzzi.
La planata si verifica oltre la velocità critica:
corrispondente a Froude 0.4 e ad un opportuno angolo di assetto (in genere intorno ai 4°). Altre caratteristiche tipiche della planata sono il sollevamento dello scafo (si dice che la barca “sale sul gradino”) e la riduzione della superficie bagnata. Da notare che gli spruzzi diretti in avanti in Figura 1 sono favorevoli perché riducono la resistenza. Purtroppo parte del guadagno si perde per l’aumento della superficie bagnata.
Se guardiamo una carena a spigolo in planata ci accorgiamo che esistono due tipi di spruzzi:
- spruzzi a nastro
- spruzzi a bolla
I primi sparano l’acqua lateralmente creando una velocità secondaria che si compone con quella principale, come in Figura 2:
Figura 2 – Velocità degli spruzzi
I secondi sono lanciati all’indietro e in alto dallo spigolo di chiglia in un denso cono.
La situazione risultante è la seguente (Figura 3):
Figura 3 – Sistema di spruzzi in un “flying-boat” (idrovolante a scafo centrale).
Gli spruzzi nascono dall’effetto combinato della tensione superficiale del fluido, delle forze di inerzia e, particolarmente, dal picco di pressione che si sviluppa nell’area di impatto fra scafo ed acqua.
Durante le prove in vasca navale, dove i modelli sono in scala, gli spruzzi rimangono compatti assumendo una forma simile alle vibrisse dei gatti. Per questo prendono il nome di “spruzzi a baffo”.
Essi lambiscono l’area triangolare a proravia della linea di ristagno e non sono visibili nelle foto subacquee. Spesso non rientrano neanche nel calcolo della resistenza viscosa. Sui modelli a grandezza naturale (oppure nelle vasche cui si è aggiunto un detergente per cambiare la tensione superficiale) gli spruzzi a baffo rompono in tante goccioline. Molta attenzione, quindi, deve essere posta durante le prove in vasca per assicurarsi di misurare un fenomeno reale e non uno “drogato” dall’effeto scala. La resistenza aggiuntiva dovuta agli spruzzi a baffo varia secondo l’assetto.
L’immagine che segue ne da’ un’idea:
Figura 4 – Riduzione della resistenza dovuta agli spruzzi a baffo all’aumentare dell’angolo di assetto (?). Lo scafo della prova ha un angolo al madiere di 15°
Guardando l’andamento delle pressioni sul fondo risulta anche abbastanza evidente il fenomeno, citato prima, delle velocità laterali:
Figura 5 – Andamento dei flussi e delle pressioni sul fondo di uno scafo planante con carena a V
Se dobbiamo convincere l’acqua ad abbandonare lo scafo senza sottrarre energia preziosa è necessario aumentare la pressione all’uscita, dove l’improvvisa espansione dei volumi provoca forti depressioni. In parole povere occorre ventilare la parte a valle del gradino (o dello specchio di poppa). Talvolta ci si aiuta con gli scarichi motore, disposti proprio in quella zona. In questo caso c’è un effetto termodinamico aggiuntivo dovuto alla temperatura del gas in uscita che è più alta di quella ambiente.
La depressione nasce dal fatto che le forti pressioni sul fondo, all’improvviso, non trovano più superfici di chiglia cui attaccarsi e non possono annullarsi istantaneamente. L’effetto è quello di incollare la poppa alla superficie dell’acqua (la depressione si comporta come una ventosa).
La ventilazione mira a ridurre le differenze di pressione e a rendere innocuo il risucchio. Esiste un’altra modalità di utilizzo della ventilazione. La resistenza fluidodinamica in aria è molto inferiore a quella in acqua. Se si soffia aria fra scafo e superficie liquida si ottiene un effetto simile all’olio lubrificante. Non occorre essere un hovercraft per beneficiare di questo “trucco”. All’università di Trieste sono stati condotti degli studi specifici, con tanto di prove in vasca navale. Il principio si è dimostrato valido, anche se è piuttosto difficile controllare gli assetti della barca, specie in condizioni di mare formato.
Brevemente succede che l’aria tende a scappare da ogni parte creando spinte sbilanciate. L’hovercraft da questo punto di vista è avvantaggiato dalla presenza delle gonne che tengono in trappola il cuscino d’aria, anche quando si superano gli ostacoli e le onde.
Un altro effetto che può tornare utile è la frantumazione dell’acqua in goccioline. Il fluido che ne deriva è una miscela bi-fase acqua-aria con proprietà intermedie fra la frazione liquida e quella gassosa (in proporzione al volume occupato da ciascuna). E’ ovvio che questo lavoro non è gratis, ma può avere un costo accettabile. Visto che non possiamo eliminare gli spruzzi, cerchiamo almeno di limitare i danni.
Le prime configurazioni tese al contenimento degli spruzzi sono state le chiglie a sezione concava (soluzione “a” in Figura 6), cui sono seguite le bandelle paraspruzzi (soluzione “b”), particolarmente efficaci grazie al risucchio di aria verso il basso indotto dal flusso deviato.
Figura 6 – Dispositivi per il contenimento degli spruzzi
La soluzione più complessa sfrutta il cosiddetto “effetto Coanda” (soluzione “c”).
Un fluido in movimento che si avvicina ad una parete, specie se curva, ne viene attratto. Fate una prova: lasciate uscire un filo di acqua dal rubinetto e poi avvicinate lentamente e progressivamente il dorso di un cucchiaio. L’acqua, ad un certo punto, sarà deviata dalla sua traiettoria per attaccarsi al cucchiaio e cadere più in là, contrariamente ad ogni aspettativa.
Per godere dell’effetto Coanda le sezioni dello scafo sono sempre curve e non esiste spigolo. Lungo i fianchi sono presenti delle bandelle paraspruzzi che si presentano come una specie di grondaia capovolta. Esse deviano il flusso verso il basso, dopo aver ben miscelato acqua e aria.
La soluzione è stata adottata sull’idrovolante ogni-tempo giapponese Shin-Meiwa. Come si vede in Figura 7 c’è una vera e propria griglia di ventilazione che corre lungo i fianchi
Figura 7 – Idrovolante ogni-tempo Shin-Meiwa.
Lo sfogo posteriore manda gli spruzzi all’indietro a forte velocità. Per separare il flusso degli spruzzi da quello sulla carena si è stati costretti ad aggiungere un setto longitudinale di controllo. Le sue dimensioni sono ridotte all’osso per contenere la superficie bagnata, che rischierebbe di vanificare i vantaggi causa l’attrito. Da notare la posizione dello sfogo posteriore: è a prua del gradino ad una distanza pari ad almeno 1.5 volte il baglio massimo.
Questo tratto è critico. Dovrebbe essere sempre rettilineo per evitare il delfinamento, una delle instabilità delle carene veloci. In piena planata la ventilazione data dalla griglia non serve più, mentre assume importanza quella del gradino.
Sono stati studiati (in Italia all’INSEAN di Roma) e realizzati (in Italia dai Cantieri Rodriguez) dei particolari controlli, chiamati “intruder”. Anche questi richiedono ventilazione (Figura 8).
Figura 8 – Intruder
Si tratta di due lame a ghigliottina che sporgono di poco sotto la carena.
L’intruder condiziona direttamente lo Strato Limite e provoca un picco di pressione nel fluido. A differenza del caso precedente dove si agisce sul gas in uscita, qui si opera sul fluido. L’intruder riduce la resistenza. Lo Strato Limite è un sottile foglio di fluido che si forma direttamente a ridosso delle superfici bagnate. Esso ha proprietà diverse dal rimanente fluido a causa della prevalenza delle forze esercitate dalle molecole di acqua. Il principio è anche alla base del Numero di Reynolds. Gli effetti della ventilazione non tralasciano neanche i mezzi di ridotte dimensioni.
L’ultraleggero anfibio delle figure seguenti (Figura 9 – Figura 10) è caratterizzato da grossi fori di ventilazione alimentati da una presa d’aria dinamica posta sotto le ali. Senza ventilazione l’aereo non riuscirebbe a planare a causa della scelta progettuale di mantenere abbondante il baglio massimo.
Figura 9 – Ultraleggero anfibio “Sea Max”. Presa d’aria dinamica sotto l’ala (che è stata smontata per meglio visualizzare il dettaglio)
Figura 10 – Ultraleggero anfibio “Sea Max”. Vista di insieme dalla coda. Lo scarico aria produce ventilazione a valle del gradino
Negli anni ’30 si adottava un gradino particolarmente elegante ed efficacie che non richiedeva ventilazione (in Figura 11 lo Short S.25). Figura 11 – Idrovolante Short S.25, vista laterale. La soluzione consisteva nel dare al gradino un taglio a V non solo guardando l’aereo di fronte, ma anche guardandolo dal basso. La rastremazione è nata per ridurre la resistenza aerodinamica durante il volo. La scarsa sensibilità alla ventilazione è legata all’andamento delle pressioni che si riducono progressivamente invece che “brutalmente”.
Figura 11 – Idrovolante Short S.25, vista laterale.
La soluzione consisteva nel dare al gradino un taglio a V non solo guardando l’aereo di fronte, ma anche guardandolo dal basso. La rastremazione è nata per ridurre la resistenza aerodinamica durante il volo. La scarsa sensibilità alla ventilazione è legata all’andamento delle pressioni che si riducono progressivamente invece che “brutalmente”. In Figura 12 un dettaglio del gradino dello Short S.25.
Figura 12 – Gradino dello Short S.25 visto da poppa.
Il piano di simmetria delle barche a volte nasconde delle insidie. Quando la carena è dotata di gradino trasversale classico (è anche il più economico da realizzare) la zona di congiunzione fra semicarena di dritta e semicarena di sinistra diventa una zona di flusso disturbato. La maggiorparte degli scafi in questa zona è lasciato libero da impedimenti. Altre volte, invece, si preferisce inserire un setto di separazione per limitare la fuga verso l’esterno dei filetti fluidi. Notiamo, per inciso, che la stessa situazione si verifica in presenza di un timone centrale.
Il risultato è pessimo. Si può migliorare la situazione praticando dei fori nel setto (…nel timone…???!!!) come in questo scarpone idro della ditta EDO (Figura 13).
Figura 13 – Setto perforato per facilitare l’aerazione.
In presenza del setto, ma in assenza dei fori di ventilazione, i filetti fluidi non riescono a staccarsi dal gradino e quindi si finisce vittime del potente risucchio di poppa. In campo navale hanno subito l’influsso nefasto della mancata aerazione anche nomi famosi, come l’Arcidiavolo (motoscafo da gara degli anni ’70 progettato da Sonny Levi).
Figura 14 – Motoscafo da gara degli anni ’70: “Arcidiavolo” di Sonny Levi.
In quel caso bisogna dare merito al progettista ed agli esecutori che eliminarono subito le “minigonne” di chiusura dei galleggianti laterali, verso poppa. Purtroppo i problemi dell’Arcidiavolo non si limitarono alla ventilazione. Questa, anzi, ancora oggi è stata definita come un “problema secondario”. Personalmente sono convinto che la mancata eliminazione delle minigonne, “problema secondario”, ben presto sarebbe diventata una necessità impellente. Lo sviluppo delle pressioni, infatti, cresce in maniera esponenziale con la velocità. Dopo aver risolto i problemi dell’impianto moto-propulsore, l’Arcidiavolo avrebbe risentito fortemente della mancata ventilazione, al punto da non poter andare in planata. Si sarebbe innescato un circolo vizioso in cui la potenza necessaria sarebbe cresciuta insieme alla resistenza impedendo allo scafo di “salire sul gradino”.
L’aerazione riguarda anche i pattini longitudinali (in Inglese “spray rails”) delle carene che ne sono dotati. La loro azione, infatti, è quella di riprodurre lateralmente quanto accade longitudinalmente. Superata una determinata velocità, l’acqua, spinta ai lati, anziché lambire la carena e disperdersi in mille spruzzi viene espulsa di prepotenza fuori dello scafo, verso l’esterno. Il gradino serve proprio a facilitare e delimitare il distacco. Un vantaggio sicuro è l’aumento della finezza (rapporto Lunghezza/Baglio) perché la distanza fra i pattini prende il posto della larghezza di baglio provocando una diminuzione della superficie bagnata.
Costruttivamente possono esserci più pattini paralleli fra loro. In questo caso vuol dire che c’è più di una velocità di lavoro, una per ciascuna coppia di pattini.Quelli più vicino alla chiglia delimiteranno la zona di planata.
La sezione trasversale del pattino deve essere idonea sia allle altre che alle basse velocità. I requisiti sono quelli della figura 15
Figura 15 – requisiti del pattino ideale
La deviazione dell’acqua verso il basso garantisce una extra-portanza. L’impatto con le onde avviene prevalentemente nella parte prodiera. In questa zona i gradini sono più efficaci, per questo conviene ridurli di dimensioni e/o dare un invito verso l’alto alla superficie A-B di Figura 15.
Non conviene però estendere i pattini fino allo specchio di poppa per evitare di aumentare inutilmente la superficie bagnata, a meno che questo non sia giustificato dalla velocità. Alle alte velocità, se si taglia il pattino prematuramente, l’acqua si dispone su tutta la superficie disponibile non riuscendo a lasciare la carena in maniera pulita. In più centro delle pressioni si sposta a poppa e la prua “cade” nell’onda provocando un improvviso quanto deleterio aumento di resistenza con possibili problemi di direzionalità.
Mantenendo il gradino lungo tutta la carena, l’acqua rimane confinata nello spazio fra gradini mantenendo la lunghezza bagnata pressoché costante. La riduzione di superficie si ottiene per diminuzione del baglio. Il centro di spinta longitudinale non subisce variazioni apprezzabili. I pattini longitudinali troppo piccoli o “affogati” dalla superficie di chiglia non riescono a lavorare correttamente per mancanza di ventilazione.
Attualmente vengono prodotti scafi a più gradini trasversali (detti “multi-step” – Figura 16 e Figura 17), sia monocarena che multi-scafi. La ragione per cui sono considerati molto efficaci è che l’area bagnata viene suddivisa in aree più piccole di grande efficienza (dato che la larghezza è alta rispetto alla lunghezza). L’area complessiva necessaria al sostentamento risulta inferiore a quella richiesta per una carena con un solo gradino. Il vantaggio consiste in una minor resistenza di attrito.
Il funzionamento dei gradini è garantito solo se supportato da sufficiente e regolare ventilazione. Quando, per qualche motivo, l’aria viene momentaneamente a mancare, una massa notevole di acqua va ad occupare i volumi rimasti sotto vuoto, provocando un brusco aumento della resistenza. Se questo avviene solo da un fianco, lo scafo subisce un brutale scarto dalla parte dove è venuta a mancare la ventilazione e può capovolgersi. Ad alta velocità l’evento è estremamente pericoloso.
Onde evitare il rischio, talvolta, le prese d’aria sono in coperta con un tubo di convogliamento. Più spesso esse sono ricavate sui fianchi col risultato ce basta un’onda presa al mascone per otturarne l’ingresso.
Il frazionamento delle superfici portanti lungo la carena provoca una distribuzione delle forze tale da aumentare sensibilmente la stabilità longitudinale, oppure a perderla del tutto. Normalmente le carene multi-step tendono a mantenere costante l’assetto. Fin quando il mare è calmo non esistono problemi. Appena la superficie si increspa l’assetto costante fa sbattere la prua sull’onda in arrivo rendendo poco confortevole e sicura la navigazione.
Fig.16 – Carena multi step. Vista laterale.
Fig. 17 – Carena multi step vista dal basso. Le aree in grigio sono le superfici portanti
Il fenomeno è ridotto nelle piccole barche perché tendono a saltare da un’onda all’altra. E’ sensibile nei grossi scafi con mare mosso. Un altro pericolo, molto serio, è la perdita di stabilità laterale (cioè al rollio). La riduzione della superficie portante complessiva si ottiene attraverso lunghezze e, soprattutto, larghezze di baglio ridotte. Per quanto la velocità faccia recuperare un po’ della stabilità, la situazione è sempre precaria a causa dei bracci di leva ridotti. Alcuni progettisti hanno introdotto delle soluzioni “aeronautiche” per contrastare il fenomeno montando delle ali, lontano dall’acqua, al solo scopo di controllare la stabilità.
Esistono molti metodi di calcolo delle carene veloci. Quasi sempre il principio è basato su un progenitore comune: Savitsky. Purtroppo la gestione contemporanea di tutte le grandezze non è raggiunta da nessuno, mentre si affacciano nuovi approcci basati sui codici CFD, anche loro limitati e di difficile interpretazione
L’esperienza e la conoscenza dei fenomeni resta ancora oggi l’unico strumento veramente valido a disposizione del progettista.
Nella peggiore delle ipotesi… basta copiare una barca ben riuscita…! Questa modalità è in uso in campo navale da tempi immemorabili. Oggi si preferisce parlare di “carene comparative”, un modo come un altro per ricordare che, se dobbiamo copiare, almeno cerchiamo di farlo meglio.
Gentile Lorenzo Randelli,
Le comunico che l’ing. Carriero ha autorizzato a trasmetterle il suo indirizzo di posta elettronica, in modo da poter rispondere ai suoi quesiti come appassionato del settore.
La contatto in privato.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Gentile Lorenzo Randelli,
la contatto in privato per fornirle l’indirizzo mail dell’ing. Carriero che avvisiamo circa la sua gentile richiesta ed appena darà il consenso gliela forniremo. Il tutto nel rispetto sulle norme che regolano la legge sulla privacy.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Buongiorno,
complimenti per il sito e gli articoli.
sono riuscito a trovare il libro dell’ing. Carriero (“un’introduzione al progetto delle barche a vela”) e se fosse possibile vorrei porre all’ingegnere qualche domanda.
E’ possibile avere la sua e-mail (il sito http://www.crocieratotale.com sembra non più attivo)?
Le assicuro che sono una persona molto morigerata e non le intaserò la casella di posta.
grazie dell’attenzione
Lorenzo Rondelli
Sig. Carriero,
dopo aver letto e riletto con attenzione estrema una infinità di volte le affascinanti riflessioni del suo articolo, le chiedo di illustrarmi le relazioni tra la ventilazione e gli intruder che , secondo quanto lei afferma (…. sono stati studiati (in Italia all’INSEAN di Roma) e realizzati (in Italia dai Cantieri Rodriguez) dei particolari controlli, chiamati “intruder”.
Anche questi richiedono ventilazione) sembrerebbero non funzionare adeguatamente in assenza di ventilazione adeguata. In altri termini, gli intruder senza ventilazione sarebbero inefficaci? Inoltre, la ventilazione da applicare agli intruder dovrebbe essere, secondo lei, della portata degli scarichi motore come nella figura relativa alla realizzazione Rodriguez?
Tante altre sarebbero le domande che vorrei porle ma, sarebbe già molto che lei dissipasse mio dubbio.
Grazie infinite
grazie oscar per la spiegazione e complimenti ancora per la realizzazione del sito… nicola
La Cultura, per fortuna, non è un pezzo di carta su cui qualcuno ha scritto il tuo nome.
Spesso mi è capitato di trovare più buon senso fra gente con la “terza superiore” che fra laureati dai nomi famosi. Caro Nicola hai fatto bene a scrivere, ti rispondo volentieri, e non devi scusarti solo perchè ti consideri un profano.
Lo scenario che hai descritto è vero e reale, ma ha poca parentela con la ventilazione.
La spiegazione è semplice: quando metti insieme più scafi, come nei catamarani o trimarani, crei una zona di libera circolazione dell’aria. Ecco perchè non abbiamo più a che fare con la ventilazione. Le pressioni o depressioni nella zona del canale sono sempre relativamente modeste. Il problema della ventilazione rimane, purtroppo, ma in corrispondenza dello specchio di poppa. Per contro, nello spazio fra gli scafi, hanno importanza le interferenze delle onde, proprio come nelle calli della tua Venezia.
Quando passi con la gondola (…magari allegramente per aver bevuto un’ “ombretta” di troppo…la velocità è essenziale in questo caso) le onde si rifrangono sulle sponde tornando indietro e creando una zona di acque confuse al centro del canale. Gli scafi di un catamarano troppo vicini fra loro creano una resistenza aggiuntiva dovuta proprio all’interferenza delle onde.
I multiscafi da off-shore che raggiungono velocità elevate “accumulano” molta aria nel canale e se ne avvantaggiano perchè essa sostiene una parte del peso. In queste condizioni, però, l’intera barca si sta comportando come un aereo in effetto suolo. Se non si adottano particolari accorgimenti lo scafo può letteralmente decollare con conseguenze solitamente disastrose perchè in quel momento la barca sta facendo un mestiere non suo, per il quale non è adeguatamente attrezzata.
Spero di averti dato un minimo di spiegazioni. In realtà ci sarebbe ancora molto da dire, abbastanza per un altro articolo, che al momento non ho il tempo di scrivere.
Scusami.
Oscar Carriero
Salve a tutti e complimenti per il sito…
scrivendo a riguardo della ventilazione della carena.. e facendo delle sottane rigide tipo le carene dei rio però lunghe e strette magari a livello dell’ ultimo pattino… magari il drag sarà alto a velocità limitate però alle alte velocità dovrebbe convogliare i filetti fluidi (presumo misti aria/acqua) nella direzione voluta… parlo da profano perchè sono un semplice gondoliere di venezia che non ha neanche finito (solo fino alla terza superiore) ipsam G. Cini di venezia nel 93… saluti e ancora complimenti per la realizazzione del sito… ciao Tony (Soccol) da buon veneziano abbiamo amici in comune tra cui mio padre e il mio grande istruttore di sub Sergio… e probabilmente mi avrai anche preso in braccio quando ero bambino.
Semplicemente ancora grazie!
Nicola
Gentile Marco Amati,
come disposto dall’ing.Oscar Carriero, abbiamo provveduto a comunicarti in privato il suo indirizzo e-mail.
Cordialità
Giacomo Vitale
Puoi usare l’indirizzo xxxxxxxxxxxxx. Per quest’anno sono spessissimo fuori sede per lavoro, ma riesco a vedere la posta elettronica.
Ciao Oscar,
ti do del tu perchè già ci siamo conosciuti in aeronautica qui a Bologna.
Ho letto con “voracità” il tuo bell’articolo e accingendomi a collaudare un velivolo idro, annotavo con interesse i vari accorgimenti per limitare i danni da resistenza.
Mi interesserebbe ulteriormente approfondire il discorso della ventilazione degli scafi e di una sua possibile applicazione nel ns. progetto. Se in privato mi invii un’indirizzo email per poterti contattare, evito di annoiare gli altri lettori.Grazie.
A presto
Marco
Non è importante come viene immessa aria sotto la carena, è importante come esce. Purtroppo senza le sottane di contenimento (come negli hovercraft) l’aria scappa via in maniera disordinata creando scuotimenti e persino perdita di controllo. La soluzione dei fori per immettere aria è stata lungamente provata in aria (aeroplani) e in acqua (aliscafi). I risultati teorici sono stati incoraggianti, quelli pratici no: i fori si otturano con una facilità incredibilmente alta.
piccola domanda da profano: creare un cuscino d’aria sotto la carena con una serie di fori collegati ad un compressore o addirittura agli scarichi motore porterebbe qualche vantaggio?