R.N. Araxos – prima puntata
Egeo 1940/41
“Dodici isole” in lingua greca “dodekanissa” secondo la loro etimologia è il nome del gruppo meridionale delle Sporadi “sparse”, tra la Turchia e l’isola di Creta.
Dodici bellissime isole selvagge, alcune delle quali minuscole ed altre grandi che distano appena poche miglia dalla costa turca.
A Sud vi è Rodi, la più grande di esse, l’isola delle rose. Distaccata dall’arcipelago ancor più a meridione la piccola Kasterlorizo e battezzata dagli italiani Castelrosso.
Il Dodecanneso, abitato prevalentemente da popolazioni di origine e lingua greca, ma geograficamente a ridosso della “costa Anatolica”, già nel XVIII Secolo fu oggetto di pretese territoriali da parte dell’Impero Ottomano che nel 1869 le incorporò e le mantenne in possesso sino al 1912, quando a seguito della guerra Italo-Turca furono occupate dall’Italia. Tale occupazione militare fu ufficializzata alla fine della prima guerra mondiale dal trattato di Sevres.
Questo trattato in realtà non fu mai ratificato, ma incluso nel “trattato di Losanna” dopo la breve guerra greco-turca.
Nel 1922 tutte le isole dell’Egeo furono assegnate alla Grecia ad eccezione delle “dodici isole” che divennero italiane. Il Dodecanneso è situato in una importantissima posizione strategica, in quanto domina a Nord l’uscita dei Dardanelli e del Bosforo, quindi il traffico da e per il Mar Nero, a Sud l’isola di Kaso e Skarpatos e l’accesso all’Egeo.
Subito dopo la prima Guerra Mondiale, conscia di questa posizione, la Regia Marina Italiana scelse come base navale l’Isola di Lero con le sue sicure e profonde baie di Porto Lago, di Alinda ed il solitario ancoraggio di Parteni nella parte Nord dell’isola, fortificandola e costruendo le infrastrutture necessarie. (1)
Dal canto suo la Regia Aeronautica costruì nell’isola di Rodi Skarpatos e Lero, alcuni aeroporti e idroscali dai quali entro un raggio di circa 500 chilometri potevano essere raggiunte:
- a Sud la base inglese di Alessandria, il canale di Suez e le raffinerie di Haifa in Palestina
- a Nord-Ovest la Greci
- a Nord lo stretto dei Dardanelli
Per contro, più di 600 chilometri separavano le basi nazionali della Penisola Salentina dagli aeroporti del Dodecanneso. Distanza che comportava il sorvolo della Grecia ed in termini navali il passaggio dello stretto tra il Peloponneso (Capo Matapan) e l’isola di Creta.
Proprio per questa posizione centrale il Dodecanneso si trovò isolato all’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940, sia pur circondato da nazioni neutrali ma legate alla politica mediterranea della Gran Bretagna. Questa situazione di isolamento peggiorò il 26 ottobre 1940 con l’aggressione italiana alla Grecia.
Fortunatamente, nel mese di aprile del 1941 la fulminea avanzata tedesca nella penisola balcanica, esauritasi nel giro di pochi giorni, portò alla totale occupazione della Grecia e dopo il 20 maggio con un aviosbarco, anche l’isola di Creta e tutte le isole dell’Egeo.
In tal modo il Dodecanneso Italiano si trovò “circondato“ dall’alleato tedesco e poté godere di una relativa sicurezza sino all’armistizio dell’ 8 Settembre del 1943, quando tale sicurezza si trasformò in una tragica guerra di occupazione.
Come detto la Regia Marina, nella sua base di Lero, prontamente allestita e rifornita, ospitava all’inizio delle ostilità oltre al naviglio ausiliario, anche la “IV Squadriglia” di cacciatorpedinieri composta dai vecchi caccia “Francesco Crispi“ e “Quintino Sella“ da 1480 tonnellate, entrambi armati con due torri binate da 120/45 e due lanciasiluri trinati.
L’ Ottava Squadriglia Torpediniere era composta:
- dalle moderne unità da 1000 Tonn. “Lupo, Lince, Sirio e Libra“, con tre pezzi da “100/47” e quattro lanciasiluri
- dal Terzo Gruppo Sommergibili composto dal “Tricheco e del Delfino“
- dalla 51a squadriglia con lo “Jalea, Jantina, Ametista e Zaffiro“
- dalla 3a Flottiglia MAS con quindici battelli classe 500
- dai posamine “Lero“ e “Legnano”
- da due cannoniere
- dalla cisterna nafta “Cerere“
In tale data l’Aeronautica dislocata in Egeo sugli aeroporti di “Gadurrà e Maritza” a Rodi aveva il 39° Stormo da Bombardamento su quattro Squadriglie, per un totale di venti vecchi trimotori “SM 81” poi sostituiti con i più moderni “SM 79” e nel 1942 con i “Cant Z 1007”.
I caccia erano rappresentati da undici vetusti biplani “CR 32” reduci dalla guerra di Spagna e poi integrati dai “CR 42” ed infine dai moderni Macchi “MC 200” – Fiat G 50 con sezioni distaccate nei campi ausiliari di Coo e Skarpatos.
A Lero ed a Rodi vi erano 12 idro “Cant Z 501” della 197a Squadriglia da ricognizione marittima, oltre a sette anacronistici idrocaccia biplani “RO 44” dislocati sull’idroscalo di Lero.
Agosto 1940: Baia di Parteni – Isola di Lero
Il guardiamarina “Gigi Sauro” con la sua inseparabile canna da pesca saldamente impugnata si mise ad aspettare pazientemente che la “sua“ piccola cernia si facesse viva con la solita toccatina all’appetitosa esca che anche quel giorno gli era stata preparata.
Era ormai una specie di rito da quando era stato comandato al deposito mine della solitaria base di Parteni, nel Nord dell’isola di Lero. Tutti i pomeriggi Gigi, dopo il servizio si metteva in maglietta e calzoni corti e si recava a piedi verso la punta del Canale Arcangelo. Si sedeva su una roccia vicino alla base degli sbarramenti retali antisommergibili ed aspettava la “sua“ cernia con cui aveva stabilito un reciproco rapporto di fiducia, a cui preparava succulenti bocconcini.
Vedeva il pesce arrivare puntuale e agitarsi sotto la superficie cristallina dell’acqua come se fosse impaziente o seccato per un casuale ritardo. Poi, appena immerso l’amo lo vedeva accostarsi delicatamente e piegare graziosamente il testone bruno e mordicchiare con prudenza l’esca senza toccare l’insidioso amo.
Ormai si era affezionato a quello strano pesce ed al rituale che lo divertiva e se l’avesse abboccato, sarebbe finito il reciproco divertimento e sicuramente anche la fine di un’amicizia. Gigi guardò intorno a se il familiare paesaggio, mentre il sole prossimo al tramonto illuminava con una luce dorata le piatte isole rocciose che chiudevano la Baia di Parteni.
A Nord, il non lontano profilo dell’isola di Patmos e di Lipsi, ad Est le ombre azzurrine della costa turca distante una trentina di miglia, dietro di se il piccolo porto con i due moli e tra i pini i bassi e grigi edifici militari: una casermetta, il posto di guardia, l’imbocco dei depositi di mine in caverna con le rotaie della “decauville“ che seguendo il contorno della baia arrivavano sulla sponda opposta fino alla mancina prospiciente al piccolo molo detto “dell’officina“.
Alla banchina, innanzi agli edifici del corpo di guardia, era ormeggiato il piccolo posamine “Legnano“ ed una sezione di tre MAS. Poco distante, ma in mezzo alla parte più profonda della baia, protetta da un recinto di reti parasiluri, era ancorata tra due boe la nave frigorifero “Asmara“, recentemente pitturata di grigio con strane striature nere e verdi che avrebbero dovuto mimetizzarla e confonderla con il paesaggio retrostante. Era arrivata un mese prima della dichiarazione di guerra e da quattro mesi non si era più mossa.
Un paesaggio, che nella dolce luce del tramonto ricordava a Gigi la sua Pola con le bianche scogliere calcaree, il verde dei pini e le sue grige navi all’ancora.
Gigi Sauro era arrivato a Lero per imbarcarsi sulla torpediniera “Cassiopea“, il suo primo imbarco, ma la nave era in navigazione nel Mediterraneo a scortare i convogli per il Nord Africa e sarebbe “forse“ arrivata a Lero tra un paio di mesi. Così Gigi era stato temporaneamente destinato a terra al comando di una decina di marinai ed un vecchio “capo“, responsabile del deposito mine di Parteni, peraltro completamente vuoto! Parteni, una destinazione considerata da tutti i marinai del Settore Egeo una specie di Cajenna, un’esilio. Infatti, era solo una piccola base militare ausiliaria lontana da qualsiasi centro abitato civile.
Una strada militare sterrata che si inerpicava tra le due brulle cime del monte Gidi ed il monte Calogero, entrambe coronate da moderne postazioni di artiglieria, collegava Parteni con Porto Lago e la baia di Alinda, dove sorgeva il piccolo abitato di Lero, piccolo centro dove Gigi appena sbarcato aveva intravisto qualche piacevole diversivo alla vita militare.
La cernia seguitava a mordicchiare l’esca che Gigi con cattivi piccoli movimenti spostava in alto e in basso. Nel silenzio rotto solo dal tranquillo sciacquio del mare contro la roccia e dallo stridio dei gabbiani al rientro serale, udì un familiare rumore di motore. Si voltò e vide in lontananza il camioncino della Marina che scendeva la strada strombettando e sollevando un incredibile polverone. Poi udì i richiami di tono più basso di un clacson; forse era arrivato il suo amico, il sottotenente di Vascello Benedetti, anche lui polesano e imbarcato sul sommergibile “Delfino“ di base a Lero.
L’unità era evidentemente rientrata in anticipo dalla sua missione di agguato nell’Egeo a caccia di navi inglesi provenienti dai Dardanelli e come sempre Luigi Benedetti, appena sbarcato scappava a Parteni dall’amico Gigi per un paio di giorni di riposo in permesso.
Gigi ritirò la lenza dicendo al grosso pesce: “ciao, ci vediamo domani“ e quest’ultimo deluso dalla fine del gioco lo guardò stupito prima di immergersi. Dopo aver salutato la sentinella agli sbarramenti retali, si incamminò per il piccolo sentiero tra le rocce coperte di ginestre e di un profumato lentisco. La temperatura si era abbassata dopo il tramonto del sole ed una leggera brezza di ponente rendeva piacevole la sera ed il breve cammino.
Dopo una decina di minuti arrivò al piazzale antistante gli alloggi e vide lo sgangherato camioncino blu della Regia Marina contornato da marinai in camisaccio che scaricavano le cassette di cottura destinate al rancio serale. Vide subito Benedetti conversare con un giovane guardiamarina in divisa bianca, che con la sua sacca era appena sceso dalla macchina. “Ciao Gigi, ha abboccato?” Chiese Luigi con un sorriso appena accennato e poi proseguì: “Ti presento il guardiamarina Francesco Attanasio, appena giunto dall’Italia, che aspetta come te l’imbarco sulla “Cassiopea“.
Gigi in calzoni corti e camicia porse subito la mano al nuovo arrivato, prima che lui potesse abbozzare un saluto con la mano al berretto.
“Benvenuto nell ‘Eremo di Parteni, mi sa che aspetteremo un bel po’ l‘imbarco. Le ultime notizie danno la nostra nave a Tripoli! Nel frattempo mi darai una mano a far andar avanti l’ardua amministrazione di questo buco. Si serve la Patria anche facendo la guardia ad un bidone di benzina, ha detto un certo Signore che sta a Roma. Purtroppo il nostro bidone è vuoto“.
La battuta fu accolta con una risata, ma Gigi notò che l’amico Luigi era stranamente taciturno ed accigliato, forse era stanco per la missione appena terminata.
“Luigi come stai? Ti vedo un po giù. Adesso come più alto in carica presente alla base devo fare l’assaggio del rancio… toccherebbe veramente a te, siccome sei un amico ti ho riservato stasera qualcosa di meglio a bordo dell’ Asmara. A proposito Attanasio, sei ovviamente con noi; ti faccio accompagnare a bordo per l’alloggio. Ci vediamo più tardi! Vieni Luigi, accompagnami all’assaggio”
Mentre Francesco Attanasio si allontanava verso la lancia dell’Asmara che attendeva in banchina, accompagnato da un marinaio che gli portava la sacca, Gigi e Luigi si avviarono verso la casermetta.
“Ciao ragazzi, buona SEGA a tutti! Torno alla vita..”
disse ridendo l’autista ai marinai che scaricavano le cassette di cottura ed il cestone delle pagnotte. Poi mise in moto e con una sgasata partì in una nuvola di polvere verso Porto Lago.
“Stasera si scopa…” gridò ai compagni che a bocca storta gli inviarono in coro un cordiale “vaffa…“
Lo stufato con patate, (molte patate e poco stufato), che Gigi trovò come di prammatica “ottimo e abbondante“, non valeva a mitigare il turno di clausura per dieci giovani marinai, ma a loro consolazione, il servizio di guardia a Parteni era di soli quindici giorni, come la “quindicina“ delle prostitute che venivano con il “postalino“ da Rodi a Porto Lago.
Il “quadrato“ dell’Asmara era una vera sala da pranzo del tipo che si vedeva ancora sui piccoli postali/passeggeri. Anziché il quadrato classico disadorno delle unità da guerra, era un ambiente molto accogliente e piacevolmente ventilato ed illuminato.
Gigi Sauro, Francesco Attanasio e Luigi Benedetti sedettero con il Comandante e due ufficiali nel quadrato della nave ausiliaria frigorifera carica di carne congelata che periodicamente scaricava sul piccolo caicco, unità costiere che la distribuivano dai vari presidi militari dell’arcipelago. Il Comandante Parodi, cordiale ed informale come tutti gli ufficiali provenienti dalla Mercantile, mise subito gli ospiti a loro agio.
“Sauro, lei è sempre il benvenuto a bordo e lo sarà anche il Signor Attanasio affinché non prenderete imbarco sulla vostra nave“
disse sinceramente con un sorriso. Poi proseguì sulla “Cassiopea“ non potrete mangiare queste esclusive e favolose bistecche, ammiccando al maestrino di casa in giacca bianca che stava entrando con un gigantesco vassoio pieno di “fiorentine“ che Parodi chiamava “a elevato dislocamento“.
“Tenente Benedetti, com’è andata la missione del ”Delfino?”
Il giovane Tenente di Vascello masticò troppo a lungo il grosso boccone di carne che aveva tagliato nel suo piatto un po’ troppo a lungo, come se non volesse parlare. Poi, con gli occhi bassi era nuovamente a lavorare di coltello e forchetta ed infine disse:
“Niente di particolare Comandante, la solita routine“
ed ingoiò un nuovo grande boccone che gli impegnò nuovamente la bocca.
“Le missioni sono sempre coperte da segreto militare, specialmente quando i siluri fanno “cilecca!”
Disse ridendo Gigi: “Avete notato che il Bagnolini, nel mese di giugno quando fece scalo a Lero per rientrare in Italia, dopo aver affondato un incrociatore vicino a Creta, aveva issato il gran pavese ed aveva passato gli sbarramenti di Porto Lago con la sirena a tutto spiano e con l’equipaggio che in coperta faceva un casino della malora?”
Tutti risero ricordando l’episodio, meno Luigi che sempre più accigliato aveva desistito dall’assalto alla sua bistecca ed aveva incrociato le posate ..
“Benedetti, si sente poco bene? Disse il Comandante: forse sarà la stanchezza accumulata durante la missione, ma se vuole ritirarsi non faccia complimenti“.
“Avete notizie dei naufraghi del Colleoni? Chiese Attanasio. “Un amico del mio stesso corso era a bordo“
“No” disse il Comandante Parodi “sappiamo solo che dopo il combattimento di Capo Spada, ad Ovest di Creta, alcuni naufraghi sono stati raccolti dagli inglesi, altri sono stati raccolti da un caccia greco e portati al Pireo, ma pare che i caduti siano oltre un centinaio, tra i quali il Comandante Novaro“. Forse non sapete che il Colleoni, assieme al Bande Nere era diretto a Lero per rafforzare il dispositivo navale in questo settore. Navi troppo leggere, molto veloci alle prove, ma senza un minimo di corazzatura e sono bastati pochi colpi per mettere fuori combattimento il nostro povero incrociatore“.
Dopo il caffè Attanasio, come novizio, fu obbligato a pagare un giro di bicchierini. Benedetti chiese il permesso di uscire sul ponte, permesso che fu accordato dal Comandante, che essendo genovese, rimase a parlare con il compaesano Attanasio. Gigi seguì Luigi sul ponte, la nave era oscurata, ma una luna piena illuminava l’isola ed il mare con una luce spettrale, mentre l’acqua tranquilla della baia brillava intensamente appena increspata dalla brezza notturna.
Luigi, appoggiato alla battagliola accese una sigaretta. “Cosa ti succede? Non ti ho mai visto così turbato… puoi dirmi cosa è successo durante la missione?
Luigi gettò la sigaretta appena accesa, che con una lunga parabola, come una piccola cometa, cadde sfrigolando nel buio del mare.
“Sai che al nostro rientro stamane abbiamo avuto tutto l’equipaggio consegnato a bordo!! …a bordo di un sommergibile!!! Dopo una missione di quindici giorni è una galera!”
La voce di Gigi era rotta dall’emozione, ma sommessa dalla sua rabbia”. Il Comandate Aicardi si è recato subito a conferire con l’Ammiraglio Biancheri a Rodi; un idrovolante lo aspettava già con i motori in moto… io l’ho accompagnato all’idroscalo. L’equipaggio a bordo è incazzato come una mandria di bufali per non poter scendere a terra fino al rientro di Aicardi… Oltretutto, l’affronto dei carabinieri in banchina!!
Non si possono lanciare tre siluri e tacere con l’equipaggio; ormai tutti sanno della porcata che abbiamo fatto.
“Cosa è successo? In nome di Dio dimmelo Luigi.. “
Benedetti si accese una nuova sigaretta e volgendosi verso Gigi cominciò a parlare sottovoce ed in fretta, come se volesse liberarsi di un peso.
“Dopo due giorni di inutili agguati ad Est delle Cicladi, nella notte tra il 14 ed il 15 agosto siamo emersi per il consueto contatto radio con Rodi. Aicardi ha decifrato da solo un brevissimo cifrato, poi ha aperto un plico d’ordini proveniente da Supermarina Rodi e che ci era stato consegnato a bordo pochi istanti prima di mollare gli ormeggi. Il Comandante era molto turbato e mi fece tracciare una rotta per Thinos; poi mi fece leggere il messaggio con gli ordini. Gigi!.Dovevamo silurare l’incrociatore greco “Helli“ che l’indomani era presente nel porto di Thinos per la festa della Madonna! Il 15 Agosto è la festa dell’Assunzione che richiama migliaia di fedeli e pellegrini da tutta la Grecia nel Santuario di Thinos“.
Gigi! La Grecia non è un nemico, la Grecia è un paese neutrale!
Luigi parlava in fretta tenendo una mano serrata sul braccio dell’amico.
“Siamo arrivati innanzi al piccolo porto dell’isola verso le undici del mattino ed eravamo in immersione a quota periscopica. Aicardi si alternava al periscopio con me. Helli era all’ancora davanti a noi, tutto impavesato a meno di mille metri con la poppa al lungomare del porto ove, in mezzo alla folla passava la processione“.
“Eseguiamo gli ordini“ …poi diede il comando:
“Fuori cinque, sei, sette“
Poi senza seguire la corsa dei siluri si allontanò dalla camera di manovra.
“Benedetti porti il battello a casa” mi disse prima di ritirarsi nel suo camerino”
“Caro Gigi, non abbiamo fatto cilecca, abbiamo fatto una strage, un assassinio”
“Mi precipitai al periscopio in tempo per vedere l’ Helli colpito a mezza nave, spezzarsi in due ed affondare. Il secondo siluro non esplose sul bersaglio già in fase di affondamento, ma il terzo o forse anche il secondo, colpirono il molo sul quale passava la processione. Ho sempre negli occhi e la porterò per tutta la vita l’immagine dell’esplosione.
La gente che fuggiva terrorizzata tra donne e bambini a terra, l’immagine Sacra rovesciata, in mezzo alla strada sangue!
L’equipaggio del nostro battello esultava ignaro della natura del bersaglio colpito. Loro, bravi ragazzi, erano colpi andati a segno contro il nemico. Avevamo eseguito il lancio con i tubi poppieri e quindi ritirato il periscopio ordinai: “Pari avanti, immersione a dieci metri, rotta per 180°, via così“; poi sotto lo sguardo ridente ma interrogativo degli uomini in camera di manovra mi limitai a dire la mia mezza verità. Abbiamo colpito un’unità da guerra, adesso rientriamo a Lero.
Poi andai a cercare Aicardi, i marinai forse cominciarono a capire che era accaduto qualcosa di sbagliato. Gigi pose la mano sulla spalla dell’amico che guardava fisso il mare forse senza vederlo e disse: “E’ una guerra maledetta come tutte le guerre. Adesso cerchiamo di provocare ed intimidire anche la Grecia, così avremo un nemico in più alla resa dei conti. Vedrai, comunque, che daremo la colpa agli inglesi, puoi starne certo, disse Gigi sommessamente. “La nostra 51a di Lero è una squadriglia maledetta“
“Tu forse non lo sai, ma noi ormai ne abbiamo la certezza ed il nostro battello gemello, il “Tricheco“, il mese scorso mentre rientrava a Lero, nel canale tra Creta e Skarpatos ha affondato con una coppia di siluri il gemello di squadriglia “Gemma“ di notte per un errore di identificazione. Pare che il Gemma fosse un po’ fuori della sua zona di agguato. Non si è salvato nessuno ed è andato giù a fondo con cinquanta nostri amici“
Post scriptum
Nel 1951 l’incrociatore italiano “Eugenio di Savoia“, una delle più belle unità della Regia Marina, ammainava la sua bandiera che lo aveva visto combattere vittorioso a Punta Stilo e Pantelleria. La bella nave veniva consegnata alla Marina Greca che o ribattezzava “Helli”. Ancor prima che, in base alle clausole del trattato di pace la Marina Italiana cedesse la nave, nel grande palazzo che sul lungo Tevere ospita il Ministero della Marina, qualcuno disse: “Glielo avremmo dovuto consegnare subito e senza essere richiesto“. Era una voce isolata?
Che la Marina Italiana abbia ripudiato e smentito l’episodio dell’affondamento dell’ Helli, da parte del sommergibile “Delfino“ avvenuto l’11 agosto del 1940, due mesi prima che l’Italia dichiarasse guerra alla Grecia è dimostrato dalla Storia ufficiale (tomo Io, del volume “Sommergibili nel Mediterraneo XIII volume della serie la R.M. Italiana nella II guerra mondiale“ edito nel 1967 dall’ Ufficio storico della Marina, che si limita a dire a pag. 80: “La parte Nord dell’Egeo fu pattugliata dal Smg Delfino che tra il 14 ed il 17 agosto 1940 effettuò una ricognizione tra le isole Cicladi, intesa ad individuare il traffico sospettato di favorire l’avversario”.
Una strana precisazione che fa degna coppia con l’articolo pubblicato il 17 agosto 1940 dal “Corriere della Sera“ che, con il titolo: “La mano di Churchill”, attribuiva l’azione agli inglesi che avrebbero usato siluri costruiti in Italia dalla Witehead di Fiume per far credere che l’azione piratesca fosse opera degli Italiani.
In effetti, a parte l’identificazione dei resti dei siluri da parte della Marina Greca e identificati come italiani costruiti dal Silurificio Italiano di Baia con la sigla SI 170 n /450 (lotto ad esaurimento costruito nel 1934) i cui resti sono oggi esposti al museo Navale del Pireo, è ormai accertato che il Quadrumviro De Vecchi di Valcismon, governatore del Dodecanneso, abbia brigato presso Mussolini, il quale ansioso di “spezzare le reni alla Grecia” diede ordine a Supermarina di effettuare segretamente l’azione provocatoria.
20 marzo 1941: Porto Lago – isola di Lero
“Signor Sauro, La vogliono in plancia“. Gigi Sauro balzò dalla sua cuccetta nel camerino che divideva con altri tre guardiamarina a bordo del cacciatorpediniere “Francesco Crispi”. Ancora con gli occhi chiusi evitò, come se fosse un riflesso condizionato, la traversa della cuccetta superiore, ringraziò il marinaio che lo aveva svegliato e si vestì in fretta.
Dalle vibrazioni e dal tenue ronzio dei turboventilatori percepì che la nave aveva acceso i motori e che era imminente un movimento. Dopo essere passato nel quadrato per una rapida tazzina si caffè, imboccò la ripida scaletta che conduceva in plancia.
Il Comandante Ferruta ed il suo secondo erano chini su una carta nautica al tavolo di carteggio.
“Guardiamarina Sauro”
“agli ordini!”
“Ah, bene.. Sauro provveda al richiamo della gente a terra, tra un’ora molliamo gli ormeggi e dirigiamo per Parteni. Il tempo è assicurato.”Faccia togliere solo i tendalini di prua“, aggiunse il Secondo.
Il vecchio cacciatorpediniere era ormeggiato alla boa nella baia di Porto Lago accanto al gemello “Quintino Sella“. La baia era inondata dal sole del mattino appena sorto dalla corona di montagne che la circondano e la proteggono. Solo ad Ovest l’angusto varco per uscire in mare aperto a Sud-Ovest la piana dell’ idroscalo e l’arsenale che confina con la baia di Serocampo sul versante Sud dell’Isola. Gigi scese sulla motolancia pronta sottobordo e ordinò al nocchiere di mettere in moto.
“Presto, alla banchina dell’ Arsenale, dobbiamo riportare a bordo i ragazzi che sono scesi a terra stamane per ritirare la biancheria e la posta”, disse e pensò sconsolatamente, che come al solito i movimenti della Flotta Italiana siano alla mercé delle locali lavanderie greche.
Entro mezz’ora tutta Lero e con tutta probabilità qualche agente inglese, avrebbe saputo che i due caccia “Crispi” e “Sella“ partivano in missione.
Ma se si andava a Parteni, forse era la volta buona!
Quattro mesi prima, nel dicembre del 1940, il beato “esilio“ a Paterni dei due giovami guardiamarina Sauro ed Attanasio era finito. Era stato interrotto dall’ arrivo nella solitaria base di due caccia: lo “Strale“ ed il “Dardo”.
Strano e inusuale arrivo: anziché a Porto Lago le due navi erano arrivate direttamente da Augusta a Parteni. Si fermarono poche ore ormeggiate alle boe in mezzo alla rada. Gigi aveva ricevuto poche ore prima una telefonata dal Comando Marina di Lero, dicendogli di provvedere all’alloggio di una decina di uomini ed il ricovero di otto natanti di natura non precisata. Appena recatosi a bordo dello ‘Strale” , vide i misteriosi natanti che i marinai si apprestavano a calare in mare con le gruette elettriche. Dopo essersi presentato ed aver ricevuto istruzioni dal Comandante, Gigi aveva trovato un guardiamarina compagno di corso che era riuscito a soddisfare la sua curiosità.
Gli fu detto vagamente che erano “barchini esplosivi“ tipo MT, la nuova arma segreta della Regia Marina, di cui aveva sentito sussurrare dalle immancabili “voci di prora“, iI soliti “si dice”, “ho saputo che“, che circolano nei quadrati tra i parigrado.
Piccoli motoscafi con uno striminzito posto di pilotaggio all’estrema poppa, una strana coppia di eliche coassiali sistemate in una specie di piede orientabile e retrattile, un potente motore Alfa Romeo e trecento chilogrammi di Tritolo nello scafo.
L’operazione di sbarco durò poche ore. Al tramonto, mentre i due caccia uscivano silenziosamente dalla baia, Gigi e Francesco fecero rimorchiare con la motobarca della base gli otto barchini che, vincolati alle loro invasature, galleggiavano vincolati alle boe. Li rimorchiarono alla banchina prospiciente alla piccola officina che era un po’ isolata sull’altro lato della baia ed era munita di una mancina. Ricevuti da Attanasio, che faceva un po’ gli onori di casa, erano sbarcati una decina di ufficiali e sottoufficiali che con i loro scarsi bagagli si erano recati a bordo dell’ Asmara.
L’Officina, dopo l’alaggio dei barchini che furono subito ricoperti dai loro teli, fu isolata e messa sotto vigilanza armata.
Quella sera il Quadrato dell’ Asmara fu piuttosto animato ed affollato. Oltre al Comandante Parodi, Sauro ed Attanasio erano presenti gli otto piloti dei barchini con il loro comandante: il Tenente di Vascello Faggioni. La pace di Parteni era finita il 26 0tt0bre, quamdo l’Italia dichiarò guerra alla Grecia.
Quella sera a bordo dell’Asmara Gigi ricordò l’episodio dell’ Helli, ormai se ne parlava ovunque a Lero. I siluri del “Delfino” avevano dato i loro amari frutti. Nei mesi successivi la base di Parteni, che vide il decentramento di qualche unità di passaggio, subì un ‘incursione da parte di aerei inglesi. Fu per Sauro e Gigi il battesimo del fuoco, quel tardo pomeriggio erano andati a pescare o meglio, come diceva Francesco, a trovare la “Signora”.
Erano seduti sul solito scoglio vicino all’ancoraggio delle prime boe dello sbarramento del canale di Faradi, quando la loro attenzione fu attratta da alcuni colpi di mitragliera che partivano dalla batteria antiaerea sovrastante.
Quasi contemporaneamente videro un curioso e vecchio biplano che sbucava da dietro la montagna. Era a pochi metri di quota dalla superficie del mare, lentissimo e rombante con il suo grosso motore stellare, passò in virata dirigendosi verso l’interno della baia. Francesco vide distintamente il pilota con il casco e gli occhialoni calati sul volto ed il mitragliere seduto di dietro che, fuori dalla fusoliera a mezzo busto, impugnava una mitragliatrice rivolta verso di lui. Fu la visione di un attimo. L’aereo era uno “Swordfish della Royal Navy mimetizzato in grigio e blu, con le grandi coccarde rosse bianco e blu cerchiate di Giallo.
“Porca miseria!”, urlò Gigi: “guarda è un aereosilurante! Addio bistecche!” E si alzo’ istintivamente in piedi per seguire il volo dell’aereo che era sparito basso dietro la punta Timari, seguito da Francesco. Mentre percorrevano di corsa il sentiero che portava a Parteni, udirono il cupo rombo di una grande esplosione:
“hanno colpito l’Asmara”
Dopo dieci minuti di corsa affannosa arrivarono in vista della baia e con sollievo videro la nave intatta.
Quella sera a tavola il Comandante Parodi raccontò che l’aereo era arrivato basso in virata ed aveva sganciato il siluro prima di livellare le ali. L’arma dopo una breve corsa era finita fuori dal recinto delle reti, esplodendo contro gli scogli…
“Infatti, stasera mangeremo pesce! Esclamò l’anziano Comandante genovese.
Era arrivato l’inverno ed anche la signora cernia di Gigi, che ora cominciava ad essere affezionata anche a Francesco, fu lasciata definitivamente in pace. Parteni era diventata una località ancora più isolata, in quarantena, segreta ed i contatti con il resto di Lero, proprio in funzione di questo “segreto”, erano stati ridotti al minimo. Gli uomini dei barchini esplosivi eseguivano esercitazioni di navigazione notturna e di passaggio delle ostruzioni retali, oppure corse velocissime verso il bersaglio che era rappresentato dall’Asmara.
Gigi e Francesco erano coinvolti, sia pur marginalmente in queste attività, essendo responsabili della piccola base, erano stati messi al corrente dal Tenente di Vascello Faggioni degli scopi dell’esercitazione, con l’eccezione della natura ed ubicazione dell’obiettivo che era sconosciuto anche dai piloti. Faggioni aveva vincolato Gigi e Francesco, i soli ammessi all’officina dei barchini, al segreto militare . Così i due giovani avevano stretto amicizia con i piloti dei mezzi. A Gigi era stato dato permesso di pilotare anche un barchino ed esso ricordava con emozione quella pazza corsa sull’MT nella baia, una sensazione unica volare sull’acqua con il rombo dei novanta cavalli del motore Alfa Romeo, scatenati a fondo manetta e col vento della corsa sul viso. Poi i due giovani guardiamarina erano stati destinati come “collegamento” del distaccamento Faggioni, rispettivamente sul caccia “Crispi” e “Sella”, della 4a Squadriglia cacciatorpediniere presente a Porto Lago.
I due vecchi caccia erano stati attrezzati con gruette elettriche ed erano stati destinati al trasporto dei barchini. Le due unità avevano già fatto numerose soste a Parteni per provare le manovre di sbarco ed imbarco dei mezzi d’assalto.
Adesso Gigi era a prua del Sella, comandato alla manovra di disormeggio. In ginocchio sulla grande boa, bianca per gli escrementi dei gabbiani, un marinaio sacramentava a bassa voce per liberare il maniglione della catena che teneva vincolato il caccia. Gigi affacciato alla battagliola vide il marinaio alzare un braccio e gridare “libero”, mentre il penzolo della catena oscillava sotto la cubia, “Libero a prora”, disse nel microfono ed al ricevuto gridò forte all’addetto al verricello “Salpa mezza tesa”. Una leggera brezza stava facendo scostare la nave ormai libera dalla boa, che scadeva a sinistra e Gigi riponendo il microfono, vide Francesco sulla prora del Crispi intento ad una identica manovra.
Il clangore delle maglie della grossa catena che passavano rumorosamente per l’occhio di cubia, copriva il rumore delle macchine messe avanti adagio. Il Sella adesso si muoveva lentamente verso gli sbarramenti che chiudevano la base di Porto Lago, seguito dal gemello Crispi. La nave sfilava a poca distanza davanti alle attrezzature del lato meridionale della base dove molti apprestamenti erano erano ricavati in caverne scavate nella ripida montagna sovrastante. Alla banchina torpediniere erano ormeggiate la “Lince e il Lupo” che nel mese di gennaio si erano distinte in un vittorioso combattimento notturno contro il traffico inglese in Egeo.
I MAS erano raggruppati un po’ più avanti, poi la banchina sommergibili con i battelli in transito o ai lavori. Gigi vide l’ormeggio vuoto del “Gemma, vittima del Tricheco”, con accanto il il “Delfino” che era relegato negli ultimi ormeggi.. battelli neri e bassi sull’acqua, come oppressi dalle colpe commesse, pensò. Passando a pochi metri dalle loro prue Gigi scorse in plancia al Delfino l’amico Benedetti che salutava con gesto stanco i caccia in uscita. L’angusto passaggio tra la baia ed il mare, serrato tra le due montagne a strapiombo, era già libero dagli sbarramenti antisommergibili che il natante guardia porto aveva già aperto.
Il cacciatorpediniere emettendo nere volute di fumo dalle sue due ciminiere, ormai in franchigia, accelerò la corsa virando verso Nord seguito dal “Crispi”. Gigi libero dal servizio si mise accucciato su un mucchio di salvagenti vicino al telemetro di poppa, ove al riparo dal vento e riscaldato dal tepore che proveniva dalla base del fumaiolo, si mise ad osservare il paesaggio, ma poco dopo abbassò su gli occhi l’elmetto di acciaio e si abbandonò all’eterno nemico: il sonno, sempre in arretrato. Si svegliò dopo mezz’oretta quando il rumore dei motori cambiò di tono.
La veloce corsa lungo le scoscese coste occidentali dell’isola era terminata.
Tra la bassa punta Marcello e l’isoletta di Farado il primo sbarramento di reti era già aperto e le sentinelle sul pontone guardiaporto salutarono sull’attenti il passaggio dei caccia. Il “Crispi” rallentando a pochi nodi si inoltrò nello stretto canale in attesa che il secondo sbarramento si aprisse. Poco dopo, virando a Sud dell’isola di Arcangelo, entrava nella baia di Pasteni che circondata come era da isolotti e montagne sembrava un lago delle alpi. Una motobarca sbuffando fumo nero venne loro incontro e li condusse alle boe ove presero nuovamente ormeggio. Gigi era nuovamente a prua per la manovra.
“Buongiorno signor Sauro e bentornato! Tutti i barchini, secondo gli ordini, sono pronti alla banchina dell’officina“, disse il Capo dalla motobarca, mentre un marinaio ammanigliava il penzolo della catena che Gigi aveva fatto filare. “Pare che vogliamo procedere subito all’imbarco“
Nel tardo pomeriggio tutte le operazioni erano terminate e tutti i mezzi d’assalto erano a bordo rizzati e coperti con i propri teli.
Poi un ricognitore inglese passò alto su Parteni. “Le lavanderie di PortoLago funzionano!“ disse Gigi che aveva raggiunto la banchina guardando l’aereo che altissimo faceva una larga virata sulla baia illuminata dal sole dorato del tramonto. Era un grande quadrimotore Sundeland che lentamente si allontanò verso Sud.
Era quasi buio quando un altro rumore di aereo in avvicinamento giunse alle orecchie di quanti erano in banchina. Un trimotore idro “Cant 506”, dopo una larga planata ammarò nella baia e si portò flottando alla banchina dell’Officina . .
Appena spenti i motori ed attrezzata la scaletta ne scese il Capitano di Fregata Moccagatta, comandante dei mezzi di superficie della “X MAS” ed il suo aiutante, il Tenente di Vascello Osservatore Bertone.
Quella sera tutti si ritrovarono nel quadrato dell’Asmara. Moccagatta, al termine della cena, dopo aver ringraziato il Comandante Parodi per le bistecche divenute ormai le “mitiche bistecche di Parteni” e dopo un doppio giro pagato da lui e da Bertone, senza preamboli disse: “L’obiettivo è la baia di Suda nell’isola di Creta”. Si udì un mormorio di soddisfazione e di sollievo perché finalmente si partiva per l’azione che era stata rimandata più volte per mancanza di bersagli.
“Il Tenente Bertone ha eseguito ieri una ricognizione aerea sulla baia partendo da Rodi con un “SM 79” della Regia Aereonautica ed ha fotografato un convoglio appena arrivato e scortato da un incrociatore e da vari caccia. Probabilmente entro domani o al massimo dopodomani si riorganizzerà e proseguire per la Grecia. Dobbiamo agire e colpire prima che se ne vada!. Io e Bertone rientriamo domattina con il nostro idro. Voi partirete stanotte per Stampalia“ disse rivolto ai comandanti dei due caccia, il Capitano di Fregata Ferruta ed il Capitano di Corvetta Radaelli.
“Noi prima della partenza per Rodi siamo attesi al Comando Marina di Lero, dall’Ammiraglio Biancheri. Pare che ci sia un nuovo intervento della X MAS qui in Egeo. Comunque per voi c’è Suda che vi aspetta, se qualcuno di voi rientra in tempo ne possiamo riparlare. E’ un augurio“ terminò sorridendo.. ed accanto alle carte stese sul grande tavolo, pose una serie di fotografie.
“Come potete vedere, vi sono cinque trasporti grandi e sette medi, due caccia ed una unita’ imprecisata che direi è un incrociatore pesante da non meno di diecimila tonnellate. Gli sbarramenti retali esterni alla baia e quelli interni sono ben visibili“.
Poi rivolto a Faggioni disse: “Luigi lascio a te i particolari tattici“. La discussione durò sino a mezzanotte, quando tutti si prepararono per la partenza.
Gigi e Francesco, che erano rientrati subito a bordo, avevano notato con piacere e sorpresa che tra un Capitano di Fregata come Moccagatta ed il sergente Emilio Barberi, entrambi piloti di barchini, non vi era nessun ostacolo di natura gerarchica, ma una grande confidenza e familiarità impostata sul reciproco rispetto e sull’appartenenza ad una “confraternita dove il rischio calcolato e la determinazione a raggiungere l’obiettivo era il “credo“.
Alle 01.30 del 21 marzo 1941 il “Crispi” ed il “Sella” uscirono silenziosamente dalla Baia di Parteni.
Isola di Lero – Comando Marina Porto Lago 21 marzo 1941
“Accomodatevi“, il Capitano di Fregata Moccagatta ed il Tenente di Vascello Bertone si sedettero sulle comode poltrone in pelle innanzi alla scrivania dell’Ammiraglio Biancheri. Le pareti della stanza erano adorne di fotografie di navi, mentre una parete era quasi completamente tappezzata di carte nautiche dell’Egeo. In un angolo la bandiera e un gagliardetto azzurro con tre stelle, simbolo del Comando di Settore. Le finestre davano sulla baia di Porto Lago dove una torpediniera era in manovra contro il forte vento per andare all’ormeggio.
“Posso offrirvi un caffè?“ E in attesa di ordini, fece un cenno al piantone che immediatamente sparì.
“Comandante Moccagatta ho letto il suo rapporto sul piano di operazioni a Suda e mi auguro che sia coronato da successo.
Supermans mi ha comunicato che Lei e la sua squadriglia di mezzi speciali siete a disposizione del Comando Marina dell’Egeo. Ho ricevuto anche sollecitazioni per un atteggiamento più aggressivo della nostra Marina in questo settore. Purtroppo la perdita del Colleoni ed il rientro del “Bande Nere”, dopo lo scontro di Capo Spada, ha fatto sfumare la possibilità di avere un nucleo di navi veloci e ben armate per poter programmare puntate offensive verso Grecia o contro il traffico inglese in uscita da Suez. Cosa possiamo fare con i suoi uomini e con i suoi mezzi?“
Moccagatta rimase un po’ perplesso e preso di contropiede da questa domanda disse: “Ammiraglio, se l’azione contro Suda ha luogo nella prossima notte, indipendentemente dal successo, dobbiamo considerare che tutti i mezzi siano perduti e che con tutta probabilità i piloti cadano prigionieri, essendo il piano di recupero estremamente aleatorio. Quindi le possibilità offensive della X MAS ai miei ordini in Egeo debbono considerarsi esaurite, a meno che con un contrordine” e qui Moccagatta guardò con ostentazione il suo cronometro da polso, “non decidiamo di impiegare a Suda solo la metà dei mezzi, ma è mia opinione che con la baia piena di navi valga la pena di dare un colpo “a fondo”.
“Sono d’accordo con Lei Comandante“, intervenne Biancheri. Moccagatta proseguì: “d’altronde non disponiamo anche in Italia di altri barchini. Gli otto di Suda sono dei vecchi MT, tra i quali due vecchi prototipi modificati che tenevamo ad Augusta per una eventuale azione contro Malta. Probabilmente, non prima della fine di gennaio, avremo pronta la prima serie di MTM che Baglietto e a CABI stanno approntando”.
Bertone rivolto a Moccagatta intervenne: “Comandante, potremmo prendere in considerazione il progetto “imbottigliamento“ che avevano studiato e proposto a Supermarina sin dal 1935. Può darsi che si possa utilizzare in questo settore. Certamente vi sarà a Rodi o in qualche nostro porto dell’Egeo, qualche vecchia carretta.“
“Di che si tratta?“ chiese incuriosito l’Ammiraglio.
“Vede Ammiraglio, durante la crisi etiopica in caso di guerra contro la Gran Bretagna avevamo studiato un piano per imbottigliare o bloccare, mediante l’affondamento di navi mercantili piene di cemento e pietrame, le imboccature dei porti di Malta, Alessandria, Biserta e del Canale di …Suez”
terminò Moccagatta colpito da una idea suggeritagli da quest’ultimo nome, “il canale di …. “era arrivato il caffè. Moccagatta rimase un po’ pensieroso guardando le grandi carte nautiche alle parete. “Certo” disse Biancheri quando il piantone uscì dalla sala. “Anche io sto pensando al canale, ma come Lei sto pensando al canale di Corinto attraverso il quale attualmente passano tutti i rifornimenti diretti dal Pireo a Prevesa e Corfù, sostenendo il il fronte Greco/Albanese, dove l’esercito greco oppone una grande resistenza ai ostri attacchi e pare sia passato anche ad una controffensiva“ terminò l’Ammiraglio che si alzò dirigendosi verso la parete delle carte nautiche.
“Sarebbe un bel colpo riuscire ad imbottigliarlo, signor Ammiraglio, ma il problema è quello di trovare il “tappo” giusto”.
Moccagatta e Bertone si erano anch’essi alzati in piedi per guardare le carte particolareggiate del golfo Saronico, comprendente il Pireo, il Canale di Corinto sino al golfo omonimo. L’Ammiraglio, consultando un Portolano preso da uno scaffale, lesse:
“Il Canale di Corinto, i lavori del quale furono iniziati già sotto l’impero di Nerone, fu aperto al traffico nel 1893 e consente il passaggio di navi con dislocamento non superiore alle seimila tonnellate ed abbrevia, di centocinquanta miglia la navigazione tra i porti dell’Adriatico e del Pireo. Il canale lungo seimilatrecentocinquanta metri è un trincerone con le sponde alte ottanta/cento metri, scavato nella roccia calcarea e largo mediamente ventiquattro metri, con una profondità d’acqua di sette metri.“
“Accidenti, una carretta di duemila o tremila tonnellate sarebbe il “tappo ideale”, disse con un vago sorriso sulle labbra.
“Da qui a Corinto ci sono circa trecentocinquanta miglia, tutte in mezzo a isole controllate dai greci e adesso dagli inglesi”, proseguì dopo aver riposto il voluminoso Portolano ed aver misurato a palmi la distanza sulla carta.
”Bisognerebbe agire subito, ma chi porta la nave nel collo della bottiglia?“
Moccagatta e Bertone si guardarono per un attimo negli occhi…
“Noi Ammiraglio!“
“Voi due? …Apprezzo l’entusiasmo ma non credo…”
“Purtroppo io devo rientrare in Italia,” interruppe Moccagatta, “ma penso che per condurre una carretta potremo racimolare un equipaggio ridotto di volontari, qui a Lero, inoltre, come membro dello Stato Maggiore della X MAS, il TV Bertone potrebbe assumere il comando con Curti come II. I due guardiamarina di Parteni, che sono distaccati sul Sella e Crispi, mi sembrano ottimi elementi, ma questo non ed il vero problema è la nave. Lei Ammiraglio ha qualche suggerimento?”
Biancheri pensò un po’ consultando una agenda.
“Mi pare di ricordare… credo che a Rodi ci siano delle navi internate o in disarmo o catturate all’inizio dele ostilità… ecco; si potrebbe usare il “Metaxas“. Mi pare potrebbe essere adatta. E’ una vecchia carretta greca che portava proprio cemento e collettame qui nell’Egeo.. una “tramp“ e ricordo di averla vista anche qui a Porto Lago prima della guerra. Mocagatta riferisca del suo piano a Roma e per quel che mi compete autorizzo il TV Bertone ad agire con pieni poteri per organizzare l’equipaggio e approntare la nave. Se voi rientrate a Rodi oggi potreste già esaminare la nave e vi precedo con un mio cablo“.
Ancorato ad un gavitello innanzi alla Palazzina del Comando Marina, l’idro Cant Z 506 attendeva con i motori al minimo.
Isola si Stampalia – 22 Marzo 1941
I caccia Crispi e Sella erano ancorati a pa0cchetto, rispettivamente sul fianco destro e sinistro del posamine “Lero“ all’ancora nella baia di Analipsi, che si apre sulla costa Sud dell’isola di Stampalia, l’isola più occidentale dei possedimenti italiani in Egeo.
Gigi e Francesco erano a terra sulla spiaggia sabbiosa in fondo alla baia, avevano accompagnato con la motobarca il TV Corti che doveva rientrare a Rodi con l’idrovolante.
Il Cant Z506 con il motore centrale al minimo era fermo con la punta dei galleggianti affondati nella sabbia. Corti era arrivato un paio di ore prima con le ultime foto della baia di Suda e Faggioni, in una ultima riunione a bordo del “Lero“ aveva deciso l’azione per la stessa notte. “I Comandanti Ferruta e Radaelli sono d’accordo per il vostro sbarco immediato non appena il Sella ed il Crispi rientreranno a Lero, il che spero possa avvenire domani sera. Siete momentaneamente in forza alla “X MAS”, che come sapete è composta da volontari selezionati”, disse Corti rivolto a Gigi e Francesco sull’attenti sulla sabbia innanzi a lui. “Attenderete a Parteni l’arrivo del piroscafo sul quale dovreste prendere imbarco”.
Corti sottolineò la parola “dovreste“ e proseguì “per l’azione della quale vi ho parlato per desiderio e ordine del Comandante Moccagatta. Il cargo arriverà al comando del TV Bertone e si ormeggerà nella Cala di Blefuti, ad est di Parteni. Un posto che voi due dovreste conoscere bene, presso il pontile della vecchia cava. Appena completato il carico dovremo partire, io sarò a bordo ragazzi“ proseguì Corti“. “E’ un’azione un po’ rischiosa e siete sempre in tempo a ritirarvi, considerata la vostra momentanea appartenenza non ufficiale alla X MAS“.
Gigi e Francesco si guardarono per un attimo negli occhi e poi all’unisono dissero:
“No Comandante, siamo con Lei”
e Francesco poi aggiunse: “per buona misura“
“Per carità a Parteni si muore di noia“, poi pensò, ma non lo disse, che in fin dei conti forse Parteni era meglio di un campo di prigionia in Grecia. Forse lo stimolo a fargli dire di si era stato il maledetto spirito di avventura che lo aveva già fregato altre volte, “allora vi aspetto a Blefuti al più presto“.
I due, sempre sull’attenti, si irrigidirono in un impeccabile saluto degno della decisione presa pochi istanti prima. Corti rispose al saluto, saltò sulla prua di uno dei galleggianti per poi inerpicarsi sulla scaletta appoggiata alla fusoliera, per salire a bordo. Con l’aiuto dei marinai della motobarca, anche essa con la prua affondata nella sabbia, il grosso trimotore fu spinto indietro, finché con la spinta di un motore laterale si girò su se stesso per orientarsi verso l’imboccatura della baia ed iniziare la corsa di decollo. Fu in quell’attimo che l’aeroplano inglese arrivò.
Arrivò basso con il sole alle spalle, scavalcando la montagna a volo radente e passando con il pieno rombo dei suoi due motori sulla spiaggia. Era ad una cinquantina di metri d’altezza e puntava deciso verso i due caccia ancorati con il “Lero”, in mezzo alla baia.
Lo stretto bacino d’acqua era un inferno di rumori scatenatisi all’improvviso. Il rombo dei bombardieri inglesi, quello del Cant Z che decollava, il tiro rapido e tambureggiante delle mitragliere dei caccia e delle postazioni a difesa della baia, il lugubre e ritmico suono delle sirene d’allarme delle navi.
L’idro proseguì la sua corsa con un decollo “strappato“ ed una pronta virata verso Est, mentre il bimotore “Blenheim” sganciava le sue bombe. Il “Lero” fu colpito in pieno e da esso, dopo le esplosioni si levarono ampie volte di fumo. Dalla spiaggia il posamine ed i due caccia distavano circa mezzo miglio e la motobarca lo percorse alla massima velocità consentita dal suo piccolo diesel.Mentre si avvicinavano ansiosi verso le navi, Gigi commentò amaramente: “Porca miseria, arrivano sempre al posto giusto ed al momento giusto…
Come vedi, il servizio di lavanderia funziona sempre bene!“ I danni non erano rilevanti, ma un marinaio purtroppo era morto e due furono feriti. Inoltre, due barchini sul “Sella” furono danneggiati e dovettero essere sbarcati. Faggioni decise di partire subito e cambiare ormeggio. Il “Sella” ed il “Crispi” lasciarono il malconcio “Lero“ alle 17,30.
Solamente sei barchini e sei piloti nella notte del 25 marzo 1941 violarono con successo la Baia di Suda.
Post scriptum
La sera del 25 marzo i cacciatorpediniere “ Crispi e “ Sella lasciarono l’ormeggio dell’Isola di Stampalia , dirigendosi verso l’isola di Creta dove a circa sei miglia dalla penisola di Akrotiri, nella notte vennero messi a mare i mezzi d’assalto che iniziarono a lento moto l’avvicinamento, superando poi i diversi ordini di ostruzioni della baia di Suda. ( 6 )
All’alba, in rapida successione vengono eseguiti gli attacchi:
- Il TV Luigi Faggioni tenta di colpire l’incrociatore inglese “Coventry“ in moto, ma l’attacco fallisce
- Il STV Angelo Cabrini colpisce l’incrociatore pesante “York“
- Il Capo Meccanico III Cl. Tullio Tedeschi colpisce ancora l’incrociatore “York“
- Il Capo Cannoniere III Cl. Alessio de Vito non colpisce…
- Il 2° Capo Meccanico Lino Beccali colpisce la nave cisterna “Pericles”
- Il Sergente Cannoniere Emilio Barberi non colpisce…
- Due barchini esplosivi MT sono colpiti lungo la costa
- Un barchino viene recuperato inesploso
- Tutti gli operatori illesi vengono fatti prigionieri e successivamente decorati con Medaglia d’oro al Valor Militare
La R.N. Frigorifera “Asmara“ affondò il giorno 11 Agosto 1943 a circa 2.8 d miglia dal faro delle Pedagne, all’imboccatura del porto di Brindisi, colpita a poppa da un siluro lanciato da un sommergibile alle ore 18,00 del 10 agosto, andando alla deriva in costa dove si incagliò ed il giorno successivo affondò adagiandosi sul fianco.
Il R. Sommergibile “ Tricheco “ affondo’ il giorno 18 Marzo 1942 al largo di Brindisi mentre era in rotta di trasferimento da Augusta, alle ore 17,30 si trovava a 4 miglia dal porto di Brindisi, navigando in emersione sulle rotte di sicurezza, quando fu colpito dai siluri del sommergibile inglese “Upholder” Il “Tricheco” spezzato in due scomparve in pochi secondi.
Il sommergibile “Delfino“ affondò il giorno 23 marzo 1943 alle ore 13.15, a 6,2 miglia per 205° dal semaforo di Capo S. Vito (Taranto), per collisione con la nave scorta.
Il Delfino riportò uno squarcio a poppa determinandone il rapido affondamento.
COMANDO MARINA – Porto Lago Lero 22 Marzo 1941
- Nome: “Metaxas“
- Lunghezza fuori tutto: mt 80.00
- Larghezza: mt 11.00
- Pescaggio a pieno carico: mt 5.00
- Dislocamento a pieno carico: tonn. 3.000
- Apparato motore: a vapore, con macchine a triplice espansione verticale da 800 HP
- N° 2 caldaie a carbone
- Velocità: 10 nodi
- Tre stive per complessivi 5.000 MC, per carichi sfusi
- Costruzione: del 1910 del Cantiere Navale “Neptun“ di Rostok in Germania
- Proprietà: ARAXOS Trade Co. Araxos – Grecia
Il TV Bertone finì di leggere la pagina del Lloyd Register e disse:
“Mi sembra l’ideale”, chiudendo il grosso volume dalla copertina verde e posandolo sulla scrivania dell’Ammiraglio Biancheri. “Anche se nella visita di ieri con il Comandante Moccagatta l’abbiamo trovata un po’ malconcia”, concluse.
“Ho già disposto la requisizione e l’approntamento dell’unità”, disse l’Ammiraglio.
“I nostri tecnici hanno già esaminato la motrice ed a bordo ci sono già due fuochisti volontari scelti da Moccagatta prima della sua partenza per l’Italia. Batterà bandiera turca con il nome di “Ankara“ ed il porto di armamento sarà Izmir. Ho fatto imbarcare un cuoco greco che parla perfettamente il turco e che all’occorrenza potete travestire da Comandante, nel caso di una ispezione da parte dei greci. Anche i documenti ed i libretti di navigazione e la Polizza di carico sono pronte. Porterete cemento da Izmir sino a Megara, località vicino al Pireo, ma non distante dall’imboccatura Sud del Canale di Corinto.
A Parteni i nostri artificieri collocheranno le cariche esplosive in sentina prima di completare il carico di pietrame e cemento.
La stiva N°2 è ancora piena di sacchi di cemento e dopo il carico di pietrame della cava di Blefuti, questi sacchi saranno sistemati sopra e saranno sfondati all’ultimo momento per non destare sospetti in caso di ispezione. Nel caso che, come credo, il canale fosse protetto da ostruzioni retali, dovrete cercare di procedere a tutta forza cercando di sfondarle per penetrare profondamente nel canale” proseguì Biancheri consultando una cartellina di appunti.
“Ammiraglio, tutto l’equipaggio sarà in borghese, è necessario però che abbiano la tuta regolamentare con i gradi e le stellette, einoltre vorrei che Lei ci procurasse una bandiera di combattimento della Regia Marina che isseremo all’ultimo momento“, disse Bertone. “Non vorrei che alla fine si finisca tutti davanti ad un plotone di esecuzione. Per il salvataggio degli uomini penso che il risultato dell’azione possa compensare l’inevitabile prigionia. Noi della X MAS ne siamo coscienti per scelta“.
Domani la nave sarà a Parteni con Corti ed io ne assumerò il comando. Agli ordini Ammiraglio“.
Baia di Blefuti – Parteni – Isola di Lero 26 marzo 1941
Quella mattina Francesco Attanasio e Gigi Sauro, di buona ora si recarono a piedi da Parteni alla vicina baia di Blefuti; una piccola baia riparata dal Meltemi che soffiava da Nord e veniva tenuta come ormeggio ausiliario in caso di cattivo tempo.
Il tempo quella mattina era buono, solo ad Est un fronte temporalesco sarebbe avanzato solo nel tardo pomeriggio.
Scendendo dall’ Asmara si erano congedati dal Comandante Parodi al quale avevano consegnato un paio di lettere da spedire a casa. Entrambi sapevano che il ritorno a casa sarebbe stato molto lungo e problematico e le lettere nella loro stesura furono molto sofferte.
Francesco vegliò quasi tutta la notte guardando il foglio bianco sulla piccola scrivania, un foglio che non sapeva come riempire con quelle parole che aveva in animo, ma che non poteva dire. Poi alle prime luci dell’alba, scrisse poche righe nello stesso tono sereno con il quale scriveva a casa ogni mese. Arrivarono alla vecchia cava di calcare e mentre scendevano il ripido viottolo circondato da cespugli di lentisco e ginestra videro il Capo Meccanico Arduino che veniva loro incontro:
“Signor Attanasio, abbiamo riattivato e provato il nastro trasportatore che era fermo da un paio di anni. Funziona tutto bene e se la nave accosta in banchina possiamo completare il carico in quattro o cinque ore; le tramogge sono piene di pietrame, che è li da tempo; se il guardiano della cava ci da una mano, con i miei uomini ce la caviamo presto! “Ma.. mi perdoni Signor Attanasio, perché una nave turca viene a caricare a Lero e proprio in questa vecchia cava ormai abbandonata??“
“Non si preoccupi Arduino, pare che la nave sia stata noleggiata dal nostro Ministero dei Lavori pubblici; tutto in regola“.
Il vecchio Capo non era molto convinto e prima di allontanarsi disse: “Ah, dimenticavo! Poco fa sono arrivati due nostri artificieri; devono salire a bordo non appena arriva la nave??“ Poi scese verso il molo senza aspettare una risposta che capì non avrebbe mai ricevuto.
Per ingannare il tempo, in attesa dell’arrivo previsto per le deci della mattina, i due amici si sedettero sul molo in cerca d’ombra, accanto al rugginoso traliccio del nastro trasportatore; Francesco era di malumore e confidò a Gigi le sue preoccupazioni.
“Non ricevo posta da più di un mese e proprio lo scorso mese Genova, il 9 febbraio, ha subito un pesante bombardamento navale da parte di una squadra navale inglese. Tutta la zona di Carignano, dei bacini sino alla Stazione di Brignole è stata colpita. Anche la cattedrale di S.Lorenzo, a pochi passi da piazza Portello, ove abitano i miei, ha ricevuto un proiettile da 381 (che dicono non sia esploso). Speriamo che, se è suonato l’allarme in tempo, Papà e Mamma, siano riusciti a entrare nelle gallerie”.
“Stai tranquillo Francesco, isolati come siamo la posta arriva sempre in ritardo; anche io da Pola non ho notizie dai miei”.
“Porca Miseria, è mai possibile che un’intera squadra navale nemica possa arrivare senza essere avvistata di fronte a Genova senza che la nostra Aviazione da bombardamento e ricognizione e la Squadra Navale, che adesso è dislocata tra La Spezia e La Maddalena non riesca ad intecettarla, almeno sulla via del ritorno?”
“Gigi, adesso comincio a credere veramente a ciò che un marinaio, imbarcato da poco sul Crispi e proveniente dall’Italia, mi ha raccontato”.
“Quel ragazzo di Cecina mi ha raccontato una cosa incredibile… ascolta Gigi e poi dimmi se ti pare vero!“
“Dunque, questo giovane di nome Vincenzo Catarsi è un pescatore come suo padre e nel porto canale possiedono in piccolo peschereccio, poco più che un gozzo. Durante la sua ultima licenza, prima di prendere imbarco, nella notte prima di partire è andato a pescare con il padre sulle secche di Vada”.
“La notte era chiara e senza luna; verso le tre di notte, mentre tiravano su le nasse nel canale, tra la terra ferma ed il fanale delle secche, Vincenzo ha sentito un rumore di motori. Credendo che fosse la motovedetta dei Carabinieri della Capitaneria e sapendo che la pesca notturna in tempo di guerra è proibita, hanno mollato le nasse a mare e si sono ridossati allo scoglio sul quale è posto il fanale”.
“Ebbene, dopo pochi minuti hanno visto una grande nave da guerra con tre fumaioli che a bassa velocità passava nel canale e Vincenzo disse che a poppa di questa nave aveva visto cadere a mare delle mine. La nave ,che aveva un albero a tripode, è passata a meno di un centinaio di metri dal fanale e dal gozzo dove padre e figlio si erano accucciati a pagliolo. Lentamente la nave, dalla quale si sentivano distintamente ordini e voci che Vincenzo giura essere in inglese, si allontanò verso Sud per poi, dopo una ventina di minuti, ripassare al largo a tutta velocità diretta a Nord. Il Catarsi, prima di ripartire da Cecina passò dai Carabinieri per raccontare dell’accaduto e si prese un bel cazziatone, ma la notizia poi deve essere stata passata alla Marina”.
“Io non volevo credere a quanto mi ha raccontato il Catarsi, ma chiesi il permesso di consultare l’almanacco navale con le sagome che abbiamo a bordo e Vincenzo ha riconosciuto, senza ombra di dubbio, la sagoma che gli ho mostrato“.
“Gigi! Un grosso posamine inglese, il “Maxmann“ di Quattromila tonnellate e lungo centoventisette metri, ha posato centosessanta mine a meno di dieci miglia da Livorno, sulle rotte di sicurezza tra le secche di Vada e la terraferma. Quindi a tre miglia da Cecina. Nessuno l’ha visto! Tranne, ovviamente, il povero Catarsi che si è beccato il classico cazziatone dal locale maresciallo dei R. R. Carabinieri“.
“Già, disse Gigi“, sembra che la Regia Marina, dopo la batosta di novembre a Taranto, abbia abbassato un po’ la guardia ed abbia arretrato le sue basi. I bollettini di guerra danno notizie false, tipo: una nostra unità è stata leggermente colpita. Un amico imbarcato su un sommergibile che ha portato da Taranto a Lero la posta e pezzi di rispetto per i motori dei MAS, mi ha detto che la mattina del 12 dicembre, mentre transitavano in uscita nel Mar Grande, c’erano tre corazzate colpite: la Duilio, arenata con la prua a terra sul lungomare, la Littorio con la prua completamente sommersa e le eliche quasi fuori e la Cavour con le sole sovrastrutture sbandate e parzialmente emergenti. Proprio un bel colpo! E’ probabile che anche a Taranto le lavanderie funzionino bene!“
“Comunque sia, mi pare che i ragazzi che abbiamo lasciato un paio di notti fa davanti a Suda abbiano restituito in parte il colpo e vedrai che a Gibilterra ed Alessandria, prima o poi pareggeremo i conti.“
Uno strano e sfiatato gemito di sirena interruppe i loro discorsi.
Una parodia di nave stava doppiando la punta che chiude la baia verso Sud; stava decisamente entrando e il guardiaporto aveva appena fatto in tempo ad aprire le ostruzioni. Francesco e Gigi si alzarono in piedi. “Mio Dio! …Dobbiamo imbarcarci li sopra??“
Il vecchio cargo con una lacera bandiera turca che garruva allegramente a poppa, avanzava lentamente d’abbrivio verso la banchina;
Lo scafo di colore indefinibile, sensibilmente sbandato sulla dritta, portava vistose chiazze di ruggine e sospette gibbosità.
Un’altra sottile ciminiera che si elevava nella sua dignitosa verticalità, stava violentemente svaporando.. buon segno, pensò Gigi, che ricordava il vecchio metodo per pulire le caldaie a tubi di fiamma.
Su una tuga centrale irta di maniche a vento ed ai lati della quale erano appese due sconquassate lance di salvataggio, era piazzata una plancia di comando in sdentate listelle di legno.
Il dritto di prora, rigorosamente verticale, era deformato verso dritta, indubbio segno delle congenite difficoltà che il vecchio “Ankara“ presentava in manovra.
L’attracco fu un piccolo dramma, nonostante un tempestivo “macchina indietro tutta“, che richiese per l’esecuzione non meno di due minuti, mentre l’elica, per più di metà fuori dall’acqua, turbinava addietro in una nuvola di spuma. La prua arrivò dolcemente, ma con decisa malignità, contro il tratto terminale della banchina asportandone un buon mezzo metro ed accentuando ancor di più la deformazione della prua che, tutto sommato, pensò Francesco, dava un’aria furbesca e malandrina al miserabile natante.
I numerosi e provvidenziali vecchi pneumatici, che decoravano la fiancata, attutirono il definitivo arresto della nave che venne prontamente ormeggiata dai marinai presenti in banchina agli ordini dell’inorridito Capo Arduino.
Quasi contemporaneamente giunse da Parteni, anche il TV Bertone e con uno dei piloti che Gigi aveva visto a bordo dell’Asmara e del Sella.
“Buongiorno Attanasio, buongiorno Sauro;
“Pare che il nostro nuovo “mezzo d’assalto di superfice“ sia bene o male arrivato.“
“A proposito, vi presento il II Capo Capriotti, che ha avuto il suo barchino danneggiato a Stampalia durante il bombardamento e ci darà una mano a Corinto.“
“A gli ordini Comandante.“
Gli artificieri erano già a bordo ed in meno di mezz’ora sbrigarono il loro lavoro di piazzare le cariche esplosive in sentina e nel locale motore dedicandosi poi alla sistemazione dei contatti in plancia i
Mentre il nastro trasportatore cominciava a far piovere il pietrame nelle stive, dall’Ankara il STV Corti era balzato a terra e si stava avvicinando. “Bella manovra Corti, complimenti!“, disse ridendo Bertone. “Cerchi di ripeterla a Corinto se le è possibile“.
Gigi e Francesco, congedatisi dal gruppo, salirono a bordo mentre una nuvola di polvere di calcare turbinava nelle stive accompagnata da un rumore assordante.
L’interno della nave rispecchiava fedelmente il suo aspetto esterno, scesero in sala macchine… era come essere agli inferi danteschi.
I due fuochisti volontari, nelle poche ore di sosta dovevano riparare e tamponare nella semioscurità una selva di tubi arruginiti che soffiavano e perdevano acqua e vapore.
La sala macchine, anche come temperatura era un incubo e Francesco ricordò un quadro del fiammingo Hieronimous Bosch; un quadro che aveva visto ad Amsterdam durante la crociera di istruzione del Vespucci nel Nord Europa.
Lo disse a Gigi che commentò: “E’ probabile che Bosch progettasse navi solo per i turchi!“
Risalirono in coperta; la ruggine fioriva come una malattia della pelle, in grandi macchie arancione. Se c’era mai stata pittura sulle sovrastrutture, si era staccata da tempo ed era stata corrosa dal sale e dal vento.
Gli alloggi erano stretti e mal ventilati, la cucina era uno schifo e vi trovarono il cuoco, pseudo “Comandante“, che in bisunta canottiera offrì loro, con il sussiego e lo stile di un maestrino di casa degno di una nave da battaglia, un caffé che aveva l’unico pregio di essere caldo.
Pareva che gli unici passeggeri fissi della nave fossero l’imponente colonia di scarafaggi e quella di agguerriti plotoni di topi. Sarebbe stato il loro “mezzo d’assalto“.
Fine prima puntata
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