Alla ricerca di un po’ di mercato: il fascino del vintage – La barca non e’… 34a p.
di Antonio Soccol
Ho scritto, il mese scorso, che le auto sono divise in due grandi fasce di mercato: quelle di moda e quelle da lavoro. Qualcuno s’è offeso e mi ha inviato una mail: “Io non compro una vettura perché è di moda ma solo perché è seria, collaudata e ideale per risolvere tutte le mie esigenze”. Sì, te lo credi tu. Non ti accorgi che te lo fanno credere? Che la larga maggioranza delle tue così dette “esigenze” te le hanno fatte venire apposta per poi poterle risolvere con la loro autovettura? Comunque: morta là e sorry: non volevo offendere. Dai, cambiamo discorso.
Non è brutta. E’ orrenda. Ma è andata bene a oltre tre milioni di persone che, fra il 1957 e il 1991, l’hanno acquistata, talvolta “aspettandola” per ben 12 anni. Si chiamava Trabant, detta “Trabi” ed era la “sorellina socialista” della nostra vecchia Fiat 500. Prodotta nella DDR (Germania Est), raggiungeva a fatica i 100 km/h ma, a quel punto, a bordo era impossibile parlarsi per il gran casino che faceva. Aveva un piccolo motore a due tempi super inquinante e, pare, che oggi ce ne siano in circolazione ancora circa 50mila.
La Herpa, la società tedesca di Monaco di Baviera che possiede i diritti di questa automobile, ha deciso di rilanciarla sul mercato dotandola di un motore elettrico.
Il fenomeno del rilancio di un modello “storico” è frequente nel mondo dell’industria automobilistica. Basta pensare al recente successo avuto dalla nostra Fiat 500, a quello di qualche anno fa della Mini, a certi modelli della Jaguar, o alla Fiat “Nuova Barchetta”.
Si parla anche di una nuova “Maggiolino” per la Wolkswagen e di una riedizione (aggiornata, s’intende) della famosa “2 cv” della Citroen.
Senza voler scomodare i “corsi e ricorsi storici” del caro Gianbattista Vico, perché si fanno questi revival?
“Erano le auto della nostra giovinezza: ci fanno sentire ancora giovani”, sostengono alcuni. Forse: uno studio di mercato, fatto apposta per la “Trabi”, ha avuto un bel 93% di risposte affermative al rilancio di quel prodotto e da qui la decisione presa dalla Herpa di proporne una versione ecologica e “up to date” al Salone dell’auto di Francoforte.
Anche la moda, intendo il fashion, va a flussi. Ogni tanto, quando c’è bisogno di risparmiare economie usando meno tessuto, “tornano” di attualità le mini gonne o gli hot pants ma, altrimenti, tocca allo stile “impero” oppure a quello cheneso “hippie’s”. Peraltro, i figli dei fiori, si vestivano già saccheggiando i vecchi bauli delle nonne…
Anche i colori rientrano in questi “giochi”: quest’anno, lo avete visto, andava il viola ed erano molto apprezzate le righe che, sembra, risalgano come fonte di ispirazione ad un famoso dipinto, “Il busto di uomo in maglia a righe”, del 1939, di Pablo Picasso. “Fanno molto “mare” e così anche in città chi le indossa può avere la sensazione di essere in vacanza”, hanno spiegato i tecnici. Per questo, tutti gondolieri veneziani anche nelle metropoli.
Come succeda che tante aziende, stilisti compresi, decidano improvvisamente e all’unisono per una certa linea di modelli o per un certo colore io, onestamente, non l’ho mai capito.
C’è chi dice che i “trendsetters” (sarebbero gli studiosi dei trend del mercato) lavorino su precise inchieste e statistiche e c’è invece chi, più maliziosamente, parla di incontrollabile spionaggio industriale reciproco fra le varie maison. Non so: ci stanno entrambe le teorie anche se trovo molto più suggestiva l’immagine che mi ha offerto una amica molto esperta in materia che paragonava le giornaliste della moda a farfalle laboriosamente intente a portare il polline delle informazioni riservate da un produttore all’altro. In cambio di consistenti benefit personali, s’intende. Come che sia, il fenomeno è evidente.
Qualche tempo fa è stato, ricordate?, il momento del vintage: guai se non avevi un paio di jeans lacero contusi, scarpe scalcinate, magliette piene di buchi, giacchette senza bottoni… Un’altra amica, oggi progettista di barche, in merito e con fine ironia, mi ha scritto:
<<Anni fa, quando mi occupavo degli acquisti dell’abbigliamento per il mio negozio, da ogni rappresentante da cui andavo sentivo le stesse medesime parole… “Ecco… e poi abbiamo la camicia vintage, col colletto vintage, col polsino vintage, alla quale abbinare lo short vintage con la zip vintage e il coprizip vintage…”. Usoetabusoetnoiaprofonda… riciclo no?…>>.
Già: pur di farci comprare, questi le inventano proprio tutte. Fino a farci nauseare. Ma manovrano un mercato dalle dimensioni mostruose.
E fra le barche? Funziona il glamour del vintage? Praticamente il criterio non esiste. Che io sappia, il fascino ben più che discreto della “rilettura” degli scafi classici ha avuto, in Italia, solo due applicazioni: la riedizione del SuperAquarama fatta, alcuni anni or sono, dai cantieri Riva di Sarnico con il modello Aquariva Super e il Corsair, proposto da Martin Levi e dai suoi soci della Levi Boats di Mestre.
Per lo scafo ideato a suo tempo da Carlo Riva è stato necessario (e giusto), oltre che cambiare la motorizzazione, rivedere le linee della carena utilizzando un’opera viva a V profondo.
Per la barca proposta da Martin Levi e a suo tempo progettata da suo padre “Sonny”, invece, è stato usato direttamente un vecchio Corsair, degli anni Sessanta, come modello per realizzare lo stampo per la vetroresina: perché cambiare una delle migliori carene del mondo?
Il mercato, fin dagli inizi, ha reagito piuttosto bene alla proposta fatta dalla nuova gestione dei cantieri Riva e in modo un po’ più perplesso a quella di Martin Levi che però, proprio quest’anno e vedi caso proprio a cavallo della crisi, ha trovato interessanti e concrete aperture: uno degli acquirenti è addirittura un signore, diciamo, “benestante” che figura nella “top ten” degli uomini più ricchi del Regno Unito. Mica male.
Può valer la pena di risuscitare vecchi modelli di barche? Intendo scafi che hanno fatto la storia della nostra nautica? Da un punto di vista delle carene la risposta è certamente affermativa:
un “Roar” dei Cantieri del Garda, un “Drago” della Italcraft, un “Budda” di Gagliotta, una “Speranzella” o un “Settimo velo” della Navaltecnica, o un “Bahia 20” di Bertram avrebbero molto, tutto, da insegnare alle caravelle di oggi. Dal punto di vista stilistico, un “Baglietto 16 m” dei cantieri di Varazze (quello disegnato da Paolo Caliari con Pietro Baglietto) o un “Akir” (quello disegnato da Pier Luigi Spadolini, intendo) dei Cantieri di Pisa oppure un “Tiger Shark” (lo sportfisherman, in alluminio, di Franco Harrauer) non temono di certo confronti. Anzi.
E ci sarebbe mercato? Io credo di sì. L’interesse sempre maggiore che stanno suscitando le barche storiche sul mercato dell’usato non dipende solo dai fattori economici (certo, il prezzo d’acquisto è incentivante ma poi, spesso, la “ricostruzione” ha un suo costo ben preciso e non proprio modesto) ma da elementi di gusto che, come ben sappiamo, sono molto determinanti come stimoli.
Ma è possibile che in quella che ho già definito “marmellata” di centinaia e centinaia di pseudo inutili novità che vedremo al Salone di Genova non ci sia spazio per carene serie e collaudate, per linee apprezzate e classiche?
Possibile, possibilissimo: la barca non è un’automobile anche perché la nautica non è un’industria.
Mancano i numeri, mi ha scritto qualcuno. Non sappiamo farli, ho risposto. Amen.
Articolo pubblicato nel fascicolo di ottobre 2009 del mensile Barche e qui riprodotto per g.c. dell’autore – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Salve,
Le volevo chiedere di contattarmi via mail per chiederle approfondimenti sull’imbarcazione di cui parlava nel 2009 (ne ho una):
– Spy 900 offshore progetto dello studio “Yankee Delta”.
Grazie
Seguo da tempo e con vivo interesse l’argomento “vintage” e “retrò” nautico.
Al riguardo segnalo che nel 2003 la Mercury Europa aveva lanciato sul mercato una edizione limitata di fuoribordo “retrò” sul modello Optimax iniezione diretta con la livrea dei mitici Kiekhaefer.
Me ne sono interessato perché volevo ri-motorizzare il mio prototipo anni ’80 al quale non si addicono le “forme” dei fuoribordo di nuova generazione.
Si tratta di uno Spy 900 offshore con 2 Mercury Black Max 2.4l 225HP, realizzato in lega leggera nel 1984 su progetto dello studio “Yankee Delta” di Milano, allora degli architetti Fulvio De Simoni e Massimo Gregori.