Il dolore del mare di Alberto Cavanna – romanzo – Edizioni Nutrimenti
di Tealdo Tealdi
Pare che non sia stato l’unico, leggendo l’ultimo libro di Alberto Cavanna “Il dolore del mare”, ad essere stato travolto da una forte emozione con un coinvolgimento personale che ti tocca nell’anima.
Se si dice che per un uomo non sia dignitoso piangere e che un “vero uomo” non lo fa mai, allora vuol dire che non sono un vero uomo, anche se dei sentimenti non ci dobbiamo mai vergognare, ma andarne fieri.
Mi ricorda certi racconti di Guy de Maupassant, quando da ragazzo mi ero infatuato di una ragazza francese che abitava a Versailles e che lessi divorandolo in lingua originale.
All’inizio il fine di quest lettura era per migliorare la conoscenza della lingua francese per facilitare il mio rapporto con lei, ma che in secondo tempo mi resi conto che quei racconti mi avevano affascinato.
L’ultimo lavoro di Cavanna non mi ha meravigliato, anzi è stata una conferma dopo aver già letto alcuni suoi libri, tra cui il bellissimo “A piccoli colpi di remo”.
Man mano che le pagine passano, il racconto si snoda nella sua semplicità, nella sua asciuttezza, verso una fine che si ha paura di sapere, ma che immaginavo, aspettavo e temevo nello stesso tempo, così tremenda ed insieme logica, inevitabile e direi salvifica.
Mi tornavano in mente certi racconti dei miei nonni e i lunghi periodi passati nella loro casa di Firenze che dava sul giardino di Boboli, del ronfò che accendevo in cucina e del lavello di pietra a cui arrivavo a malapena.
Una vita severa ma felice nello stesso tempo, senza fronzoli, fatta di piccole cose, di gesti essenziali, sempre uguali come il menù della settimana, per cui sapendo cosa ci sarebbe stato in tavola si poteva desumere il giorno, proprio come nel dopoguerra, quando si diceva: giovedì gnocchi, sabato trippa.
Una comunità in cui piccole donne esili si ergono come giganti, molto più sagge degli uomini: “Le donne dell’isola la conoscevano bene la guerra. Era una cosa degli uomini, la guerra, ma loro, senza averla mai vista da vicino né esserci state in mezzo, la conoscevano tanto bene che la sentivano arrivare ancor prima degli altri”.
Anche certi momenti, come quello della prima notte di nozze di Elvira con Radamès o dell’iniziazione del giovane Ermes nel casino, sono trattati con una delicatezza, gentilezza, pudore, soavità, che vorrei vedere anche oggi utilizzati in un mondo pieno di volgarità gratuite, nudità ostentate, in cui non si riesce a capire quale sarà il prossimo step, la prossima frontiera dell’indecoroso a cui, purtroppo, abbiamo fatto “il callo”.
Una sola volta ho riso, quando uno dei protagonisti, affermava: “Un fascista non pensa, agisce!”
Il libro merita una seconda lettura, persino una terza, in modo da assaporarne ogni parola, ogni significato che la prima volta può sfuggire. Quello che non sfugge è il pensiero che sorge spontaneo. Infatti, se ci fossero più donne a capo dei governi di tutto il mondo la vita su questa terra sarebbe piena di pace, “Perché quell’urlo, all’improvviso, non fu più solo ed il mare lo unì a quello di mille, diecimila madri cui il destino in un solo lampo aveva reso vano il latte tirato dal seno, il primo dentino e la testata data contro la sedia ai primi passi”.
“Il dolore del mare” di Alberto Cavanna è candidato al “Premio Strega” ed al “Premio Campiello” 2015
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!