Rock around the States (2) – Richard “Dick” Bertram
di Antonio Soccol
Dick Bertram, a Miami, viveva in un grande parco con dentro più ville: in una abitava lui con la moglie (quella del momento), in un’altra (villa) una sua ex moglie, in una terza un figlio e in una quarta una figlia. E così via.
Di figli ne aveva 6 (sei, tre maschi e tre femmine). Quasi ciascuno di loro aveva un numero di telefono proprio, una cosa assolutamente incredibile per l’epoca. Per questo non mi fu facile localizzarlo visto che lui, proprio mentre io chiamavo, stava passando continuamente da una casa all’altra e tutti mi dicevano: “E’ appena uscito, prova all’altro numero”. Alla fine lo beccai. Fu felice di sentirmi: “In che albergo sei? Passo a prenderti alle 7 di stasera: ceniamo in barca”, disse.
Richard (“Dick”) Bertram era una autentica assoluta leggenda. Già, venerdì 17 aprile 1964, il “Time” aveva scritto di lui:
“At 48, Florida’s Dick Bertram is the Enzo Ferrari of powerboat racing. Like Ferrari, he sells luxury transportation to the well-heeled: his sleek, fiber-glass cruisers and sport fishermen cost anywhere from $9,000 to $75,000. Like Ferrari, he puts his reputation on the line on the racing circuit. And, like Ferrari, he almost always wins, in smooth water or rough.”
Nel 1948 e ’49 aveva vinto il campionato del mondo di vela nei “Lightning” (il monotipo, classe internazionale, progettato nel 1929 da Olin Stephens). Nel 1949, ’50 e ‘51 aveva vinto (con tre barche diverse) il Southern Ocean Racing Championship. E, sempre nel 1951, aveva vinto la sua prima regata transoceanica, la Avana-San Sebastiano, a bordo di “Malabar XIII°”. Nel 1958 faceva parte, come responsabile di coperta, dell’equipaggio di “Vim”, una delle barche americane impegnate nelle gare eliminatorie per la scelta dello scafo che avrebbe difeso – dalla sfida inglese – la Coppa America, la prima che si disputava dopo la Seconda Guerra mondiale, dopo la Guerra in Corea e dopo il primo Sputnik (russo) nello spazio.
Le regate si svolgevano sulle acque di Newport, nello stato di Rhode Island. Era il 16 luglio, erano le 11 del mattino e c’era un vento sui 20 nodi da sudovest. In attesa del segnale di via a bordo del “Vim”, Dick Bertram notò un barchino (era lungo 23’) a motore che, nonostante il mare molto formato (onde di sei piedi, cioè di quasi due metri) , andava come una scheggia (circa 30 nodi). Aveva una stranissima carena mai vista prima e caratterizzata da lunghi pattini che spuntavano dal fondo e andavano sino al dritto di prua come se fossero dei “baffoni”.
Alla fine del suo “match race” velico, Dick chiese subito notizie su quello scafetto: “E’ il tender del 12 S.I. “Easterner”, quello disegnato da un architetto di Marblehead, che si chiama Raymond Hunt. Anche il tender è un suo progetto. Lui, Hunt, è un tipo buffo: a 15 anni ha vinto la sua prima regata velica e da allora studia ogni tipo di carena. Voleva usare quella con quei “baffoni” per le barche a vela ma sembra che non funzioni”, gli dissero. Ma Dick non mollò: forse a vela non andava molto bene quell’opera viva con i baffoni ma, a motore, era un bel vederla. Tanto fece che riuscì a localizzare Ray Hunt (e suo fratello Jim), a parlargli e a provare la barchetta: “Non è la prima barca a motore che faccio con questa carena”- gli disse Ray Hunt, che all’epoca aveva cinquanta anni e spiegò: “La primissima, si chiamava “Sea Blitz” e risale al 1946”.
In breve: Dick gli commissionò subito uno scafo da 30’ (9,14 m). Inizialmente per usarlo come barca da crociera ma, dopo le prime prove in oceano, decise di partecipare con quello scafo alla terza edizione della Miami-Nassau, la gara offshore che, nel 1956, aveva dato il via a questo nuovo sport e che lui, in coppia con Griffith aveva gia vinto due volte.
Dick, a proposito del primo test fatto in oceano con la “barca con i baffi”, ha infatti scritto testualmente:
After the third wave, Sam started smiling and eased forward on the throttles. Moppie was incredibly soft at speeds that would have been impossible with a conventional hull. We put her through every test in the book. In a beam sea, she was steady as a rock at speed, and even when slowed down to trolling speeds, she had far less roll in the troughs than conventional power boats. Then we were ready for the ultimate test: running before a following sea. This is the most dangerous point of sailing for any boat. Ride down the shoulder of a sea, dig yow forefoot in, and the sea can throw your stern around until you’ re broadside to and a breaker can come aboard or roll you over.” (Sam è, ovviamente, Sam Griffith, ndr).
Era nata una nuova era: quella delle barche con carena a V profondo. Da quel giorno nella motonautica e nelle crociere in mare tutto sarebbe cambiato. Per sempre.
La gara offshore si svolse il 14 aprile 1960: le cronache dell’epoca parlano di mare duro e forte vento da sud est. Presero il via 23 imbarcazioni e fra queste anche la nuovissima “Moppie” (nomignolo della moglie di Bertram), costruita in legno, spinta da una coppia di Interceptor da 275 cv e avente come primo pilota Sam Griffith, vincitore (assieme a Dick) delle prime due edizioni della già famosissima competizione. Nell’equipaggio c’era anche Carlton Mitchell, uno skipper che aveva vinto una strage di regate veliche e che scriveva da anni per il mensile “Yachting”, oltre che per il famosissimo (e diffusissimo) settimanale “Sports illustrated” e per il leggendario “National Geographic Magazine”.
Partirono alle 7 del mattino e impiegarono 8 (otto) ore per raggiungere vittoriosi il traguardo…e, comunque, arrivarono ben due ore e mezzo prima del secondo, un tale di nome Jim Wynne… che guidava una barchetta (sempre progettata da Hunt) da 7 metri e che era spinta da un paio di Volvo Penta da 80 cv ciascuno, azionanti uno strano accrocco: invece che la tradizionale linea d’asse immersa, aveva a poppa qualcosa come due piedi di motore fuoribordo. Una assoluta novità per quel mondo, ma altresì cosa che, per noi italiani, era già da anni impolverata nei nostri Musei… ma di questo scriverò in altra occasione. Il giorno dopo l’uscita del settimanale sportivo con l’articolo di Carlton Mitchell sulla loro stupenda cavalcata e vittoria, Bertram ricette centinaia di telefonate: tutti volevano quella barca e lui aprì quel cantiere con il suo nome che avrebbe poi avuto un successo mondiale travolgente.
L’anno dopo, Dick, oltre al solito Sam Griffith con cui faceva coppia fissa, invitò come “ospite” per la quarta edizione della Miami-Nassau, un giornalista del mare, Jim Marthenoff : anche lui scriveva sul mensile “Yachting”. La nuova barca, costruita questa volta in vtr, era lunga un piede in più, si chiamava “Glass Moppie” e, spinta da una coppia di Chrysler da 280 cv, disintegrò, su mare calmo, il record della gara chiudendo il tragitto in poco più di 4 ore. Marthenoff ne parlò in termini entusiastici sulla sua rivista. E il successo di Bertram e del suo nuovo cantiere fu definitivo: Dick venne persino scelto come “testimonial” per due brand famosissimi, gli orologi Rolex e le sigarette Cammel con immensi manifesti esposti nelle principali città americane e pagine di pubblicità sulle più autorevoli riviste del tempo.
In occasione della sesta edizione (1962) della Miami-Nassau, Bertram e Griffith, gareggiarono con “Blue Moppie” (un 31’ in vtr) ma vennero preceduti al traguardo da John Bakos che, per la prima volta, portava in gara una barca (un Bertram da 25’, chiamato “Aokone”) spinta dai nuovissimi efb Mercruiser. Però, come conteggio dopo sei anni di gare, quel formidabile binomio (Dick & Sam) vantava ben quattro vittorie (1956, ’57, ’60, ’61) e un secondo posto!
Nel giugno del 1963 Sam Griffith perse la sua lotta contro un brutto tumore ma Bertram non abbandonò le gare offshore. Sempre su disegni di Ray Hunt, costruì una ennesima nuova imbarcazione, la chiamò “Lucky Moppie”, aveva la postazione di guida all’estrema poppa quasi a sbalzo esterno rispetto allo specchio (si era capito che quello era il punto più “tranquillo” della barca per la navigazione con mare formato), la motorizzò con un paio di Daytona da 400 cv e con quello scafo venne a gareggiare alla Viareggio-Bastia-Viareggio del 1964.
Fu quella una gara scandalo per via del regolamento che neppure il più stupido degli Azzeccacarbugli avrebbe fatto peggio… Dick impiegò 3 ore e 58 minuti, Vincenzo Balestrieri con “A Speranzella” 4 ore e 12 minuti. La giuria dichiarò vincitore Balestrieri perché la sua era una “barca di serie”… (anche se aveva motori che usavano benzina avio, un carburante ben poco idoneo ad un vero “scafo da diporto”). In quella occasione i giornali scrissero: “Ma chi ha vinto, insomma?”. E fu in quella occasione che conobbi Dick.
Io, durante la V.-B.-V., ero addetto alle verifiche tecniche delle barche e quindi avevo colloquio obbligatorio e diretto con i piloti. Mi conquistò il suo (di Dick, intendo) modo di fare. Un vero uomo di mare: tranquillo, sereno, sicuro del fatto suo. Si muoveva in barca con una semplicità ed eleganza assolute e con una disinvoltura di movimenti affascinante: c’era da fare un film su come “lavorava” una banale cima di ormeggio. Si era portato al seguito una moglie e un po’ dei suoi tanti figli. Non capì quasi niente dei pasticci del regolamento di quella gara ma soprattutto mi divertì il suo modo di rispondere alla Giuria dopo il complicato verdetto: imbarcò a Viareggio su “Lucky Moppie” la famiglia e se ne andò a Portofino: bagnetto e pranzo. Poi proseguì per Montecarlo, si visitò per benino tutta la Costa Azzurra, isole dei nudisti comprese, imboccò il Rodano dalle parti di Marsiglia, risalì tutta la Francia attraverso i suoi canali e in Agosto raggiunse la Manica che traversò sino all’isola di Wight dove sorge Cowes e dove si svolgeva la già famosa “Cowes-Torquay”. Alla faccia della barca che, per gli organizzatori della V-B-V, non era da diporto…
Qui, a Cowes, nella gara offshore arrivò secondo per un niente dietro allo scafo gemello del suo, quel “Surfrider” dei fratelli Gardner che avevano tagliato in modo corretto la linea d’arrivo mentre lui aveva cannato la boa ed era stato costretto ad un precipitoso quanto inutile recupero: le due barche avevano coperto centinaia di miglia di mare quasi assolutamente appaiate!
Nel 1965 Dick Bertram vinse il Sam Griffith Trophy, un riconoscimento inventato dal giornalista americano John Crouse e che, in pratica, valeva come titolo mondiale dell’offshore (benché non ancora ufficializzato dall’UIM) con una barca, “Brave Moppie”, lunga 36’, in legno, diesel, spinta da una coppia di GM turbo da 550 cv ciascuno. Stava per vincere la VBV di quell’anno quando i motori lo tradirono ma poi si impose nella Cowes-Torquay e nella successiva prova americana Miami-Key West.
Nel febbraio del 1966 “Brave Moppie” affondò in pochi minuti (si dice, e una foto lo attesta, per la rottura del fondo) proprio in occasione di una gara speciale ideata e dedicata all’antico co-pilota di Dick: la Sam Griffith Memorial Race. L’equipaggio venne salvato dai fratelli inglesi Charlie e Jimmy Gardner (i proprietari del già leggendario “Surfury”). Appena sbarcato a Miami, Dick dichiarò al corrispondente del “Time”:
If they made it any easier, It wouldn’t be ocean racing and I’d quit.
Capito il tipo?
Ma, dopo quell’affondamento che gli era costato ben 65mila dollaroni, Dick Bertram si presentò sempre meno frequentemente al via delle maggiori competizioni, salvo qualche episodica apparizione, sino al ‘69, in alcune gare come la Bahama 500 (ritirato) con la sua nuova barca “My Moppie”, in vtr, lunga 31’. Poco dopo cedette il cantiere a Peter Rittmaster che continuò a correre con scafi Bertram dove appariva lo storico nome “Moppie”, vedi, per esempio, il 34’ “Master Moppie”. Nel 1970 “Whittaker Moppie”, un 38’ spinto da un paio di Mercuiser da 525 cv ciascuno, ebbe un grave incidente pochi giorni prima della sua prima gara. Il primo pilota Sammy James si fracassò il mento mentre il secondo, l’astronauta Gordon Cooper, si spaccò una gamba. Da quel giorno il cantiere Bertram non aveva più partecipato alle gare offshore.
Grazie a quel mondiale vinto con “Brave Moppie”, Dick era (è?) l’unico uomo al mondo ad aver conquistato titoli iridati sia nella vela (due) che nella motonautica offshore (uno). No, così…, tanto per dire…perché c’è gente che dice e scrive che se vai a vela non devi andare a motore e viceversa… Come se il mare fosse a spicchi come una arancia e non una unità unica.
Ero nel piazzale antistante il mio hotel, quella sera a Miami, quando lo vidi arrivare su un macchinone immenso. A bordo c’era anche una moglie: sono poco fisionomista, io e non osai salutarla come si fa con una vecchia amica ma lei mi sorrise. Dunque era Pauline, detta “Moppie”, quella che avevo conosciuto in Italia e che aveva dato il nome a tutte le barche da corsa di Dick… . Andammo in cantiere, dove un 60’ cabinato ci stava aspettando con già i motori accesi. Dick, agile, saltò a bordo, aiutò la signora, mollò da solo le cime a prua e a poppa: “Don’t take trouble”, mi disse e quindi portò lo scafo fuori dalla darsena. Poi percorremmo al minimo una lunga serie di canali che sfociava nella Biscayne Bay, facendo ogni tanto alzare i ponti levatoi e bloccando così il caotico traffico automobilistico di Miami, in quell’ora di punta.
Appena fuori da quel dedalo, Dick aprì il gas e il cabinato si fiondò in Atlantico. Era ormai buio ma sembrava che Dick intuisse le onde pur senza vederle. Portava la barca in modo perfetto. Mi chiesi dove stessimo andando ma poi notai che dirigeva verso un grumo di luci sulla costa. Erano di un marina. Entrammo con una manovra da manuale. Ancora una volta Dick mi disse di non disturbarmi ad aiutarlo. In un nanosecondo la barca era ormeggiata con le cime a prua e a poppa e su entrambi i lati, il cavo dell’elettricità innestato nella colonnina (eh, già, in America, all’epoca, le colonnine c’erano già…), la controtuga di stoffa chiusa, l’aria condizionata accesa, il forno a microonde (sì, c’era già anche quello) colmo di leccornie e una bottiglia di vino bianco ghiacciato sul tavolo assieme a tre bicchieri di cristallo: “Have a drink”, mi sorrise. Mi chiese come mai mi occupassi di barche.
Gli dissi che ero nato a Venezia dove mio padre aveva cantiere sin dagli anni Venti. Rimase impressionato: “Venezia, Venice?”, chiese. Dissi di sì e sorrise compartecipe. Poi parlammo di barche, di carene, di motori, di gare: delle mie (ero alle prime esperienze) e delle sue (che ormai aveva lasciato) per tutta la sera. Mi chiese delle nuove leve dell’offshore, delle nuove barche. Erano gli anni in cui i “Cigarette” di Aronow vincevano tutto. Non ebbe una sola parola critica nei confronti di quel mondo. Mi disse, invece, di Ray Hunt: “E’ un uomo strano ma lo capisco: nel 1960, quando eravamo tutti (e in quel “tutti” era chiaro che alludeva al grande, mitico Sam Griffith) al massimo dell’euforia per i nostri successi nell’offshore, lui, Hunt, era felice solo perché aveva vinto le Olimpiadi veliche di Napoli. Sì, lui personalmente e con “Minotaur”, uno scafo della classe 5,50 S.I., che lui stesso aveva disegnato…”.
Dick mi raccontò di aver venduto il cantiere che portava il suo nome e di essersi messo a produrre mega yacht facendoli costruire in Oriente. Poi la serata si era conclusa con un: “First class, special for you” aveva detto, tirando fuori una bottiglia di liquore Strega. Aveva persino anche la raccolta dei molti disegni (stupendi) fatti da Marcello Dudovich per pubblicizzare questo nostro prodotto così apprezzato negli States e così ormai quasi dimenticato in Italia (tranne che per il prestigioso Premio letterario che ha compiuto sessanta anni proprio nel 2008). Dick Bertram mi servì lo Strega in un calice di vetro soffiato: “Made in Venice. Venezia, Italy, of corse” disse, indicando il bicchiere e capii che era un omaggio. Assolutamente personale.
Non ho mai più bevuto uno Strega dopo quella dolcissima straordinaria serata passata con uno dei più grandi uomini di mare che mai sia nato in America. Né, purtroppo, ho più rivisto Dick che se n’è andato il 28 aprile del 2000 all’età di 84 anni. (segue)
Articolo apparso nel fascicolo di ottobre 2008 della rivista Barche e qui riproddoto per g.c. dell’autore. – Tutti i diritti riservati. Note Legali
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