L’impresa della Decima MAS ad Alessandria
di Lino Mancini
Il 19 Dicembre del 1941, la Decima MAS compiva un’epica impresa violando per la prima volta il porto di Alessandria. Quest ’operazione era stata già tentata due volte nel corso del 1940, ma, in entrambi casi, si era conclusa in maniera tragica con l’affondamento dei sommergibili Iride e Gondar che avrebbero dovuto avvicinare gli uomini e i mezzi della Decima Mas destinati all’operazione.
La Marina aveva previsto nei suoi piani, nel caso l’Italia avesse dichiarato guerra all’Inghilterra, di portare, da subito, un attacco ad una base navale inglese in Mediterraneo, Alessandria o Gibilterra, per ridurne la supremazia navale o quantomeno per ristabilire una parità che nel 1940 rimaneva caratterizzata decisamente a favore della forza navale britannica non solo per tonnellaggio ma anche per tipi di nave; alle le due navi da battaglia italiane (le altre tre erano ancora in addestramento e furono pronte al combattimento nell’autunno del 1940), la flotta inglese, nel solo Mediterraneo, nelle basi di Alessandria e Gibilterra, ne contrapponeva sei più due portaerei; cinque corazzate e due navi portaerei erano dislocate nelle acque metropolitane.
Il controllo del Mediterraneo era ritenuto vitale sia dagli italiani, per i problemi che avrebbero dovuto affrontare e risolvere per assicurare i rifornimenti per l’Africa orientale e la Libia, che dagli Inglesi per il rifornimento delle aree dell’impero. Gli Inglesi, pur avendo nei primi mesi del 1940 deviato per la via del Capo di Buona Speranza il traffico commerciale diretto verso il medio oriente e l’Australia, volevano al più presto ripristinare la via marittima in mediterraneo per eliminare gli allungamenti di percorso che riduceva sensibilmente il rendimento del naviglio. Per le navi dirette al golfo Persico o Suez, l’allungamento era di circa l’80%, mentre del 10% per quello diretto in Australia.
Per assicurarsi il controllo del Mediterraneo, la Marina Italiana, con decisioni alterne, sin dal 1936 stava studiando la possibilità, in caso di conflitto con l’Inghilterra, di attaccare la flotta britannica facendo ricorso a piccoli mezzi insidiosi, sia di superficie, Barchini Esplosivi condotti da un operatore, che subacquei, Siluri Lunga Corsa con un equipaggio di due operatori per il trasporto di cariche esplosive. Ma furono proprio le alterne decisioni del vertice Marina, la poca convinzione nel ritenere che questi potessero essere le armi vincenti, a far sì che nel 1940 i mezzi speciali disponibili, i Siluri a Lunga Corsa (SLC) e Barchini Esplosivi (Motoscafi da Turismo, MT) fossero solo:
- N°11 SLC costruiti tra il 1935 e 1938
- N° 2 MT Sperimentali
Definire questi 11 SLC mezzi operativi era quanto meno azzardato dal momento che erano stati intensamente utilizzati e usurati sia per la messa a punto operativa dei mezzi stessi che per l’addestramento del primo nucleo di operatori. Da queste attività era anche emersa la necessità di apportare ai Siluri Lunga Corsa significative migliorie tecniche per una maggiore affidabilità operativa. Quindi, la Marina Italiana all’inizio delle ostilità poteva definirsi priva di quei mezzi che alcuni avevano con lungimiranza ritenuto come l’unica possibilità per ridurre la supremazia della flotta Inglese in Mediterraneo.
La Marina Italiana provò ugualmente ad effettuate nel corso del 1940 delle operazioni, quelle già menzionate contro Alessandria, non conclusesi per l’affondamento dei sommergibili avvicinatori, e altre due missioni contro la base di Gibilterra. Di queste due, una fu annullata all’ultimo momento per mancanza di bersagli nel porto, mentre la seconda, effettuata, si concluse con un insuccesso imputabile esclusivamente all’inaffidabilità dei mezzi utilizzati.
La situazione migliorò con la costruzione di nuove serie di mezzi che furono disponibili solo a partire dal 1941 e da quest’anno iniziarono i primi successi sia con i barchini esplosivi (Suda, 27 Marzo 1941) che con i Siluri a Lunga Corsa (terza missione a Gibilterra, 27 Marzo 1941 e terza missione ad Alessandria 19 Dicembre 1941).
Mentre per i barchini esplosivi quella di Suda si può considerare l’unica missione di successo in cui fu affondato un incrociatore pesante, York, e una cisterna, Pericles, per i Siluri a Lenta Corsa quella di Alessandria non fu l’unica azione perché dal 1941 al 1943 conseguirono ulteriori successi con attacchi a naviglio mercantile in sosta nei porti di Algeri e di Gibilterra, porto di formazione dei convogli diretti a Malta o da e per l’Inghilterra.
Ad incrementare il tonnellaggio di navi affondate o gravemente danneggiate contribuirono anche i Gamma, nuotatori sabotatori, sia dalla base di Algesiras, ove era stata opportunamente attrezzata una base avanzata su nave Olterra, che con missioni da sommergibile avvicinatore. L’Olterra era una nave cisterna che si trovava a Gibilterra nel giorno in cui l’Italia dichiarò guerra all’Inghilterra e fu prontamente spostata dal comandante in territorio spagnolo e fatta affondare su un basso fondale nelle acque di Algesiras.
Nella primavera del 1942 la nave, semisommersa, fu recuperata con la scusa che l’armatore l’avrebbe venduta ad una compagnia spagnola e ormeggiata ad una banchina del porto di Algesiras; divenne una base avanzata sia per i Siluri Lunga Corsa che per gli operatori Gamma. La costituzione di questa base si rese necessaria in quanto gli inglesi a Gibilterra avevano intensificato le misure di sicurezza e pertanto si rendeva pericoloso l’avvicinamento con sommergibile.
Al tonnellaggio affondato a Suda va aggiunto, dunque, quello affondato o gravemente danneggiato sia con operazioni dei Siluri Lunga Corsa che degli operatori Gamma.
SLC: Navi militari per Tonnellate di Dislocamento 70.400 e Navi Mercantili per Tonnellate di Stazza Lorda 122.000;
Gamma: Navi Mercantili per Tonnellate di Stazza Lorda 50500.
A fronte delle circa 470.000 tonnellate di naviglio nemico affondato dalla Marina Militare Italiana, i soli reparti della Decima Mas, con le tonnellate di naviglio affondato sopraelencato a cui vanno aggiunte altre migliaia di tonnellate per azioni effettuate con Motoscafi Turismo Modificati Siluranti (M.T.M.S.), sempre della Decima Mas, contribuirono per un totale di circa Tonnellate 265.000, cioè per il 56% del naviglio affondato.
Premesso quanto sopra, ritorniamo all’impresa di Alessandria.
Per la prima volta, da quest’anno, a similitudine di quanto già avviene nella Marina Inglese per le grandi imprese da questa compiute, anche la Marina Militare Italiana ha deciso di annoverare l’Impresa di Alessandria tra i Grandi Eventi con le modalità elencate nel messaggio dello Stato Maggiore di seguito riportato:
R 171555Z GIU 13
FM MARISTAT
TO AIG 2300
ANMIPRES
BT
NON CLASSIFICATO
SIC EUA
MARISTAT/44090/H/2/4
MSGID/CELEBRAZIONE EVENTO IMPRESA DI ALESSANDRIA //
1. IL 19 DICEMBRE 1941, LUIGI DURAND DE LA PENNE, EMILIO BIANCHI,
ANTONIO MARCEGLIA, SPARTACO SCHERGAT, VINCENZO MARTELLOTTA E MARIO
MARINO, A BORDO DI TRE MEZZI D`ASSALTO SUBACQUEI SLC RILASCIATI
DAL SOMMERGIBILE SCIRE`- PENETRARONO NEL PORTO DI ALESSANDRIA
D`EGITTO, AFFONDARONO DUE CORAZZATE BRITANNICHE E DANNEGGIARONO
IRREPARABILMENTE UNA NAVE CISTERNA ED UN CACCIATORPEDINIERE.
L`ARDITA AZIONE CONDOTTA CON IMPAREGGIABILE CORAGGIO, DETERMINO` LA
SENSIBILE RIDUZIONE DELLE CAPACITA` OPERATIVE DELLA MEDITERRANEAN
FLEET NEL CORSO DEL CONFLITTO IN ATTO. LA MEMORABILE IMPRESA PORTATA
A TERMINE CON MAESTRIA E AUDACIA PROIETTO` IL VALORE ITALIANO NELLA
LEGGENDA, PONENDO LA FLOTTA ITALIANA NEL NOVERO DELLE MAGGIORI
POTENZE NAVALI DEL MONDO.
2. SI DISPONE CHE LA RICORRENZA DELL`IMPRESA DI ALESSANDRIA SIA
CELEBRATA E COMMEMORATA A BORDO ED A TERRA PRESSO COMANDI, ENTI,
ISTITUTI PREVEDENDO UNA CONFERENZA ILLUSTRATIVA PER TUTTO IL
PERSONALE, SEGUITA DA UN PRANZO DI CORPO IN UNIFORME ORDINARIA.
3. LA RICORRENZA ASSUMA CARATTERISTICA DI DISPOSIZIONE PERMANENTE DA
ISCRIVERSI NELLE ATTIVITA` D`ISTITUTO.
P.D.C. GRANDIEVENTI (71) 46424 06 36806424
BT
Non è un fatto di secondaria importanza perché, purtroppo, le nuove generazioni, anche nella stessa Marina Militare, ignorano le loro radici e i fatti storici che hanno contribuito, come viene detto nel messaggio di cui sopra, “a proiettare il valore italiano nella leggenda”.
Prendendo spunto proprio da questa frase voglio fare delle considerazioni su quest’impresa, facendo un’importantissima premessa e cioè che quanto dirò nella rilettura di certe fasi dell’operazione, in particolare su quanto racconta de La Penne sull’attacco da lui condotto alla Valiant, non intende sottovalutare la sua impresa o la sua audacia, ma solo smitizzarla e considerarla come “impresa alla portata di tutti i sommozzatori della decima MAS”.
Questa affermazione fu fatta da Luigi Ferraro, valorosissimo operatore gamma, e fu confermata da Marceglia e Martellotta protagonisti con de la Penne nell’impresa di Alessandria. Il tenente di Artiglieria Luigi Ferraro, nuotatore di prim’ordine, operando da solo nei porti Turchi di Alessandretta e Mersina, affondò o danneggiò gravemente quattro mercantili per un totale di 24.000 tonnellate di naviglio e soleva aggiungere, alla frase sopra riportata, che era solo questione di fortuna.
Pertanto dell’impresa non racconterò come si svolse, perché negli allegati all’articolo (documento N°1 – 22 pagine) sono riportate le relazioni sulla missione redatte dai protagonisti , ma mi limiterò solo a fare delle considerazioni su queste relazioni.
I sei operatori, come primo e secondo operatore, formavano gli equipaggi dei seguenti Siluri Lunga Corsa:
- SLC 221 : T.V. Luigi Durand de la Penne – Capo di 2^ Emilio BIANCHI
- SLC 222 : Cap. A.N. Vincenzo MARTELLOTTA – 2°C° Mario MARINO
- SLC 223 : Cap. G.N. Antonio MARCEGLIA E – S.C°Spartaco SCHERGAT
Questi semoventi appartenevano alla seconda serie di mezzi costruiti dalla Ditta C.A.B.I. Cattaneo di Milano ed aggiornati sulla base delle esperienze fatte sulla prima serie di mezzi costruiti nell’officina S. Bartolomeo di La Spezia.
Alle tre coppie erano state assegnati i seguenti bersagli:
- SLC 221: Nave da Battaglia Valiant
- SLC 222 : Nave Portaerei se presente o grossa cisterna
- SLC 223 : Nave da Battaglia Queen Elizabeth
Come noto e come relazionato da cinque dei sei operatori i bersagli assegnati furono raggiunti e colpiti. Il sesto operatore, Bianchi, non compilò mai la sua relazione al rientro dalla sua prigionia nel 1945, come lui afferma in un intervista rilasciate ad Aldo Cazzullo e pubblicata sul Corriere della Sera del 17 Dicembre 2004
“perché la Marina non me l’ha mia chiesta. Ho stampato il mio racconto presso un piccolo editore di Viareggio, ma gli accademici non se ne sono accorti”.
Leggendo le relazioni appare evidente, anche ai non addetti ai lavori, che delle tre coppie quelle che operarono in maniera perfetta, forse perché più fortunati, furono Martellotta – Marino e Marceglia – Schergat, non certo de la Penne, ma chissà perché il nome più noto di questa missione è proprio quello di de la Penne; in questo ha contribuito fortemente la storiografia ufficiale, influenzata dallo stesso de la Penne con la sua relazione decisamente di parte.
Perché la Marina non ha mai richiesto a Bianchi una relazione? Nel 1965, quando Bianchi venne a conoscenza, leggendo il libro “I Mezzi d’Assalto” edito dall’Ufficio Storico della Marina, delle relazioni redatte dai partecipanti all’impresa di Alessandria, scrisse una lettera (documento N°2 – lettera a firma Bianchi), indirizzata al com.te de la Penne, contestandogli certe sue ricostruzioni e raccontando a sua volta la sua versione su come si era svolta la missione.
Nella stessa lettera gli contestava, anche, la ricostruzione da lui fatta della loro precedente missione a Gibilterra, concludendo:
“Ora, ricollegando le vicende di queste due nostre imprese, e considerato che le Sue relazioni sono di dominio pubblico, è inevitabile che nella mente di numerosi lettori che s’interessano a questi nostri fatti d’armi si crei l’impressione che io facevo da contrappeso sul mezzo sempre pronto alla prima avversità ad abbandonare il mezzo stesso” .
De la Penne, nella sua relazione, racconta che una volta giunti sotto la Valiant, alle 2,20 circa, s’accorge di non avere più con lui Bianchi e da solo inizia le ricognizioni sotto la nave per trovare le alette di rollio, che non trova, ove avrebbe dovuto fissare le due estremità del cavo di sospendita della carica. Constatato, inoltre, che il motore elettrico del mezzo non fornisce più potenza, decide di spostare il mezzo manualmente in modo da portalo in un punto in cui l’esplosione della carica possa effettuare il massimo danno. Lo spostamento del mezzo lo impegna fisicamente sia per la natura fangosa del fondo sia perché il mezzo ha spinta negativa, cioè è pesante; in pratica asserisce di aver operato da solo per circa 45 minuti.
Aveva deciso di non staccare la carica dal mezzo, il cui trasporto sarebbe stato più agevole poiché la stessa ha un assetto neutro e può essere spostata senza fatica, dal momento che non era in grado di posizionarla così come previsto: cioè appesa sotto la chiglia al cavo di sospendita fissato alle alette di rollio.
La versione di Bianchi è diversa, racconta di essere stato con de la Penne fino all’ultimo e di aver fatto le ricognizioni che gli erano state ordinate e di essere emerso pochi minuti prima del suo comandante per un inizio d’intossicazione che lo stava portando allo svenimento. Va ricordato che il secondo operatore era quello più esposto ad intossicazioni d’ossigeno perché nei trasferimenti di avvicinamento all’obbiettivo, con il mezzo appeso alla rapida, cioè pronto all’ immersione con l’apertura della valvola di sfogo aria di questa cassa, era quello che navigava con la testa sotto il pelo dell’acqua mentre il primo operatore navigava ancora con la testa fuori e quindi respirando aria.
Gli equipaggi più affiatati, lì dove la coppia di operatori non era separata dal grado ma esisteva un legame di fraterna amicizia, accadeva, come racconta lo stesso Bianchi, che il primo operatore, negli avvicinamenti, scambiava il suo posto con il suo secondo per ridurgli i tempi di respirazione in ciclo chiuso, cioè dal suo sacco polmone rigenerato con ossigeno.
Bianchi, personaggio mai sopra le righe, come lui stesso dice nella già citata intervista
“la mia preoccupazione è di non turbare il ricordo del più grande successo militare italiano della seconda guerra mondiale, di non togliere nulla alla memoria degli altri cinque eroi”,
ha aspettato con pazienza una risposta alla lettera inviata al suo comandante senza mai riceverla. Solo nel 1996, decise di raccontare la sua verità scrivendo un libro dal titolo: Pagine di Diario, 1940-1945. Sempre in quegli anni, pose la questione alla Marina con una lettera al Capo di Stato Maggiore, Amm. De Donno, ma gli fu detto che era ormai troppo tardi per rivangare vecchie storie.
Una piccola consolazione la ricevette dall’Ammiraglio Biraghi, Capo di Stato Maggiore della Marina, il 18 dicembre del 2004: la sua figlia primogenita Maria Elisabetta , che nasceva proprio mentre lui partiva per la missione di Alessandria, fu la madrina del varo del nuovo sommergibile Scirè. Nell’occasione, sempre l’Amm. Biraghi, fece un discorso riconoscendo i meriti di Bianchi ed elogiando il valore di tutte e sei le medaglie d’oro.
Fermo restando il valore dei sei operatori, non posso non manifestare la mia personale ammirazione per Marceglia e Schergat.
Marceglia è unanimemente riconosciuto dagli addetti ai lavori come l’unico operatore che ha compiuto con il suo SLC una missione perfetta coadiuvato, in questo, da un secondo altrettanto grande.
Ma i riconoscimenti ufficiali sono stati uguali per tutti? Forse no, infatti:
- De la Penne, uomo valoroso senza dubbio, ha avuto tutti i riconoscimenti possibili sia nella sua carriera professionale che nell’essere ricordato: un cacciatorpediniere della nostra Marina porta il suo nome;
- Martellotta, eccellente primo operatore che, come Marceglia, ad Alessandria non ha commesso errori, ha avuto riconoscimenti più modesti rispetto a quelli di de la Penne, ma li ha avuti; una piccola nave esperienze della nostra Marina porta il suo nome;
- Marino, eccellente secondo operatore, anche lui è stato ricordato con una piccola nave che svolge il suo servizio a Comsubin;
- Marceglia: non mi risulta niente d’importante che in Marina lo ricordi;
- Schergat, vale quanto detto per Marceglia;
- Bianchi, vivente.
E perché così non è stato? Cosa ha contribuito a differenziarne i riconoscimenti? Forse il fatto che nel 1945 qualcuno giudicò i sei in base alle scelte che questi operarono o furono costretti ad operare? E perché, ancora oggi, valgono quei giudizi e non viene posto rimedio? Marceglia e Schergat nel 1945, per motivi diversi, lasciarono la Marina e probabilmente questo loro gesto costituì già un primo discriminante.
Marceglia, rientrato dalla prigionia dopo l’otto settembre 1943, fu reintegrato nei quadri della Marina del sud e fu destinato nel nuovo reparto assaltatori (Mariassalto) costituito a Taranto.
Nel febbraio del 1945 compì una missione al Nord per conto dell’Office Secret Service per contattare Borghese, ma, appena passato il fronte nei pressi di Carrara, incappò in un rastrellamento tedesco e fu fatto prigioniero. Ebbe, però, la possibilità di far arrivare a Borghese una sua richiesta di contatto e Borghese provvide subito a fornirgli una copertura inquadrandolo nella sua unità. Il messaggio che portava Marceglia era una richiesta di collaborazione affinché la Decima MAS impedisse ai tedeschi di attuare il loro piano che prevedeva, durante il loro ritiro dall’Italia del Nord, la distruzione dei porti e delle infrastrutture industriali.
Borghese accettò e impedì la distruzione del porto di Genova e di molte fabbriche, tra cui gli stabilimenti FIAT. Marceglia, che aveva anche il desiderio di raggiungere Trieste per sposare la sua fidanzata (matrimonio rimandato nel 1941 allorché dovette allontanarsi per imbarcare sullo Scirè, missione Alessandria) continuò ad usufruire della copertura che gli era stata offerta, collaborando con Borghese nell’attuazione delle richieste di cui era stato latore che riguardavano anche la possibilità d’intervento per la salvaguardia della Venezia Giulia.
A seguito di una riunione tenutasi a Milano, Marceglia comunicò al sud l’impossibilità dell’intervento e successivamente si recò, in divisa da Tenente di Vascello della Decima Mas, con un’auto e documenti della Decima Mas, a Trieste ove si sposò e attese la fine degli eventi bellici. Successivamente, per aver indossato ed usufruito di documenti della X^MAS, la Marina voleva espellerlo ma fu salvato dal Cap. di Vascello Agostino Calosi, Capo del S.I.M., che ricordò al Ministro in carica chi era stato Marceglia.
Nel dicembre del 1945 gli fecero firmare una domanda di dimissioni e gli procurarono, per dargli da vivere, un posto di lavoro come Direttore dei Cantieri Navali di Venezia. In pratica fu epurato, ebbe un trattamento decisamente diverso da quello riservato al suo collega di missione che aveva solo danneggiato la gemella della Queen Elizabeth, cioè la Valiant.
Schergat, istriano come Marceglia, fu, come lessi in una relazione del Centro Studi Militari di Trieste, un “Palombaro che non chiese nulla”.
Nel 1945, Marceglia, suo fraterno amico, voleva convincerlo a restare in Marina dove finalmente avrebbe potuto godere di qualche agio in più rispetto a quanto precedentemente la vita gli aveva riservato. Con la medaglia d’oro era stato promosso sergente e sicuramente avrebbe potuto proseguire nella carriera.
Ma Schergat non si lasciò convincere, gli bastava essere stato promosso sergente per meriti di guerra: probabilmente non si riconosceva più in quella Marina sottomessa all’Union Jack contro il quale aveva combattuto. Lasciata la Marina, fu costretto a lasciare anche l’Istria e a trasferirsi a Trieste. Ritornò a fare il Palombaro fino al 1952, poi, per ventisette anni, fece il custode dell’università di Trieste.
Morì a 76 anni nel 1996 non certo nelle condizioni economiche che una medaglia d’oro avrebbe meritato; nel giugno dello stesso anno aveva ricevuto dal governo il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli.
Per curiosità ho fatto una ricerca su Internet per vedere se qualcosa fosse stato intitolato a Marceglia e Schergat, l’ho trovato solo per Marceglia: Una Piscina “Antonio MARCEGLIA” in via Sandro Gallo, al Lido di Venezia!
Non sarebbe ora che la Marina si ricordasse di questi due eroi che non furono così bravi a crearsi le stesse condizioni per ottenere gli stessi trattamenti che furono riservati a de la Penne?
Per concludere, voglio ricordare un volumetto del comandante Nesi, scomparso proprio in questi giorni, dal titolo: “Verità e Fantasie su de la Penne”. Nella conclusione di questo volumetto dice:
“Vorrei poter concludere questa carrellata su Luigi Durand De La Penne con la speranza di aver potuto riportare alla normalità il nome di quell’eroe togliendogli di dosso le croste di una fama basata solo su cose e fatti immaginari. Eroe per aver portato a termine l’impresa di attaccare la Valiant pur tra mille difficoltà e con il fisico a pezzi….
Durand de la Penne era stato un vero “Uomo” in tutti i sensi, ma non un incredibile “Mito”. Così, in questo senso, lo avevano considerato tutti gli Operatori dei Mezzi d’Assalto della X^ Flottiglia MAS…..”
Si ringrazia: Ufficio Storico Marina Militare Italiana e Wikipedia per:
- Foto Queen-Helizabeth1: fonte Ufficio Storico Marina Militare Italiana
- Foto Queen-Helizabeth2: fonte Wikipedia
- Cartina illustrata: Fasi operazione Alessandria – fonte Ufficio Storico Marina Militare Italiana
Un articolo molto interessante e ricco di spunti di riflessione.
Non posso quindi che associarmi al ringraziamento di Romano.
Cordiali saluti.
Ragnoli
Un ringraziamento all’autore per il suo impegno nella ricerca storica sui mezzi d’assalto