La barca non è un’ auto… (25° puntata) – Inventare l’ombrello? Si!
di Antonio Soccol
Si dice:
“Vedi di non inventare l’ombrello” come se fosse operazione inutile. L’ombrello è già stato inventato, vero? E, invece, no. Gerwin lo ha ri-inventato. E, assolutamente, non ha fatto una “inutile” operazione. Adesso vi spiego: Gerwin è un giovane “industrial designer”. Un giorno, siamo nel settembre del 2005, pioveva forte, a raffiche spinte da un vento robusto: grossomodo sui cinquanta chilometri orari. Lui apre l’ombrello e quello patapumfete si rovescia di colpo, le stecche si spezzano e la tela si squarcia. Gerwin si incazza e lo scaraventa dentro a un cassonetto delle immondizie: “Tanto era vecchio”, si consola. Poi cerca un negozio (niente utilissimi “vu’ cumprà- venditori di mini-ombrellini” in circolazione) e ne compra uno di nuovo. Stessa scena: colpo di vento e ombrello a “gonne all’aria”. Stecche rotte eccetera eccetera.
In una settimana, il giovane rompe ben tre ombrelli. “Allora non dipende dalla loro età ma dalla loro forma”, pensa Gerwin, tutto bello inzuppato che sembra un pulcino bagnato. E poiché, come detto, lui di lavoro fa il disegnatore industriale decide di inventare l’ombrello. Un ombrello che quando tira vento non si rovesci. E non si rompa. Quanto vento? Gerwin decide che se regge a 70 mph (112 km/h) è sufficiente. Affitta allora 25 metri quadrati di spazio in un laboratorio e incomincia a disegnare prima e a realizzare poi con le sue mani, modelli di ombrelli con differenti geometrie. Poi li prova portandoli in giro aperti sulla sua automobile spyder alla velocità, appunto, di 70 mph: il successo non viene subito. I primi modelli fanno la stessa fine di quelli tradizionali, ma un po’ alla volta Gerwin capisce quale sia la strada da percorrere e, alla fine, una certa specifica forma supera il test.
A questo punto la storia diventa favola: la Dutch Rabobank gli concede un prestito per iniziare la produzione in serie. Che viene fatta in Cina dove, in fatto di ombrelli, sono maestri.
E Gerwin, dopo aver passato quasi due anni di fame, diventa ricco. Volete saperne di più? Andate a questo link www.senzumbrellas.com e leggetevi (in inglese) il resto della storia, dove si può comprare questo “invento” eccetera. Io l’ho visto, per caso, in un negozio di oggetti di design a Amsterdam. L’ho comprato e funziona. Si chiama “Senz”, è del tipo pieghevole (e quindi sta comodamente nella borsa delle signore), pesa poco ed è anche molto carino/elegante.
Siccome è brevettato, per il momento, nessuno lo ha copiato, quindi se ne vedono pochi in giro: la produzione il primo anno è andata bruciata ma era di soli diecimila esemplari. Una scelta di marketing forse suggerita anche dai non grandissimi capitali iniziali a disposizione.
Ma che c’entrano gli ombrelli con le barche? Niente. Il mio voleva solo esser un esempio di come si possa trovare qualcosa di nuovo e efficiente anche quando si ha a che fare con un prodotto che ha secoli di tradizione e… collaudo.
Nelle carene della barche è capitato lo stesso: alla fine degli anni Cinquanta, quando Hunt e Levi ci fecero vedere che le opere vive a fondo piatto erano meno efficienti di quelle a V, con un diedro allo specchio di poppa superiore ai 20 gradi. E’ passato mezzo secolo. Niente di meglio è apparso: parecchi tentativi, moltissimi (inutili) brevetti, una bella raccolta di frustrazioni. “E’ la ricerca, bellezza”.
Abbiamo visto pattini longitudinali messi un po’ da tutte le parti, redan a gogò (quando uno, se ben piazzato, è più che sufficiente), prue a “incrociatore austro-ungarico” eccetera. Provare è lecito, intendiamoci. Scaricarne i costi su un cliente, lo è molto meno.
Ma il vero problema (onestà a parte) è la pulizia mentale con la quale si affronta una ricerca. Non bisogna fare qualcosa di “nuovo” perché sia “nuovo” ma perché funzioni meglio di quanto già esiste.
Vale per un martello (mitico quello del mio caro amico “Cici” Castiglioni, uno dei migliori disegnatori industriali di tutto il mondo) come per una barca. Per farmi capire meglio: in molti mi hanno detto che io ce l’ho con le “prue a incrociatore austro-ungarico” ma che sbaglio perché, si sa, la lunghezza al galleggiamento, in acqua, fa velocità. Sì, la conosco quella regoletta di idrodinamica. Ma non vale. O meglio: vale solo se c’è un regolamento che mi impone una lunghezza massima, come capita nelle regate veliche. Non vale, invece, se nessuno mi obbliga dentro certi numeri, certe dimensioni di LOA (length overall, lunghezza fuoritutto) o di LWL (lenght waterline, lunghezza al galleggiamento). Insomma: se io sto disegnando una barca da diporto e non da regata…beh, sono libero di scegliermi le mie LOA e LWL in funzione della sicurezza … che magari cambia se sto disegnando una barca a vela (che ha una velocità massima inferiore ai 15/20 nodi) oppure una a motore (che può filare oltre i 40 nodi). Perché? Perché la prua di un natante veloce, specie in caso di mare di poppa, deve avere portanza e, una linea come quella degli “incrociatori”, di portanza non ne ha neppure un po’: oltre i 35/40 nodi, spin-out garantito.
Ecco quindi che noi abbiamo in questo caso un esempio di una progettazione ispirata ad un concetto (principio di fisica e idrodinamica) corretto ma applicato su un elemento “non inerente”. In sintesi: si è prevaricato per mancanza di pulizia mentale.
Ma questa “pulizia mentale” da cosa nasce? E’ un dono come avere una bella voce oppure si può imparare? La risposta è che si deve imparare. E che per farlo c’è solo un mezzo. Studiare.
Nel fascicolo di novembre di Barche, nel mio contributo al Forum con “Il nuovo non è bello e il bello non è nuovo. 3°”, concludevo con queste parole:
Uno spunto che viene da una notizia d’agenzia di oggi. Dice: “La maggior parte dei designer focalizza i propri sforzi per soddisfare le richieste del 10% della popolazione ricca del mondo. Per gli altri (oltre 5 miliardi di persone) è nato il progetto “Design for the other 90%”, lanciato dal Cooper-Hewitt National Design Museum di New York. Si tratta di raccogliere e promuove tutte quelle invenzioni che aiutano i più poveri (…).” Nessuno dei nostri tanti progettisti di “barche da porto” è disponibile a entrare a far parte di questo progetto per darci barche da diporto “for the other”? Aspronadi, pronto? Risponde qualcuno?
E Aspronadi ha risposto, con una lunga lettera del suo Segretario Generale, l’architetto Elena Lenzi.
Com’è noto l’Aspronadi è l’Associazione dei progettisti della nautica da diporto. L’architetto Lenzi (yacht designer) mi scrive:
Una provocazione così non poteva cadere nel vuoto…! Altro che! Non solo l’Aspronadi risponde ma si impegna a farlo in modo sempre più incisivo e diffuso. Mi permetto di dire che, con rinnovato vigore, l’associazione da un anno a questa parte ha preparato e prepara interventi in questa direzione. Sempre più siamo consapevoli, come progettisti, degli obbiettivi a cui dobbiamo mirare. E sono fiera di aver riscontrato che tra i membri (con le solite eccezioni che confermano le regole) ci sia la voglia di puntare i piedi sulla professionalità piuttosto che sull’assecondare il mercato. Ed è per questo che affrontiamo il lungo percorso verso l’obbiettivo con un passo dietro l’altro.
Tanto per incominciare l’associazione ha creato un sistema di corsi di formazione/informazione, che è in continua evoluzione, per cercare di dare una conoscenza maggiore a chi progetta e perché no, costruisce barche “da diporto” e non “da porto”.
Una volta si andava “a bottega” e si imparava il vero sapere… Oggi noi (più giovani) progettisti abbiamo libri, programmi avanzati di calcolo, simulazioni e quant’altro… ma un po’ per mancanza di umiltà, un po’ per mancanza di cultura, perdiamo di vista il vero sapere.
Qualcuno (tra cui la sottoscritta) grazie ad un educazione forse oggi retrò, si è resa conto della fortuna di aver imparato dall’aver dovuto costruire un pensile di bordo prima ancora di disegnarlo.
Di avere la fortuna di collaborare con i “vecchi saggi” (chiedo già scusa per l’aggettivo ma vuol essere solo un rafforzativo). Ed allora visto che la “bottega” non esiste più o è difficile da raggiungere, perché non ricrearne piccoli frammenti accessibili?Per questo i corsi Aspronadi. In allegato l’elenco dei primi (solo per questioni tecnico amministrativi) che abbiamo istituito per il primo semestre 2009.
Poi: a) con Sergio Abrami e con altri professionisti del settore stiamo organizzando un corso sulla “sicurezza in mare”; b) stiamo organizzando, dopo una serie di workshop e dibattiti, un corso sui materiali eco- sostenibili, in tutto il loro ciclo vita, per la realizzazione di parti della barca; c) corsi sull’utilizzo consapevole dei programmi di calcolo.Di conseguenza credo che Aspronadi voglia sempre più diventare una associazione di progettisti che fa barche per il 100% degli utenti. L’idea potrebbe essere: pensiamo, studiamo, progettiamo, costruiamo “for the other 90%”, poi lo rendiamo di moda e allora lo compreranno anche i signorotti, quelli del 10%
Lazzaro (Aspronadi) è risorto, io mi sento un po’ come quel bravo ragazzo autore di quel famoso miracolo (sperando di non far la stessa fine) e l’idea è buona. I corsi sono quelli evidenziati nei box che arricchiscono questo articolo. E questa può essere una maniera per studiare. Spero che di idee e corsi se ne aggiungano altri. Sempre di più.
Sapete perché? Perché all’ultimo Salone di Genova, allo stand di Barche, ho conosciuto César Mendoza, direttore dello IED (Istituto Europeo di Design) di Torino. Fondato a Milano nel 1966 dall’attuale presidente Francesco Morelli, IED offre ai giovani che desiderano intraprendere le carriere creative della moda, del design, delle arti visive e della comunicazione, una formazione profonda ed efficace, fondata sulla cultura teorica e pratica del progetto. Ha sedi a: Milano, Torino, Roma, Venezia, Madrid, Barcellona e San Paulo do Brasil. Il suo principio base è contenuto nelle parole del suo fondatore Francesco Morelli:
Abbiamo fondato IED nel 1966 sull’idea che il sapere e il saper fare devono crescere insieme. Nel rispetto delle logiche del mercato e dei principi della formazione di alto livello, abbiamo scelto una cultura del progetto più autentica e attuale. Abbiamo concepito, pianificato e costruito la scuola del progetto. Sappiamo che cosa significhi portare avanti un’idea fino a vederla realizzata e lo insegniamo ai giovani creativi di tutto il mondo.
Bene. César Mendoza mi ha detto:
“Quando mi sono guardato attorno per vedere a quale settore industriale indirizzare i nostri corsi a Torino, ho scelto la nautica da diporto perché fra tutti quelli che esistono, è il più primordiale.” Ha usato proprio questa parola: “primordiale”.
Ma ha anche subito aggiunto che neppure i settori automobilistici e motociclistici sono molto meglio. Oh! Alla buonora.
Dai!, che ce la facciamo a far diventare una barca “meglio” di un’automobile! Ombrelli (nuovi) permettendo, s’intende.
AS.PRO.NA.DI a partire da gennaio 2009
organizza ed organizzerà corsi di formazione ed informazione sui temi più richiesti dalla professione del progettista nautico.
A partire da un uso corretto dei diritti legali del progettista, passando attraverso le regolamentazioni RINA, per arrivare a corsi di informazioni su specifici materiali e processi, mettendo l’accento sul eco-sostenibilità.A tali corsi o incontri di studio sono ammessi anche i professionisti non associati all’AS.PRO.NA.DI.
L’Associazione, grazie alla collaborazione con produttori di materiali e accessori, provenienti dal mondo nautico ma non solo, sta organizzando delle giornate informative per una migliore conoscenza di quest’ultimi.Maggiori informazioni e le modalità di iscrizione sono disponibili in segreteria. Via Signorelli 17- 20154 Milano +39 02.31.24.38 info@aspronadi.it
Corso Progettazione 01 (Marzo 2009):
Luogo: Venezia. Titolo: “Un Work Shop a Venezia in “dolce compagnia”
È una proposta fatta dall’Associazione AS.PRO.NA.DI in collaborazione con il R.I.NA per rendere più piacevole una giornata di studio sulla normativa vigente in compagnia dei propri compagni/e e per chi lo desidera, anche con i figli, approfittando di un luogo magico: Venezia, in una stagione insolita ma piena fascino…
Il corso: un tecnico illustrerà le prescrizioni ed i regolamenti da seguire per la progettazione di un imbarcazione in classe charter.
Programma corso primaverile (17-18 Aprile):
Venerdì ore 15.00 – 18.00 Tema: I rapporti con le imprese: progettisti e designers nei rapporti con la committenza e con i cantieri.Sabato 15 marzo 2009 ore 9.00 – 12-00 Tema: La tutela giudiziale e stragiudiziale dei diritti.
Corso Progettazione 02 (Maggio 2009):
Luogo: Roma. Titolo: “Bioarredamento e sostenibilità per la nautica da diporto” Il corso sarà tenuto dal bio-architetto Adriana Bazzicalupo in collaborazione con l’interior yacht designer Maela Lenci.
Si propone di suggerire nuove possibilità per la realizzazione di interni di yacht da diporto sia a motore che a vela, con materiali ecocompatibili ed eco-sostenibili. Gli argomenti sono vasti ma come primo corso saranno riassunti in due giornate. Le maggiori tematiche saranno:
- scelta dei materiali di costruzione, nello specifico qualità e provenienza delle essenze di legno;
- trattamenti biocompatibili per lo stesso materiale;
- materiali biologici di rifinitura: dai pavimenti ai rivestimenti;
- materiali di isolamento naturale;
- impiantistica con caratteristiche specifiche di resistenza alla salsedine e al tempo;
- scelta degli elettrodomestici a risparmio energetico classe A ++;
- analisi delle nuove tecnologie, come collettori solari produttori di acqua calda sia per la produzione sanitaria che per il riscaldamento, pannelli fotovoltaici e normative di finanziamento; h) arredamento: dalla scelta dei materiali alle imbottiture, alla scelta del letto e dei tessuti;
- educazione sui consumi alla base della riduzione dei rifiuti;
- scelta dei detersivi antinquinamento;
- adozione di sistemi di riduzione dei consumi d’acqua.
Corso Progettazione 03 (Giugno 2009):
Luogo: Genova. Titolo: “Normative eco-sostenibili”L’associazione in collaborazione con il RINA (Registro navale Italiano) sta organizzando un corso della durata di una giornata, nel quale un tecnico illustrerà le prescrizioni ed i regolamenti da seguire per la progettazione di un imbarcazione in classe “green star”.
Questo marchio è un primo passo di regolamentazione da seguire per rendere una imbarcazione da diporto ecocompatibile. Questa caratteristica oltre a sostenere la nuova politica ecologica mondiale permette di abbattere costi di costruzione e manutenzione dell’oggetto “imbarcazione” nel lungo periodo e darle inoltre la possibilità di accesso a molte aree marine protette.
Corso Perito Assicurativo (Maggio 2009):
Luogo: Roma. Titolo: “il comportamento delle Assicurazioni in presenza di polizza corpo emessa a favore di imbarcazione o nave da diporto”.Il corso sarà tenuto dall’ing. Sergio Boghi, illustre esperto del settore, il quale entrerà nel merito di un caso particolare per spiegare in generale i compiti del professionista che vorrà svolgere l’attività di perito dell’assicurazione.
Durante il corso verranno descritti i compiti del perito dal momento ricevimento incarico da parte degli Assicuratori, in presenza di un grave evento in mare che potrebbe paventare una ipotetica perdita totale “costruttiva” sostenuta dalla domanda di abbandono barca/nave da parte di un Assicurato tramite suo legale.
E inoltre: logistica, contatti con gli operatori, gestione degli interventi di salvaguardia della barca, contatti con gli enti certificatori /RINA, LLOYD’s ecc., preventivo di spesa delle riparazioni, preliminare di perizia agli Assicuratori con motivazioni tecnico/economiche valide che mettano i legali della compagnia di respingere l’abbandono della barca/nave. Gestione e sorveglianza dei lavori di riparazione.
Articolo apparso nel fascicolo di Gennaio 2009 della rivista “Barche” e qui riprodotto per g.c. dell’autore.
Carissimo Antonio,
desidero sapere se conosci il primo che ha brevettato il sistema redan, mi risulta che sia stata applicata su una carena di legno da un ingegnere di Gioiosa Marea (ME).
Grazie.
Saluti, Emilio.
Caro Achille,
oltre alla risposta di Antonio Soccol, ti invito a leggere l’articolo che abbiamo pubblicato oggi intitolato “La ventilazione delle carene plananti” dell’ ing. Oscar Carriero, che trovo eccezionale nei suoi contenuti e molto attinente al tuo quesito.
Buona lettura!
Giacomo Vitale
Caro Antonio,
grazie per il commento, non avevo dubbi… preciso ma soprattutto convincente, cordialità.
Achille Ventura
Caro Achille,
grazie innanzitutto per l’attenzione con cui mi leggi e scusa se ho tardato a risponderti: sono stato un po’ in giro…
Non sono contrario per principio ai redan (o steps che dir si vogliano). Cacciare dell’aria sotto al fondo della barca non è quasi mai una cattiva idea. Importante è dove si mettono questi benedetti redan.
Peraltro una premessa è indispensabile: non è corretto confrontare una barca da corsa con una da diporto: c’è una variante fondamentale che è data dalla posizione dei carichi.
Mi spiego. In uno scafo fortemente competitivo (da gara oppure come il Cigarette che tu citi) i pesi a bordo sono assolutamente fissi e con il passare del tempo di prova (o di gara) possono solo alleggerirsi per l’inevitabile consumo del carburante. Quindi la barca diventa sempre più leggera e la carena viene sempre più fuori dall’acqua.
Al contrario, in uno scafo da diporto la distribuzione di molti pesi cambia continuamente: un conto è effettuare delle prove a barca “leggera” e altro è farle dopo aver fatto i pieni di carburante, acqua dolce, cambusa. E fin qui si tratta solo di stabilire che quando un cliente intende acquistare uno scafo deve provarlo al massimo delle sue condizioni di peso. Niente di trascendentale, ma quasi nessuno lo fa. (E il cantiere venditore si guarda bene dal suggerirlo…)
Però, durante una crociera, l’equipaggio si sposta continuamente: chi prende il sole a prua e chi invece sta in pozzetto, chi dorme nella cabina di poppa e chi “pilota” dal flying. E queste sono variazione, diciamo, minime. Ma spesso vi sono armatori che, al momento dell’allestimento degli interni, piazzano cassaforti d’acciaio piuttosto che pianoforti a coda (scherzo ma cerca di capire lo spirito della faccenda) dove più gli garba. E questo è praticamente impossibile a sapersi in fase di pura progettazione dell’opera viva di quello scafo: uno stampo di una scocca in vetroresina è, però, eguale per tutta la produzione…mentre l’arredamento cambia.
I redan funzionano se sono in grado di far arrivare aria sotto al fondo. Questo è fattibile solo se, in planata, risultano “liberi”, “aperti” all’ingresso dell’aria stessa. Ma, se per combinazione, proprio sopra qualcuno ha piazzato un bel carico…non solo l’aria non entra ma l’effetto dei redan è controproducente per la ricerca della massima velocità. Si creano delle contropressioni che frenano lo scafo.
Ecco allora che molti progettisti, per pararsi …il lato B, di redan ne mettono diversi, nella logica che se uno non funziona, gli altri invece magari aiutano. Ma quasi mai il risultato è positivo. Anzi.
Io penso che un solo redan, fatto bene (anche la sua forma e dimensione hanno, naturalmente, grande valenza) e piazzato al punto giusto, possa esser di aiuto. Il problema è sapere quale sia questo punto giusto nel momento in cui si introducono delle varianti di posizione di carico influenti.
Quindi, in una barca da diporto e che abbia una velocità di progetto inferiore ai 35/40 nodi, i redan possono essere inutili. O negativi.
Uno dei maggiori esperti in materia, l’ing. Oscar Carriero (ingegnere aeronautico dal 1979 e socio Aspronadi) mi ha recentemente scritto quanto segue:
“Ancora oggi si conosce assai poco delle carene veloci e le uniche prove sperimentali disponibili ad alta velocità sono quelle sugli idrovolanti, risalenti agli anni ’20 o ’30, quando le infrastrutture aeroportuali erano troppo costose per utilizzare velivoli a carrello terrestre.
In campo navale contiamo pochi nomi e poche pubblicazioni significative.
Le prove sperimentali in vasca, ad esempio, difficilmente arrivano ai numeri di Froude attualmente accessibili. Quel poco che si ha è del tipo “carene comparative”, insufficienti a coprire la varietà delle situazioni reali.
Non parliamo poi della stabilità alle alte velocità, dove vale più la singola esperienza che non una trattazione organica.
Persino i codici di calcolo CFD presentano numerose lacune e non sono facili da interpretare.”
Come vedi la materia è difficile, poco chiara e gli unici dati risalgono a quasi un secolo fa. Spero che, quanto prima, l’ing. Carriero trovi il tempo per scrivere, come gli ho chiesto, un approfondito studio in merito. E di poterlo pubblicare proprio su “Altomareblu”. Così avremo le idee più chiare tutti.
Un cordiale saluto,
Antonio Soccol
Caro Antonio.
I tuoi articoli, sono sempre puntuali e, come al solito, precisi per quanto attiene la tecnica e la sperimentazione, e circa la assolutà povertà di idee nuove, che la nautica da diporto in generale ha dimostrato negli ultimi trenta anni e ciò, soprattutto, nel design di nuove linee di acqua.
Affermazioni queste largamente condivisibili.
Chi ti scrive, mentre di progettazione, di calcoli e di idrodinamica, ne sa poco; di navigazione sulle carene veloci, un po’ di sperimentazione ne ha fatta, sia in gara, che in diporto.
In piu’ di un tuo articolo, mi è sembrato però di cogliere, una tua non celata disapprovazione sulle carene con gli steps, anche se credo potrai smentirmi.
Ti posso garantire che, a parte quelle “cose” strane che si intravedono nei tanti saloni nautici e che dimostrano che il progettista ha inserito degli steps solo perchè, avendo in quel momento il singhiozzo, ha tirato degli angoli a caso sui piani di carena; per il resto, le (poche) carene con steps, sviluppate da gente che sa quel che fa, hanno prestazioni straordinarie e garantiscono un assetto di navigazione unico.
Ti porto due esempi: ho personalmente condotto per oltre sei anni uno scafo di Fabio Buzzi di circa 40 piedi, massacrando letteralmente tutti i miei concorrenti, anche quelli forniti di potenze e lunghezze superiori, senza mai uno spin-out o una situazione di pericolo.
Considera che lo scafo in questione viaggiava tranquillamente ad oltre 90 mph di crociera (in gara) con punte di 103/106 di massima; il tutto sin dall’inizio degli anni 90.
Ed ancora, ho provato a lungo, recentemente, l’ultima versione del 39 top gun disegnato da Michael Peters per Cigarette, verificando un assetto alle alte velocità ed una facilità di conduzione straordinaria. (su questo scafo mi manca per inciso una esperienza sul mosso).
Sarei veramente interessato ad un tuo commento su queste mie poche righe e, se ne avrai voglia, di illustrarmi nel modo chiaro e schietto che cotraddistingue i tuoi articoli, i motivi di una tua eventuale avversione sulle carene con più “gradini” che a me sembra di aver colto.
Cordiali saluti.
Achille Ventura