Aurea Materia di Marco Nicoletti
In questo volume intitolato “Aurea Materia” l’autore Marco Nicoletti riporta una scelta di tre quaderni, belli e di carta spessa, che riferisce testualmente, negli ultimi quindici anni ho colmato con appunti, impressioni di viaggio, coincidenze quotidiane, citazioni da autori a me cari e disegni.
Un promemoria basato sul ricordo di altri preziosi diari, quali “Il Diario di uno straniero a Parigi” di Malaparte, “Le Lettere, Pensieri e Appunti” di Tommaso Buzzi, “L’Italia di Ieri” dei Goncourt, “Le Cose viste” di Ojetti, “Le Memories” di Goldoni, “I viaggi in Italia” di Ruskin. In essi ho potuto gustare la malia che solo un tale genere di scrittura può sprigionare.
Sintetica raccolta di accadimenti e suggestioni, questo personale teatro della memoria rappresenta l’impalcato aureo ove poggiano le architetture dei miei libri.
Ho saputo di questo libro da Mario Camilli uno dei quattro componenti dell’equipaggio della Marina Militare messo a disposizione del Comandante Giovanni Ajmone Cat per raggiungere l’Antartide e di seguito è riprodotta una piccola parte del libro in cui il suo autore descrive della storia del San Giuseppe Due e del suo mitico Comandante, impresa che riusci per il grande coraggio del comandante e dell’equipaggio.
Un viaggio durato in totale circa due anni e mezzo e vissuto a bordo del motoveliero dagli spazi angusti, progettato secondo le indicazioni del suo Comandante – armatore e realizzato con la sapiente maestria dei due mastri d’ascia, Girolamo e Giuseppe, dell’ultra centenario Cantiere Palomba di Torre del Greco.
14 settembre (2002) pag.93
Vado ad Anzio a trovare Giovanni Ajmone Cat, il primo navigatore italiano ad aver raggiunto l’Antartide, nel 1969 e nel 1973, con un veliero fatto costruire appositamente. Mi ha tenuto a battesimo. Il casale in vista del mare, soffocato dall’edilizia popolare che è arrivata fino al muro di cinta.
Il Comandante ha scavato un’enorme trincea nel terreno a lato della casa e ci ha calato dentro il veliero San Giuseppe Due, tolto dal mare e divenuto monumento.
Dentro casa c’è il museo con reperti dell’Antartide e, in garage, la favolosa Lancia Artena Torpedo del ’34, un sogno di macchina, l’eleganza perfetta. Il “Giovannino” è lo stesso di quando io avevo sei o sette anni, ancora tormentato dalla madre che ora è centenaria.
22 dicembre (2002) pagg. 98 – 99 – 100
Anzio
Nella casa di Anzio, una domenica pomeriggio davanti al camino con Giovanni Ajmone Cat e l’equipaggio del San Giuseppe Due. Dopo colazione, Giovanni inizia a raccontare della seconda spedizione antartica.
Si era fermi al largo di Las Plalmas di Gran Canaria, all’ancora: In quel periodo gli americani, era il 1973, avevano la navicella Apollo nello spazio e i russi, con navi mascherate da pescherecci, li spiavano dall’Atlantico: Vi era una nave con grandi antenne paraboliche retraibili che seguiva i movimenti della navicella spaziale, era circondata da pescherecci, probabilmente motovedette militari mascherate, che le stavano attorno impedendo alle altre imbarcazioni di avvicinarsi.
Noi eravamo evidentemente sconfinati in quel tratto di mare controllato, tanto che ci venne vicino una delle imbarcazioni e ci girò attorno per un po’.
Allora, facemmo tutti i segnali di convenienza e loro insistettero per poter salire a bordo, essendo venuti a conoscenza che la nostra destinazione era l’Antartide.
Al nostro rifiuto, quelli proseguirono l’avvicinamento a velocità sostenuta, speronandoci il giardinetto di sinistra e causando la rottura della falchetta di poppa sinistra….a quel punto, scesi sotto coperta e mi armai.
Avevo a bordo due revolver Glisenti 10.35 (antica dotazione dei Carabinieri) due fucili: Tornato sul ponte, scaricai i sei colpi di una delle Glisenti sulla motovedetta in avvicinamento. A bordo, vi fu il panico e lo scafo si allontanò rapidamente raggiungendo il rompighiaccio che era in rada.
Allora, scesi a terra con il tender e denunciai il fatto alla rappresentanza consolare italiana presso l’autorità portuale.
Il giorno dopo – eravamo ancora alla fonda – ci raggiunse una motovedetta dell’autorità portuale con militari a bordo e mitragliatrici puntate su di noi: era il comandante del porto che veniva ad indagare chi fossimo e perché avessimo sparato. Dopo lunghe, sospettose formalità, salì a bordo per notificarci il reato commesso.
A quel punto il mio equipaggio, in quanto costituito da sottufficiali di marina, indossò la divisa militare. Immediatamente, sullo scafo della capitaneria ci furono momenti di grande nervosismo tra i militari, tanto che un sottufficiale, sicuramente ubriaco, impugnò un mitra MAB, lo caricò e ce lo rivolse contro dicendo “ Conto fino a cinque e poi sparo!”
Capii all’istante di essere nei guai. Ma avevo con me un ostaggio. Puntai allora la Glisenti al collo del comandante, minacciando di ucciderlo se non avessero posato le armi entro un minuto. Il comandante, terrorizzato, ordinò ai sottoposti di posarle e di fare immediatamente ritorno al porto.
Scampato pericolo, ci riconducemmo anche noi alla rada e l’avventura finì per il meglio. Quando attraccammo, dichiarammo alle autorità < spagnole > che eravamo una rappresentanza della Marina Militare Italiana, come tali, ci eravamo difesi da una aggressione.
Un altro racconto di Giovanni riguarda il golpe militare di Borghese. La figura del Principe. Le guardie forestali come capro espiatorio. Un colpo di Stato esclusivamente militare, non politico. Giovanni ricorda che in quei giorni, al Circolo della Caccia, fu avvicinato da un noto generale che, forse celiando, lo salutò come nuovo Ministro dell’Agricoltura. Poi, all’ultimo momento, ci fu inesplicabile voltafaccia dei militari e finì tutto nel niente.
Per di più, a Buenos Aires, nel corso di una cena offerta dall’ambasciata italiana con ospiti le autorità argentine, Giovanni aveva incontrato Giulio Andreotti, che gli aveva donato una preziosa riproduzione della fontana di Trevi. Una fatata successione di circostanze e incontri, tutti diligentemente registrati dai Servizi, che aveva dato adito al sospetto di un suo presunto coinvolgimento del golpe del 1974.
Quando, nell’articolo su Ideazione, parlo di come l’archetipo del Vittoriale sia presente in ogni italiano che si accinge a eternare le proprie imprese, forse non vado lontano dal vero. Il caso di Giovanni Ajmone mi dà ragione. Nella sua casa, esiste quella stessa atmosfera di soffocamento che Ugo Ojetti rilevò essere in quella di d’Annunzio; c’è qualcosa di pesante e leggermente opprimente in quella bella casa di Anzio, nell’aspetto delle persone che la frequentano; anche il timbro della voce del narratore, nonostante il carattere avventuroso dei racconti, rivela una stanchezza dello spirito, un esaurirsi dell’energia, dell’iniziativa e dell’entusiasmo.
Nella dimora, tutto rimane prigioniero dentro un cono d’ombra e, forse per questo, il luogo appare proprio come la copia minima del Vittoriale: là, c’è Villa Thode, piena di oggetti della memoria raccolti in un museo, qui, Villa Palomba (progettata da Tomaso Buzzi) con il suo museo dell’Antartico; accanto alla prima troviamo il Garda e accanto alla seconda il Tirreno; in un parco c’è la nave Puglia e nel giardino dell’altra il veliero San Giuseppe Due. Il Comandante Ajmone Cat si è imprigionato nella propria casa assieme al suo fedele equipaggio, come d’Annunzio con i legionari di Fiume, e rievoca le avventure del passato. Ad Anzio, sono anche entrato nel San Giuseppe Due e sono sceso nella soffocante angustia dello spazio sottocoperta, dove cinque uomini hanno vissuto per due anni in mezzo al mare. Ora, il luogo è un vero mausoleo incantato.
Mi racconta il nostromo Federici che, quando il San Giuseppe Due attraversava il canale di Drake e il mare cominciava ad agitarsi, il comandante si metteva al timone sopra coperta dicendo: Spero che venga un fortunale, così imparate cosa vuol dire andare per mare! Altro che Achab.
7 Giugno (2003) pag.104
Come modello per il mio prossimo libro ho scelto un volumetto con lettere, pensieri e appunti di Tomaso Buzzi, che ha veste semplice e di gusto. A proposito di Buzzi, mi raccontava Giovanni Ajmone Cat che quando l’architetto veniva in famiglia per questioni di lavoro (oltre alla casa di Anzio, progettò gli arredi della loro casa romana di via Barnaba Oriani) si intratteneva con Giovanni e la sorella ancora bambini, disegnando sul loro volto tatuaggi colorati.
21 dicembre (2007) pag. 136
Questa mattina trovo in rete un articolo su Giovanni Ajmone Cat assieme al mio racconto delle avventure polari scritto per Ideazione. Ci sono delle sue foto: pare proprio di un altro secolo! Stampo la pagina e la metto in borsa. Nel pomeriggio mi telefona Mario Camilli: Hai saputo la notizia? Senza pensare rispondo: E’ morto Giovanni! Infatti, è così…
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