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Alberto Cavanna: The scuttling of the ‘C’

12/06/2010/1 Commento/in Alberto Cavanna, Poesie e racconti di mare/da Alberto Cavanna

di Alberto Cavanna

E’ quasi pronta

disse il proprietario del cantiere al giovane ufficiale

ancora qualche dettaglio e potrete portarla via

Quello osservò il lungo scafo dimesso, ormeggiato alla banchina. Un capomastro di avvicinò tenendo un berretto di stracci in mano.

Ecco Sir

disse mostrando una semplice e irregolare corona intrecciata con i polverosi fiori di campo che stentatamente crescevano sulla massicciata della ferrovia vicino al cantiere.

L’hanno fatta i ragazzi che hanno aiutato per il varo

disse tenendo gli occhi bassi e cercando con fatica le parole giuste.

Gli piacerebbe… Cioè, chiedono se era possibile metterla sulla barca al momento…

britannia L’uomo guardò il capitano della corvetta con uno sguardo bonario. Quei ragazzi, semplici figli di pescatori che avevano avuto l’inesplicabile privilegio di fare i manovali nello scalo dove il Re d’Inghilterra teneva la sua barca da regata, di vederlo ogni tanto passeggiare sul ponte, sorridente, gioviale, avevano imparato ad amare quello scafo, ora solo un rottame, come la loro stessa patria.

Il ‘Britannia’, il suo scafo perfetto, gli arredi sobri e lo stendardo con le insegne regali, erano la bandiera inglese stessa del loro paese. Era gente abituata alla fatica e alla vita dura del porto, vederlo ora in quello stato non era un’angoscia ma un dolore fisico. Quando in cantiere avevano detto, dopo la morte del sovrano, che la barca andava messa in disarmo, era stato un giorno triste: si era sperato fino all’ultimo che uno dei figli l’avesse presa o che fosse intervenuto un nuovo proprietario. Non era stato così.

Gli operai si erano messi all’opera e non uno di loro aveva tralasciato di serbare una scheggia, un rivetto, un pezzo di canapa come ricordo del più vittorioso degli scafi del Royal Yacht Squadroon. Albero, attrezzature, impianti, sovrastrutture, accessori: tutto era stato rimosso, demolito o inviato ai musei, come la targa in bronzo che celebrava la visita della Regina Vittoria a bordo della barca del figlio.

Ora il Britannia era solo una specie di pontone desolante pronto a all’ultimo viaggio. Il Capitano del cacciatorpediniere Amazon osservò i fiori rozzamente intrecciati e la testa china dell’operaio. Voleva sorridere ma non lo fece.

Dica loro di porla sulla pernace, dov’era il bompresso. Che la assicurino bene.

Il proprietario del cantiere diede istruzioni all’uomo e gli indicò con il dito il posto dove metterla, spiegando le modalità. Quello chinò il capo più volte come per ringraziare, poi si volse e tornò da un gruppo di operai che avevano osservato la scena dalla banchina e si misero subito all’opera. Un altro ufficiale li raggiunse mentre osservavano l’operazione: era il comandante del caccia Winchester l’altra nave impegnata nell’operazione. Salutò il collega e si presentò al proprietario del cantiere.

Rimasero in silenzio a vedere gli ultimi preparativi nella luce tenue del tramonto, poi ruppe il silenzio.

Ma lei è mai stato a bordo?

chiese al civile. Quello sorrise.

Un giorno, durante una regata… Sapete bene che è un’infrazione alle regole dello R.Y.S. che non vuole a bordo degli iscritti, personaggi di rango inferiore, ma io ero imbarcato per valutare alcune migliorie allo scafo. Sua Maestà era sceso sottocoperta per fare colazione da qualche minuto quando un cameriere salì sul ponte per invitarmi alla mensa reale.”

I due ufficiali ascoltavano con attenzione l’uomo in nero con la bombetta.

Io mi schermii… Sapevo bene che la cosa sarebbe stata vista male da tutti. Ringraziai lo steward e disse che mi ero portato da casa dei panini e preferivo restare sul ponte ad osservare le manovre.

L’inserviente tornò dabbasso e io mi rimisi a guardare il Britannia che filava via di bolina larga come una freccia. Bastavano pochi nodi di brezza per caricarla su un lato e il incedere diventava potente, incontenibile.

Anch’io l’ho vista una volta a Cowes…

interruppe uno dei due militari.

Prendeva in vento da diritta, aveva la falchetta immobile in acqua. Sembrava una statua: tagliava l’acqua come un coltello caldo un pane di burro…
“E gli altri dietro!”, disse l’altro ufficiale, “Ci scusi se l’abbiamo interrotta, ma anche noi siamo emozionati. Prosegua, per favore…
Poco dopo lo steward tornò ad invitarmi: Sua Maestà mi voleva al suo tavolo. Dovetti obbedire…

Alcuni operai stavano demolendo alcuni corsi di fasciame dal ponte: la posizione dei vecchi osteriggi erano solo buchi neri che davano nello scafo vuoto e scuro.

L’uomo preosguì:

Scesi e presi il corridoio che portava a prua: ai lati si aprivano a destra la cabina del re, a sinistra quelle degli ospiti. Tutto era semplice, lineare: mogano lucidato chiaro, smalto bianco, ottoni lucidissimi. Un cameriere aprì la porta del salotto: il piccolo camino era acceso e Sua Maestà stava già mangiando di gusto.
Si sieda, si sieda architetto…”, mi disse come mi vide,
Mio padre mi ha insegnato a pretendere sempre un pasto caldo durante le regate e io ho preso quest’abitudine…

I tre rimasero in silenzio. Il capomastro si avvicinò e fece un segno: ormai il Britannia era pronto. Si congedarono formalmente e si separarono: era già il tramonto e non si poteva aspettare oltre. L’operazione doveva avvenire entro la mezzanotte e bisognava ancora trainare lo scafo a velocità ridotta oltre i Needles’ e St. Catharine Point, fino al largo dell’Isola di Wight: non c’era altro tempo da perdere. Il proprietario del cantiere osservò i suoi ragazzi con le cime di ormeggio in mano, pronta a mollare.

Le lance dei due caccia di scorta erano già vicine da qualche tempo: presero al traino lo scafo che, tra gli sbuffi di vapore dei motori delle scialuppe, si allontanò lentamente dalla banchina. Un gruppo di ragazzi corse alla poppa:

Attenti. La sta urtando!

Alcuni presero delle pertiche, qualcuno si mise a spingere con le mani perché la poppa non raschiasse. Il capomastro e l’architetto avevano osservato in silenzio la scena

Mi hanno detto che la affonderanno, è vero Sir?

domandò piano l’anziano operaio. “Sì.” Rispose senza dire altro e insieme osservavano il Britannia sparire nella luce del tramonto.

Il Re ha detto che non doveva essere venduto e se nessuno dei suoi figli l’avesse voluta, di affondarla al largo dell’isola…

concluse l’architetto.

Nessuno l’ha voluta…

disse l’uomo.

La guardarono ancora una volta e pensarono al vecchio re. Si tolsero entrambi il cappello, e rimasero così, senza dire nulla. I ragazzi sul ciglio del molo avevano finito di sistemare le cime e indugiavano, guardando il vecchio yacht reale andare verso il suo ultimo destino. Ormai era quasi buio e si distingueva solo una lunga fila di uomini sul bordo del molo, stagliati contro la tenue luce del tramonto. Poi, come un sussurro, una voce roca e stonata iniziò a cantare:

Oh Britannia, Britannia rules the waves…

Un’altra la seguì, poi altre ancora. Presto le voci furono solo una nenia bassa che si unì al vento del crepuscolo che arrivava accompagnato dallo sciacquo della marea.

E fu quell’unica, sommessa nota, che accompagnò la figura del vecchio Britannia, nel buio profondo e freddo della notte che scendeva piano, come su un’abisso.

Tags: Alberto Cavanna, Racconti di mare
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1 commento
  1. Sergio Abrami
    Sergio Abrami dice:
    13/06/2010 in 21:49

    Ho cenato sotto il gaff del Britannia.
    Emozionante.
    La “BARCA” è stata affondata come richiesto dal reale armatore. Ma Cowes nasconde in molte sue abitazioni piccoli tesori, cimeli del Britannia.
    Può sembrare crudele ( le barche hanno un anima, una vita ) , ma comprendo al 100% le ultime volontà del nobile armatore.
    Ma se le barche hanno un anima, una vita, chi le progetta, chi le costruisce infonde questa vita. Quasi una blasfemia, un avocarsi diritto di vita, di infondere la vita : progettare, costruire barche rende progettisti, costruttori molto prossimi all’Entità Suprema …
    Anche questo è “fede”.
    Come dice Antonio Soccol, il mare non si ama, è una fede ! C.V.D.

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