Memento Audere Semper di Alberto Cavanna
Le siluranti erano all’ormeggio e le si poteva appena distinguere nel nero fermo dell’acqua di laguna, appena definite dalla luce autunnale dell’alba, opaca di nebbia fredda. In lontananza, appena percepibili, da Nord scendevano sull’acqua i tonfi sordi dell’artiglieria pesante.
Un’assalto era in corso lungo il fiume e quei rumori distanti ricordavano ai ragazzi infreddoliti, in attesa a gruppetti sulla banchina, che quello era un giorno come un altro. Un altro giorno di quella guerra che sembrava essere sempre sul punto di finire ma non finiva mai. I più fumavano in silenzio, gli altri chiacchieravano tra loro, stringendosi intirizziti nelle giubbe: era freddo.
Un freddo vigliacco, umido, che spaccava le ossa. Alcune figure scure avanzavano verso di loro col passo deciso del comando: lui riconobbe subito la pelliccia intorno al colletto della divisa degli ufficiali superiori.
Occhio. Arrivano…
disse piano agli altri del suo gruppo.
Si ricomposero appena, spensero le cicche e si misero a fare qualcosa. Erano in tre e a due passi da loro. Quello in mezzo era basso di statura e parecchio più anziano degli altri: era quasi calvo, con il pizzetto e la caramella su un’occhio mentre l’altro era coperto da una benda di seta nera nera. Lui gli lanciò un’occhiata di sfuggita ma aveva già capito dal modo in cui fumava la sigaretta col bocchino e da come parlava con gli altri due che quel tizio era venuto a portare grane.
Li osservò appena con la coda dell’occhi, salì a bordo del suo MAS e si infilò nel buco piccolo e maleodorante del vano motori. Prese una chiave inglese e iniziò a lavorare deciso: un forte odore di benzina riempì l’aria. I tre intanto erano saliti e ora stavano parlando sul ponte.
Una delle unità che partiranno è questa”, sentì dire dal caposquadra.
Bene. I marinai d’Italia andranno col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza del nemico nel suo più comodo rifugio!
A parlare era stato il piccoletto: era una voce rauca, leggermente in falsetto.
Non sarà una passeggiata.
Riconobbe la voce del suo comandante.
Ma noi ce ne rideremo d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. Vero Comandante Ciano?
disse la stessa, antipatica, voce di prima indirizzandosi al terzo che, fino a quel momento era stato zitto. Lui non li seguiva più. Svitava e riavvitava veloce, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Cavanna!
urlò il comandante.
Comandi
rispose lui finendo di stringere un dado.
Può avviare?
Il ragazzo era uscito con la testa dal passo d’uomo e guardava l’ufficiale con gli occhi mezzi chiusi.
Ci sono dei problemi…
rispose riponendo le chiavi e pulendosi il grasso dalle mani con uno straccio bagnato di benzina.
E cosa c’è stavolta?
chiese l’altro con voce stanca.
Carburazione… rispose.
Il motore di destra carbura male, è rumoroso e secondo me ci può mollare da un momento all’altro.
Il comandante riferì agli altri due che lo ascoltarono gravemente.
Bene, vediamo
rispose quello che sembrava essere il comandante della spedizione. Il silenzio ovattato della nebbia ghiacciata fu lacerato dal rombo slabbrato di un grosso motore. L’aria ferma fu satura dell’odore acre del fumo di olio bruciato e della benzina.
Fallo scaldare un attimo…
disse il capitano al ragazzo che aveva ancora la mano sulla leva dell’accensione. Passò qualche minuto e il rumore del motore divenne più regolare.
Ci siamo
rispose il motorista. Poi scese nel locale cercando di non bruciarsi con i collettori dei gas di scarico dei due grossi Isotta Fraschini. Senza farsi vedere si fece il segno della croce.
Comandante, per favore faccia spostare la gente dalla banchina…,
disse. Poi armeggiò sull’accelleratore manuale. Il motore lanciò un urlo gorgogliante nel silenzio dell’arsenale mentre dai tubi di scappamento a filo dell’accqua uscivano fiammate. Tutti fecero un passo indietro spaventati, mentre le cime d’ormeggio, investite in pieno dalle vampe, prendevano a bruciare.
Sorpa ombo delle macchine sentì gli ufficiali che urlavano qualcosa ma lui fece finta di niente e accellerò ancora di più; il motore fremette sul basamento di legno e un’odore di bruciato insopportabile riempì il piccolo locale: i collettori vicino al motore ora erano incandescenti.
Ferma! Ferma tutto!!!
udì urlare distintamente dal ponte. Tolse gas e spense, controllò che nulla stesse bruciando, fece un respiro profondo per calmarsi con il rischio di soffocare, e salì in coperta pulendosi con lo straccio.
Evidentemente l’unità non è in grado di affrontare la missione…
disse il comandante agli altri due. Poi si rivolse a quelli che erano a bordo:
Fatelo riparare alla svelta.
Il sottufficiale che aveva il comando a bordo batté i tacchi e scortò i superiori fino alla passerella che fumava ancora.
Cambiare le cime d’ormeggio, svelti!
urlò il giovane. Poi tornò indietro mesto fino al tambuccio dove il motorista lo stava aspettando. Gli si fermò davanti e lo osservò mentre quello, imperterrito, finiva di rassettarsi in silenzio e togliersi le macchie di grasso.
Ma anche l’altra volta, e guarda caso prima di partire per una missione, non era successa la stessa cosa?
Sono i carburatori…
disse il ragazzo.
E’ roba vecchia. Le guarnizioni non tengono, c’è troppa aria. E poi secondo me anche la benzina è sporca, ammesso che benzina sia…
Ed era vero. Rifornimenti e pezzi di ricambio era merce rara in arsenale e tutti sapevano, ufficiali per primi. La guerra tirava troppo alle lunghe: quei ragazzi, quasi tutti volontari, si arrabattavano ogni giorno inventandosi l’impossibile per far funzionare le macchine, sempre più scassate.
Cavanna, disse quello piano, “tu un giorno o l’altro finisci davanti alla corte marziale. Metti a posto e poi a rapporto.
Scese impettito e si avviò verso gli uffici. Il ragazzo rimase sul ponte a guardare gli altri che tiravano fuori dai gavoni le cime nuove per sostituire gli ormeggi carbonizzati. Uno gli passò vicino: era un ragazzino dell’ultima leva, arrivato da poco.
Grazie,
disse sottovoce.
Le guarnizioni non tengono, c’è troppa aria. E poi la benzina è piena di merda…
disse lui. Il ragazzo lo guardò mentre dava volta alla cima e gli sorrise. Lui abbassò lo sguardo e riprese a pulirsi le mani con lo straccio.
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