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Una vigilia di Alberto Cavanna

0 Commenti/in Alberto Cavanna, Poesie e racconti di mare/da Alberto Cavanna

Nella tarda Età del Bronzo il Mediterraneo venne messo a ferro e fuoco da quelli che all’epoca furono comunemente chiamati ‘i Popoli del mare’.

Solamente gli Egiziani, guidati da Ramses III, riuscirono a fermarli durante la prima battaglia navale documentata della storia umana. Ma chi realmente essi fossero e da dove fossero venuti, rimane ancora oggi un mistero ai confini della storia e avvolto nelle ombre del mito…

Il ragazzo si accovacciò vicino al fuoco che gli altri marinai avevano acceso a riva per illuminare la serata, non distante dalle navi all’ancora dondolanti nella placida e lenta corrente del grande delta. Il bagliore delle fiamme si rifletteva sulle facce dalla pelle scura, segnando le rughe che l’aria secca del deserto scavava nei visi ancora giovani. Ai margini della luce la notte si distendeva sul deserto e lungo la riva del mare, e il rotolare delle onde era coperto dai rumori dell’acqua tra le canne, della sabbia sulle dune, e dalle poche parole che sottolineavano i gesti lenti della cena.

Uno del gruppo dei più vecchi prese un piatto di legno e vi mise qualche dattero, un poco di formaggio di capra salato, una focaccia fredda. Poi, da una giara fasciata con corda bagnata, versò della birra fresca in una ciotola di terracotta e chiamò con un gesto il ragazzo. Lui prese il piatto ringraziando con un cenno del capo, tornò a sedersi in disparte facendo attenzione a non versare nulla e cominciò a mangiare in silenzio mentre gli altri continuavano a parlare tra loro a bassa voce.

Li hanno visti poco distanti da noi. Dal mare del sole che sorge, li hanno visti venire…

Ma chi li ha visti?

Ho sentito alcuni soldati che dicevano di aver notato molte vele da quella parte. Vele con colori strani. E poi anche una delle nostre navi che è rientrata li ha visti… A bordo non parlavano che di loro.

E sono tanti?

Molti. Molti più delle dita sulle mani e i piedi di tutti noi.

I presenti si guardarono e, chi sapeva farlo, provò a fare un breve conto mentre i più si scambiano occhiate preoccupate. Il ragazzo alzò la testa dal piatto e guardò la fila scura di navi ormeggiate alla riva. Erano molte, una massa nera indistinta nell’oscurità del fiume.

Ma sono più di noi, sono o no?

domandò un uomo piccolo, accovacciato un poco in disparte dal gruppo, intento a finire gli ultimi datteri.

Non importa se sono più o meno di noi tutti…”, fece un altro scrollando la testa, “Sarà comunque guerra. Non c’è niente da fare con quelli…

Il ragazzo si intromise titubante:

Anch’io ho sentito parlare quelli della nave che li ha incontrati…

Tutti gli occhi furono su di lui. Si schiarì la voce e continuò un poco impacciato.

Il capo della nave parlava con un soldato, li ho sentiti mentre portavo loro del vino…

Dicevano che sarà con noi il Grande Faraone…

Un vecchio annuì gravemente masticando con gli occhi bassi.

Se il figlio del Sole scende in battaglia schiacceremo coloro che vengono dal mare”, disse con aria grave e tutti annuirono tranquillizzati.

Io non ne sarei così sicuro…

disse un uomo leggermente in disparte dal gruppo. Il ragazzo lo guardò e notò che i suoi occhi avevano un taglio differente da quello di tutti gli altri.

Attento alla tua lingua troppo sciolta, feinusha: ne ho visto di più sagge cadere nella sabbia e coprirsi di scorpioni…

Il più anziano, che fino a quel momento era stato in silenzio a guardare il fuoco ora fissava l’altro con espressione dura.

Io non sono un feinusha…

rispose lentamente l’altro piantando gli occhi in quelli del vecchio,

la mia famiglia si fermò a Biblous quando la grande regina mandò le sue navi a comperare il cedro per costruire navi ma noi siamo sempre rimasti figli del fiume e abbiamo sempre sacrificato agli dei pregati dai nostri padri…

No. Non sarò certamente io a mancare di rispetto al possente dio vivente, ma vi devo dire che coloro che vengono dal mare sono uomini terribili…

Uno che gli era seduto vicino si volse verso di lui.

Tu che parli così di quelle genti, uomo di Biblous , li hai mai incontrati i popoli del mare?

L’uomo si alzò in piedi lentamente. Era piccolo e tarchiato: le spalle quadrate tradivano una vita di fatica passata a bordo.

No. Non io con questi occhi”, disse rivolto a tutti, “ma ho conosciuto uno delle genti di Hatti che mi ha raccontato cose spaventose su di loro…

Un altro del gruppo si intromise:

Ho sentito parlare del popolo di Hatti.

Sono valorosi guerrieri, il loro cuore non conosce paura né fatica e gli dei che pregano sono spietati…

E’ vero,

proseguì l’uomo di Biblous hai parlato bene.

Gli Hatti sono feroci guerrieri. Le loro grida di battaglia terrorizzano chiunque e spingono anche il nemico più forte a rompere le file e a fuggire. Chiunque cada nelle loro mani viene sottoposto a atroci tormenti: gli tagliano i nervi delle gambe perché non si alzi e poi fanno il fuoco sulla sua schiena… Se egli resiste ne onorano le spoglie come se fosse uno di loro, ma se chiede pietà diventano ancora più crudeli…

Prima che muoia poi gli troncano il braccio che regge la spada, lo svuotano delle ossa, ne conciano la pelle e ne fanno una faretra per le loro frecce od una guaina per le loro lame…”

L’anziano rise:

Ma non dovevi parlarci del popolo del mare, uomo dalla lingua tanto esperta quanto veloce?

L’altro non si scompose:

Ebbene questo uomo di Hatti mi disse che ai tempi del padre, del padre di suo padre vi era una grande città al confine della terra conosciuta, nelle acque sotto alla stella del Carro. Grande e ricca, imprendibile per le sue alte mura costruite dagli dei… Wilusa, era chiamata.

Ma fu assediata da un popolo di guerrieri invincibili, gli Ahhyawa e le sue torri furono abbattute con l’inganno e la rocca fu presa… Ma prima che i figli dei vincitori generassero a loro volta, ebbene: tutti, tutti loro furono spazzati via dai popoli del Mare. Eppure erano portatori di armi, astuti e coraggiosi all’inverosimile…

Uno del gruppo lo guardò interrogativo.

Ma questi Akiawa non sono forse gli abitanti della grande isola al di là del mare?

Il vecchio lo guardò.

L’uomo di Biblous dice il vero. Vivono non solo su quell’isola, ma anche nelle grandi terre che sono oltre e che bagnano le terre conosciute…

Io so di un popolo molto forte dalle navi robuste, fatte per il grande mare: noi li chiamiamo Aqusha, o Ekwesh anche.

Sono proprio loro. Ne conosco qualcuno

disse l’uomo di Biblous tornando a sedere,

anche se loro dicono di chiamarsi in modo diverso, di chiamarsi Achei. E’ proprio così: sono combattenti coraggiosi, abili nel condurre navi e portare la guerra fino ai confini del mondo.

Ma nonostante questo sono stati sconfitti dai popoli del Mare e anche oggi le loro città cadono una dopo l’altra, come successe alla antica Wilusa…

Tutti rimasero in silenzio a guardare il fuoco, che ormai si stava spegnendo. Il più vecchio del gruppo fece segno di ravvivarlo, poi si alzò.

Questo è accaduto perché loro dei li hanno abbandonati…

Ma il nostro no, egli sarà insieme a noi.

Domani il figlio Ammone ci guiderà.

Il marinaio anziano ora era al centro del gruppo e parlava con gravità.

Domani le nostre navi usciranno e affronteranno l’onda del grande mare. Domani noi le porteremo vicino a quelle del nemico e i nostri soldati saranno guidati dalla mano del dio: lui alzerà la spada seppellirà tra la schiuma coloro che vengono dal mare…

Domani i loro occhi verranno mangiati dai pesci, nessuna donna si lamenterà sulla loro tomba e i loro nomi verranno dimenticati…

Restò un attimo pensoso.

E ora torniamo a bordo per la notte. E’ tardi.

Anche gli altri si mossero, scrollando la sabbia dalle tuniche. Poi lentamente iniziarono a camminare verso le navi, chiacchierando.

Il ragazzo era rimasto ancora un attimo vicino al fuoco, osservandolo pensieroso. Guardò il marinaio straniero che indugiava sul suo piatto quasi vuoto.

Quella città di cui parli, dalle alte mura

gli chiese piano,

esiste ancora?

No.

rispose quello masticando lentamente l’ultimo dattero.

E’ stata completamente distrutta, gli uomini uccisi, le donne violate e fatte schiave. Anche le sue rovine si sono perdute nella sabbia e sono state coperte dall’erba e dal rovo.

Il ragazzo continuava ad osservare il fuoco.

Come hai detto che si chiamava quella città?

Perché me lo chiedi?

disse l’uomo alzandosi.

E’ strano che la gente si ricordi di una cosa successa così tanto tempo fa… Eppure il nome di quella città e della guerra che la distrusse è ancora vivo nella memoria della gente…

Il marinaio sorrise.

Wilusa. L’uomo di Hatti la chiamava Wilusa. Ho però udito anche altri chiamarla Ilion… Altri ancora col nome Troia. Ma ormai non esiste più.

Tutto è diventato cenere e ombra. Solo il suo nome è rimasto nelle leggende… E ci resterà fino a che qualcuno ne parlerà davanti al fuoco, prima della battaglia.

Tags: Alberto Cavanna, Racconti di mare
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