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La barca non è un auto di Antonio Soccol (X puntata)

23/10/2007/10 Commenti/in Antonio Soccol, Antonio Soccol - Articoli, La barca non è un auto/da Antonio Soccol

di Antonio Soccol

L’edizione 2007 del Guinness Worlds Record Book, merita qualche nota: sessantacinquemila le domande esaminate, 2.240 i nuovi record accettati, più tutti i vecchi imbattuti. Si va dall’uomo capace di mangiare 36 scarafaggi a quello con la lingua più lunga del mondo: 9,5 centimetri. C’è poi la donna con gli occhi più sporgenti, ben 11 millimetri fuori dalle orbite, e l’uomo con 175 piercing sulla faccia.

Il grande Luciano Paravotti detiene invece il record per l’album di musica classica più venduto. Italiani sono anche il record per la saponetta più costosa, la collana di perle più lunga, la più grande collezione di preservativi, il salame più lungo, fino al maggior numero di libri trascritti al contrario. Si segnala anche il record di “Dusty”, una gatta soriana che nella sua vita riproduttiva e’ riuscita a partorire 430 cuccioli. E siccome di mestiere siamo “spuntapenne” non possiamo non segnalare che la scrittrice più venduta di tutti i tempi è Agatha Christie: i suoi 78 romanzi sono stati tradotti in 44 lingue e hanno venduto più di due miliardi di copie.

Barca Classica Merry Go Round

E’ sempre molto intrigante, oltre che istruttivo, leggere e consultare questo libro voluto e sponsorizzato, molti anni or sono, da un intelligente e lungimirante birraio inglese: si capisce di che pasta è fatta l’umanità. Ne suggeriamo l’attenzione a molti “operatori politici” nostrani. I capitoli riservati al mare, nautica & c., così come quelli dedicati alle auto, sono vastissimi e raccolgono ogni sorta di record ma non è, ora, questa la sede per illustrarli. Lo spunto viene dalla esigenza, ottimamente realizzata dal Guinness, di raccogliere e pubblicare gli elementi di un quadro, di una situazione. Di un affresco generale.

Da sette mesi andiamo scrivendo e dimostrando che la barca non è un’automobile. L’auto, si sa, la chiamiamo tutti semplicemente “l’auto”: “prendo l’auto”, “vado al mare con l’auto”, “porto l’auto dal meccanico”, “pago l’assicurazione dell’auto” eccetera. Qualche volta arriviamo a definirla attraverso il nome del modello o della fabbrica: “prendo la 500”, “oggi uso il Ferrari”, “domani partirò con il Mercedes” e così via. Raramente, e solo ad uso intimo-privato, le diamo un nomignolo, all’auto: c’è chi la chiama “la mia giapponesina”, chi “non correre papà”, oppure “la Genoveffa” eccetera. Ma sulla “poppa” dell’auto non c’è mai alcun nome.

Le barche, invece, hanno tutte un nome, ben scritto in evidenza sul culetto, talvolta persino con lettere dorate. E’ la tradizione e l’uso che hanno imposto questa consuetudine: prima la necessità di identificare i velieri (la Nina, la Pinta e la Santa Maria, tanto per citare tre nomi di storici barchi) e poi quella delle comunicazioni via radio: “Qui Titanic, stiamo affondando”, piuttosto che “Qui Il Re del mare, sto rientrando: butta la pasta”.

Tradizione storica delle genti di mare impone che mai si deve cambiare il nome di una imbarcazione anche se cambia il proprietario. Farlo porta sfiga, si dice. Però anche questa è abitudine che si sta smarrendo. Io non sono affatto superstizioso ma non mi pare bello cambiar nome alle barche. Ricordo che esisteva una splendida barca offshore negli anni Sessanta: si chiamava Merry go round (significa “zingara”) e apparteneva a Max Aitken (un importante editore inglese). Aveva il record mondiale di velocità per barche diesel. Venne venduta: i motori a nafta furono sostituiti con due a scoppio. Si cambiò anche il nome e alla prima gara prese fuoco e bruciò tutta…

Quando vado in un porto o in un marina, mi diverto sempre a camminare sulla banchina e scoprire i nomi delle barche: molto spesso sono semplicemente quelli della figlia o della moglie o dell’amante dell’armatore/trice e così abbiamo una bella raccolta di Paola, di Antonia, di Michela, di Ivonne again, di Sharon, di La Titta, di Lolita, di Cynthia, di Maura, di Ciccetta, di Giovanni, di Oscar eccetera.

Talvolta i nomi hanno rimembranze culturali: Andromeda, Calypso, Nauka, Ulixes, Stella Polare, L’Italia s’è desta. O augurali: Vento in poppa, My dream, Ti volevo, Cuor di Leone, Onda di luna, Aprés moi… Molto diffusi sono quelli speranzosi: Gioia, Waterlive; A life in the Sun; Corazon Partido; Distrazione; Annamia; Urrà; Vadopiano; Terrrible (con tre erre); Red Passion; Twenty again; No Limit e c’è anche uno splendido Adesso basta. Oppure, altresì, un malizioso Ma?? e un non meno interrogativo Durerà? Abbiamo poi i nomi delle barche dei “potenti” fra i quali, per stupido dovere (altrui) di cronaca, domina per citazioni l’Ikarus di Massimo D’Alema. Ma anche il Kauris III di Marco Tronchetti Provera è spesso citato nelle testate di gossip contendendosi lo spazio con il Force Blu di Flavio Briatore che ha le stesse iniziali (“F.B.”) del suo armatore.

Però i nomi più divertenti sono quelli di pura fantasia: mi piace, per esempio, Strepitolina. A Riposto (Marina dell’Etna) c’è un fantastico Paperina fulminata mentre, io personalmente, assegno la palma dell’allegria ad un bel cabinato che si trova a Cesenatico e che trionfalmente garantisce un gioioso Grazie Mario con tutte le allusioni possibili: un “regalino”, una liquidazione, un’eredità…? Vi propongo una piccola iniziativa che può essere divertente: girate i porti e mandatemi i nomi e le foto dei più bizzarri. Ne può uscire una bella galleria dell’umanità. Grazie.

Articolo pubblicato nel fascicolo di ottobre 2007 del mensile “Barche” e riprodotto per g.c. dell’autore. – Tutti i diritti riservati. Note Legali

Tags: Antonio Soccol, La barca non è un auto
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10 commenti
  1. Giacomo Vitale
    Giacomo Vitale dice:
    28/11/2011 in 00:46

    Gentile Paola,

    quanto affermi è assolutamente condivisibile. Tutto si può fare nella massima libertà, purché si rimanga nei limiti del buon senso e questo vale in generale per tutto.

    Circa il perché il signore a cui ti riferisci afferma certe cose, lasciamo la libertà di esprimere il proprio pensiero a tutti coloro che ci scrivono, sia che siamo d’accordo o meno e ti ringraziamo tanto per il carino apprezzamento che rivolgi all’articolo…

    Un caro saluto,
    AMB

  2. Paola
    Paola dice:
    27/11/2011 in 10:16

    Penso che si possa battezzare una barca con qualunque nome, senza badare agli errori di ortografia. Almeno in queste “piccole cose” si può essere LIBERI? Così come si può essere liberi di battezzare il proprio cane o il gatto senza limiti alla fantasia, rimanendo pur sempre entro il confine della decenza. Non capisco perchè quel certo signore faccia tante pulci all’articolo che ho trovato, in ritardo, molto carino.
    Paola

  3. Paola
    Paola dice:
    16/08/2010 in 01:31

    Julio… che palle…

  4. RiccardoLT
    RiccardoLT dice:
    03/08/2010 in 15:45

    Ma forse quel “Grazie Mario” alludeva allo splendido film “Non ci resta che piangere”?

  5. Julio
    Julio dice:
    09/10/2008 in 16:22

    Caro il mio sign. Soccòl,

    Non se n’abbia, ma la sua chiosa non spiega da dove le venisse la confusione tra “giostre” e “zingare”, dato che l’altra barca, construita da Soulter, su disegno di Hunt, pur’essa chiamavasi “Zingara”…. Ma, tant’è… transeat. Una guardata ad un vocaolario risolve tutto, e non averlo fatto ed essersi fidati di una conoscenza approssimativa dell’Inglese non è certo nè un crimine nè una manchevolezza grave….

    Malinconica meraviglia suscita invero anzichenò la sua nota, al dischiuder la decisione del Forum, di non pubblicare un mio “allegro” insulto. Su questo, cari i miei pennaioli della domenica, non tollero furbàgini, quand’anche paludate di saccenza, tacita o querula. Il mio non era né risultava un insulto.

    Per amor di verità si dica, anzi, che la mia non era una lettera anonima, dato che recapito e nome sono noti ai responsabili ed a Voi, illustrissimo commentatore, del quale certo non vo beandomi di far scherno.

    Nè far notare i suoi 51 (cinquantuno) anni di giornalismo, (tantodicappèllo) par a proposito, anzi: una normalissima lettera inviata con tanto di recapiti, non offensiva (eius verbis), viene comunque “censurata” e definita “allegro insulto”…. Ragioni e motivi, paion ascosi e vaghi alla ratione. Notasi altresi un piccato risentimento che altra ragion non puo’ avere se non un insufficiente senso delle proprie qualità ironiche e dialettiche, dove per proprie non si limiti a qualificare Lei e/o l’ “Admin” del Forum, bensi… chi ne fa le veci e chi d’interesse.

    La lingua italiana, come l’Inglese meritano rispetto e cura, farlo notare non è nè intenzione di offesa nè di scherno.

    Ovvio, la pertinenza di presente nota rispetto all’argomento de forum avalla una sua pubblicazione limitata, va da sé. Comunque, a prescindere, l’importante è che ci si capisca, cari i miei volpini….

    Saluti e salute …e tanta, augurovi!!

  6. Antonio Soccol
    Antonio Soccol dice:
    06/10/2008 in 15:50

    I miei “neurini” davvero talvolta mi fanno arrabbiare…

    “Gypsy Girl” (ragazza zingara) era, infatti, anche il nome del 40′ costruito da Souter su disegno di Ray Hunt (due Cummins per complessivi 1.000 cv) con il quale proprio Max Aitken ha partecipato alla Cowes-Torquay del 1967, del 1968, e del 1969. Ecco da dove mi veniva la confusione… fra “giostre” e “zingare”.

    Nuove profonde scuse a tutti.

  7. Antonio Soccol
    Antonio Soccol dice:
    19/09/2008 in 17:10

    Caro “Julio”,

    L’Admin del blog ha deciso di evitare la pubblicazione dell’allegro insulto che mi avevi riservato e che, comunque, non mi aveva affatto offeso. Faccio il giornalista da appena 51 (cinquantuno) anni e quindi da tempo ho imparato che le lettere anonime (o firmate con “nickname”) in realtà è come se non esistessero del tutto. Quindi non possono neppure offendere.

    Devo però accettare la tua giusta osservazione: “Merry go Round” indica la giostra e non la zingara come ho scritto io. Dovevo aver in mente “Gipsy Moth”, la barca con la quale il 65enne sir Francis Chichester fece, in 9 mesi, il giro del mondo in solitario. Eravamo fra il settembre 1966 e il maggio 1967 (dunque gli stessi anni in cui sir Max Aitken possedeva la barca “Merry go Round”) e lo scafo in realtà si chiamava “Gipsy Moth IV°” dove “gipsy” vuol dire zingara e “moth” farfalla.

    Chiedo venia ai lettori: non sempre la memoria regge all’usura del tempo. Meno male però che ci sono sempre dei “Julio” che ti fanno le pulci.

  8. Julio
    Julio dice:
    12/09/2008 in 00:37

    ha ha ha. Ciao, [*** CUT]. “Merry go round” significa (o si ignifica, nel caso in questione) “giostra”. Té capì…

    Certo con gente in giro che chiama la barca “force Blu” e non “Force Bleu” (o blue) allora siamo messi come siamo messi. Qualcuno dia nome “Ai loviù” al proprio natante e siamo a cavallo.

    Certo che nomi come “onda azzurra”, “alta marea” (come la canzoncina di Sandokan) “mare blu”, “sirena”, “nettuno”, “ondina”, “love boat” (o “Lav bout”, già che ci siamo) sono proprio originali.

    Io li cambierei in “altra marea”, “male blu”, “allarme”, “nessuno”, “biondina”, “low boat”… per non rischiare troppo con i rischi della scaramanzia marinaresca. O per non raschiar l’intoppo con i fischi della cartomanzia e la soldatesca. A prescindere….

    Ciápa!

    [*** CUT] TAGLIATO DA ADMIN: per informazioni, l’autore del commento può scrivermi in privato.

  9. Alessandro
    Alessandro dice:
    26/10/2007 in 18:05

    La mia barchetta si chiama “LaDro”,

    dalle lettere fianali del nome di mia moglie (Paola) e del mio (Alessandro).

    Vi lascio immaginare le facce dei vicini quando attracco nei marina… :o)

    Alessandro

  10. Giacomo Vitale
    Giacomo Vitale dice:
    23/10/2007 in 23:55

    Nel porto di Gaeta c’è un bel gozzetto a motore di circa 8 metri nominato CHIMAFATTMPAZZI’.

    Giacomo

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