Il San Giuseppe Due, l’unità di Giovanni Ajmone Cat
Il 18 Dicembre 2007 è deceduto a Como il Comandante Giovanni Ajmone Cat
La passione e l’amore per il mare lo portarono a realizzare un sogno: raggiungere l’Antartide partendo dall’Italia con una imbarcazione.
Nel 1968, si fece quindi costruire una imbarcazione che chiamò San Giuseppe Due, e con questa partì due volte dall’Italia (nel 1969 e nel 1973) per raggiungere il continente Antartico e rientrando poi in patria.
Il San Giuseppe Due, la creatura ideata, voluta ed amata da Giovanni Ajmone Cat, doveva essere una piccola nave a vela dotata di motore ausiliario da utilizzarsi per navigare in acque Antartiche nonché, sicura ed affidabile per effettuare le lunghe traversate oceaniche atte a raggiungere l’obiettivo. Quale esempio per le caratteristiche della la costruzione, si ispirò a due unità: il “City of New York” del Comandante Byrd e la “Stella Polare” del Duca degli Abruzzi.
Comunque, legato alla marineria a vela tradizionale, così Giovanni Ajmone Cat immaginò la sua imbarcazione prima che fosse costruita con noce, iroko e teak:
“…una piccola nave di circa 16 mt. con eccellente tenuta al mare basata sulla stabilità di forma oltre che per gravità, con un piccolo angolo di sbandamento sotto le azioni trasversali violente dei marosi, buona penetrazione con mare di prua anche a velocità ridotta, buone doti di veliero con poco scarroccio, anche se non spinti ad un livello sportivo, buona manovrabilità a motore con discrete doti di rimorchio sono gli elementi basilari del progetto per ciò che concerne le forme.
Una carena lunga 13 metri al galleggiamento, molto stellata con il massimo corpo a poppa, in maniera che in caso di maltempo o di eventuale avaria al timone, la barca si metterà a correre il fortunale da sola. La prua sottile fortemente slanciata e discretamente profonda (circa mt. 1,80) deve garantire una forte tenuta con il mare al mascone e una buona penetrazione nei ghiacci.
Il rigonfiarsi delle linee d’acqua a prua, sopra l’immersione, contrasterà l’eventuale tendenza della barca ad infilarsi sotto l’onda.
Attenersi al tradizionale nel non applicare un bulbo alla chiglia, ma limitarsi a portare a poppa, lo scafo all’immersione massima prevista a pieno carico di mt.2,60 circa, con una zavorra di piombo di circa 8 tonn. sistemata internamente allo scafo.
Tale accorgimento si deve attuare per evitare perni passanti in chiglia, lesionabili o possibile causa di eventuali allentamenti dei medesimi in caso di burrasca, incagliamento o collisioni con i ghiacci inoltre, renderà la nave libera di emergere da eventuali pressioni dal gelo.
Uno scafo basso, di circa 40 – 50 cm. sulla linea d’immersione alla sezione maestra, darà poca presa al vento, e larghi corridoi in coperta di circa 80 cm., compresi tra una tuga ed una murata non superiori a 50 cm. di altezza, permetteranno una certa mobilità all’equipaggio garantendolo anche in caso di maltempo dai più vivi e forti colpi di mare.
Una corazzatura in acciaio inossidabile al molibdeno di 4 mm. deve coprire tutta la prua. Tale corazza oltre a proteggere lo scafo dai ghiacci ed a permettere la penetrazione in piccole formazioni compatte fino a circa 80 cm., dovrà consentire di competere senza timori con burrasche in prua, anche perché renderà più sicuro l’effetto di resistenza dei sottostanti perni che attraverso la ruota legano le teste prodiere delle tavole del fasciame.
La ruota del timone con trasmissione a catene deve essere sistemata in coperta…”
La scelta di un armamento a vela latina anziché un altro più performante e con caratteristiche che avrebbero leggermente velocizzato l’imbarcazione derivava soprattutto dalle caratteristiche sopraelencate dell’unità.
Bassa velocità di crociera dell’imbarcazione, armamento velico più che affidabile per la concreta possibilità di incontrare fortunali o tempeste a causa della lunghezza del viaggio e della pericolosità delle zone di mare da attraversare, Mediterraneo, Oceano Atlantico Meridionale, Capo Horn e Passaggio di Drake, navigazione Antartica e ritorno con rientro in Italia.
Piano velico: 2 vele latine, controfiocco, fiocco e scopamare.
Superficie velica 110 mq.
Due alberi non molto alti: Maestro 7 mt. e Trinchetto 6 mt.
Vele: sferzi di canapa da 33 cm. ralingati a mano con cotonina da bastimento.
Il rimanente dell’attrezzatura era anch’essa tutta manuale ed ispirata ai vecchi velieri:
– per le ancore venivano usate le “gru di capone”;
– le manovre erano in cavi di cotone o di canapa catramata di sezione maggiorata;
– il timone era sistemato con agugliotti e femminelle ed estraibile dalla coperta a poppa dell’imbarcazione.
Prima di morire, il Comandante Giovanni Ajmone Cat di fianco alla sua abitazione, si fece costruire una struttura che potesse ospitare il San Giuseppe Due completamente armato (Settembre 2002), mentre al piano terra dell’abitazione aveva raccolto ed archiviato una miriade di reperti e ricordi, tutto ciò per poter essere vicino e poter ammirare durante i suoi ultimi anni di vita, sia il San Giuseppe Due che tutti i reperti accumulati nel suo museo.
Successivamente alla morte di Giovanni Ajmone Cat nel Giugno 2010, il San Giuseppe Due fu consegnato ad un cantiere navale per essere ristrutturato in considerazione del lungo periodo di giacenza fuori dall’acqua e successivamente, nel 2011, fu donato alla Marina Militare Italiana.
I reperti museali archiviati da Giovanni Ajmone Cat furono invece donati e suddivisi tra: il Museo Antartico di Trieste, il Museo del Mare di Napoli ed il Museo della Marineria Torrese.
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