Energia Pulita: fantascienza e realtà
Lo staff di AltoMareBlu e dei suoi appassionati lettori porgono ad Alfredo Gennaro sincere congratulazioni per l’importante e meritato piazzamento ottenuto alla Prima edizione del “Premio Marincovich”:
“Sezione articoli navigazione a motore”
2° classificato: Alfredo Gennaro “Energia pulita” pubblicato su “Nautica”.
Premio: Cadillac – una delle due eliche del catamarano offshore che detiene il record assoluto nella Viareggio-Bastia-Viareggio (1992; classe OP1; 92 nodi; piloti: Domenico Achilli- Alberto Brombin), offerta da Lino Di Biase.
di Alfredo Gennaro.
Tra il dire e il fare… c’è di mezzo il mare, dice un vecchio proverbio. Succede per le ipotesi o le sperimentazioni di propulsione marina diversa da quella tradizionale dei motori endotermici alimentati a benzina o gasolio.
Guardare al futuro non è un male: ma si sta ingenerando l’abitudine perversa di creare aspettative, di dare per scontate cose che sono fuori delle possibilità reali e che devono essere per questo confinate nelle fantasie o nei laboratori di ricerca, in attesa che somme di miglioramenti realizzati in tempi lunghi, o invenzioni di rapida applicazione, le rendano possibili. E, badate, succede anche per persone preparate,cui viene dato ampio credito scientifico.
Perché?
- Perché la globalizzazione dei fenomeni li rende così vasti ed importanti che non è più possibile percepirne i reali confini: la specializzazione si estremizza e non tiene più conto delle grane e dei problemi che una soluzione, corretta e conveniente nell’ottica locale, può portare in altri campi.
- Perché si dimentica troppo spesso che è l’intera filiera a dover essere analizzata: si finisce così per risolvere il problema localmente, spostandolo a monte o a valle, fuori dalla nostra portata, ma talvolta con dimensioni amplificate. Sempre più spesso si lavora su modelli o campioni, dimenticando che la realtà è fatta da operazioni che devono essere ripetute centinaia di volte, con prodotti industriali fabbricati con metodi economici e ripetitivi.
- Perché si omette di valutare appieno i numeri e le quantità che esprimono: si ragiona sempre più in maniera qualitativa e approssimata, senza soffermarsi sui fatti che, se misurati ed espressi dai numeri, possono diventare bufale enormi o cavolate paurose.
- Perché, infine, tutti vogliono parlare di tutto, anche delle cose di cui non sono esperti né competenti, inducendo in errore tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, finiscono per crederci. Sono ancora in molti, tanto per fare un esempio, gli egittologi che credono che Cheope abbia costruito in 25 anni la sua piramide: non tengono conto che sarebbe stato necessario lavorare per 25 anni a ritmo continuo estraendo dalla cava, squadrando, trasportando e sollevando un blocco da circa due tonnellate ogni cinque minuti. Eppure bastano solo moltiplicazioni e divisioni per verificarlo.
Persino Erodoto, che passa per storico documentato cui fare riferimento nelle cronache del passato, ci tramanda la bufala di centomila persone che avrebbero lavorato alla costruzione: vi chiediamo di pensare a uno stadio gremito durante una partita importante e poi immaginare come avrebbero fatto gli Egizi a gestire, in un’area solo tre o quattro volte più vasta di quella di uno stadio, un andirivieni giornaliero di centomila persone, che tra l’altro devono mangiare, dormire e soddisfare i bisogni più elementari, producendo circa 50 tonnellate al giorno di escrementi. E si potrebbe continuare a lungo, scoprendo, con l’uso di una sola calcolatrice tascabile, bufale importanti che ci vengono propinate quotidianamente come fatti sacrosanti. Ogni tanto qualche ricercatore di turno organizza un esperimento e in una conferenza stampa mostra davanti alle telecamere come si fa a sollevare un masso, a trasportarlo su delle slitte, a tagliarlo e levigarlo: dimenticando di parlare di operazioni che sarebbero state ripetute centinaia di volte ogni giorno per venticinque anni. Abbiamo scelto le piramidi perché è l’esempio più lampante. Ma fatti del genere succedono in ogni campo: e anche nella nautica.
E’ molto attuale oggi ipotizzare soluzioni ecologiche, parlare di soluzioni “ambientali”: ma è anche molto diffusa, per le ragioni che abbiamo enumerato, la confusione tra la sperimentazione, la ricerca e lo stato di fatto attuale cui si deve fare riferimento per non creare aspettative o illusioni. Si parla di propulsione elettrica come possibile alternativa per il diporto, di circumnavigazione del globo a energia solare, si racconta di un’imbarcazione capace di andare a 30 nodi col sole. Magari non sono proprio bufale, ma sono, da una parte, esperimenti unici che rimangono fini a se stessi e che valgono tutt’al più a farsi iscrivere nel Guinness dei primati; oppure, dall’altra, ipotesi che non hanno nessun possibile nesso con la realtà.
Esaminiamola, questa realtà. Un litro di carburante è un “serbatoio” di energia che contiene circa 2,5 kWh: è capace cioè di alimentare per un’ora un motore termico da tre cavalli. Per fare la stessa cosa con l’elettricità occorre consumare completamente tutta l’energia contenuta in tre batterie da 12 volt e 70 Amperora, del tipo di quelle che usiamo per l’avviamento della nostra auto. Un normale serbatoio portatile da 24 litri di benzina equivale, per contenuto di energia, a 60 batterie medie per auto completamente cariche.
Abbiamo già cercato di spiegarlo nel nostro articolo di febbraio e lo ribadiamo adesso: se si eccettuano potenze di qualche kilowatt massimo, non ha senso parlare di propulsione elettrica. I progressi fatti nel campo delle batterie non consentono di allargare le speranze, anche per le ragioni che vi abbiamo esposto a proposito delle batterie al litio (vedi articolo “Attenti al litio” pubblicato su Nautica 554, giugno 2008, a pagina 112): né lo consentono gli usi dell’energia solare, che allo stato dei fatti ha bisogno di una superficie attiva di sette o otto metri quadrati per erogare potenze elettriche dell’ordine di 1 kW.
Sei o sette ore di esposizione al giorno di 7,5 mq di pannelli solari riescono a recuperare un’energia (6-7 kWh) appena sufficiente a compensare due o tre litri di carburante. Non ci spieghiamo quindi come progettisti o esperti possano consigliare soluzioni elettriche da 8 kW per imbarcazioni che brucerebbero in meno di un’ora tutta l’energia caricata in un giorno. E questo senza tenere conto che quanto più aumenta la corrente di scarica tanto più si riduce la capacità di energia: per una scarica di un’ora (anziché di venti ore, con una corrente di un ventesimo, e quindi con una potenza di un ventesimo di quella nominale) la capacità di una batteria al piombo si riduce del 50%.
Ora ritorniamo alla notizia di un’imbarcazione elettrica capace di 30 nodi con un motore da 80 kW; la notizia è stata ripresa ed enfatizzata da riviste e da quotidiani con titoli di effetto. Si tratta di operazioni condotte con molta pubblicità: ma noi siamo curiosi per natura e abbiamo tentato di saperne di più, senza riuscirci.
E allora parliamo in base ai dati che siamo riusciti a ottenere. La barca è equipaggiata con pannelli solari per 14 mq, capaci di fornire per ogni ora di insolazione piena circa 2 kWh di energia: con questi 2 kWh il motore da 80 kW impiegato a piena potenza, quanta supponiamo ce ne voglia per fare 30 nodi, può camminare per poco più di un minuto, dopo di che occorrerà aspettare un’altra ora, di giorno, per riuscire a ricaricare altri 2 kWh e avere, quindi, la possibilità di camminare per un altro minuto.
Tutto questo, si badi bene, è il risultato di calcoli elementari fatti attorno a una barca dove l’energia viene rifornita dal sole in ragione di 2 kWh per ora e viene consumata da un motore da 80 kW in ragione della potenza che gli si richiede. Di qui non si scappa! Possiamo, è vero, mettere in barca delle batterie per accumulare energia; per esempio un’ottantina di batterie, in modo da accumulare, mettiamo, 80 kWh: ma per caricare le batterie, se non disponiamo di altri mezzi, occorreranno, a 2 kWh per ora (per un totale giornaliero di una quindicina di kWh), circa 5 giorni. Dopo di che potremo andare in giro per un’ora col nostro motore alla potenza massima, salvo poi aspettare altri cinque giorni per ricaricare le batterie. Vi sembra una cosa sensata? Nemmeno a parlarne! E anche per altre due considerazioni.
- Primo:
più veloce è la scarica delle batterie, più basso è il rendimento: scaricare in un’ora una batteria significa recuperare una quantità di energia che è all’incirca la metà di quella nominale. Normalmente per le batterie al piombo si prevede una scarica in venti ore, e in questo caso si può contare che ci eroghino tutta la energia nominale. - Secondo:
qualcuno potrebbe pensare di aumentare di molto il numero delle batterie per diminuire il prelievo specifico, ma occorre tenere presente che più aumenta il parco batterie (e più aumenta l’ipotetica autonomia), più tempo ci vorrà per la ricarica, limitata, per le geometrie della barca, a soli 2 kWh per ora di luce diurna. A parte il fatto che più la barca è pesante, maggiore è la potenza che occorre impegnare per muoverla, con il rischio di entrare in un circolo vizioso senza soluzione.
La nuova barca con cui Ferretti Mochi Craft intendono coraggiosamente sperimentare le possibilità di propulsione ibrida, la dice lunga circa le reali possibilità di diffusione per il diporto: un parco di 300 batterie al litio da rinnovare ogni decina di anni; un’autonomia di sole tre ore a non più di cinque nodi; dieci ore di ricarica in banchina per ripristinare la capacità elettrica; sono tutti dati scoraggianti, che solo coperture di ricerca e veicolazioni pubblicitarie possono giustificare. Anche perché i vantaggi sono molto relativi: abbiamo da sempre e con determinazione sostenuto che non è in mare né nel diporto che bisogna cercare risparmi nella produzione di CO2, ed è illogico, quasi un controsenso, che mentre i grandi falliscono nel controllo delle emissioni importanti, ci si preoccupi di abbassarle nella nautica, prima con la Direttiva sui motori, poi con ricerche e tentativi che lasciano in pratica il tempo che trovano. Qualcuno parla dell’uso dell’idrogeno, bruciato al posto dei carburanti o utilizzato addirittura in celle a combustione: Giulio Verne ci ha insegnato che tutto, prima o poi, si riesce a realizzare.
Ma guardiamo le cose come sono adesso. L’idrogeno non si trova libero in natura, ma è presente nei carburanti e in maniera massiccia nell’acqua. Un’energia di 2,5 kWh all’incirca, contenuta in un litro di carburante, ha bisogno di 2,5 metri cubi di idrogeno, duemilacinquecento litri. Da dove si ricavano e dove li mettiamo?
Possiamo pensare di ricavare idrogeno dai carburanti, ma così si aumentano i costi e non si ottengono vantaggi per le emissioni, perché occorre smaltire sotto forma di anidride carbonica tutto il carbonio che ne risulterebbe; tanto vale allora bruciare direttamente i carburanti, occupandosi, come stiamo facendo, di migliorare i processi di combustione.
E allora l’acqua.
Di acqua ne abbiamo tanta, specie in mare: è fatta di idrogeno e di ossigeno che, combinandosi, hanno prodotto quell’energia che noi vogliamo recuperare bruciando l’idrogeno o utilizzandolo in pile a combustione. Ma l’energia che serve a separare l’idrogeno, occorre trovarla da qualche parte e, per l’economia del sistema e per legge fisico-chimica naturale, è maggiore di quella che otterremo finalmente ricombinando l’idrogeno con l’ossigeno per produrre acqua. Occorre allora ricorrere a fonti energetiche rinnovabili, per esempio la luce solare, per ottenere idrogeno: tali fonti consentono risultati massicci solo a terra, in impianti fissi, visto che in barca, con tutta la buona volontà, siamo limitati a un paio di chilowattora. L’idrogeno prodotto a terra dovrebbe essere quindi trasportato e rifornito in mare alle unità che lo utilizzano; con i costi, le difficoltà, i volumi necessari e i pericoli connessi con il maneggio dell’idrogeno, un gas che non si liquefa se non a temperature bassissime (–254°C).
Non conviene!
Eppure si continua a parlare di idrogeno, di celle a combustione e di altre simili ipotesi nella nautica. Abbiamo persino letto del progetto di una “barca a vela a idrogeno” e dell’installazione di una rete di “distributori di idrogeno”: siamo molto curiosi di conoscere i dettagli, quando ci verranno comunicati, e ancora più scettici circa la pratica attuabilità del progetto. Sanno, ci chiediamo, quelli che parlano di idrogeno, che cosa è questo elemento? Hanno considerato i pericoli e i danni? E i costi di filiera? O è solo il tentativo di farsi finanziare progetti che allo stato attuale non hanno altri risultati che quello di farsi pubblicità e soprattutto di creare aspettative non supportate da alcun valore reale?
Senza arrivare all’idrogeno, chi scrive si era fatto promotore dell’utilizzo di gas liquefatti, quelli stessi che usiamo in cucina in campagna e che sono diffusi capillarmente con un efficace sistema di distribuzione: una bombola da 13 chilogrammi equivale più o meno a un serbatoio di 24 litri di benzina. Ma poi la cosa si è fermata, perché gli interessi dei trasformatori e dei distributori non avevano sufficiente spazio in un sistema semplice già esistente, e perché i produttori di fuoribordo non hanno spinto la sperimentazione sullo strato limite e sui piccoli motori, che occupano ormai una parte poco interessante del mercato.
Eppure sarebbe stato semplice e comodo caricare a bordo, al posto del serbatoio, una bombola, proprio uguale a quella che usiamo in cucina, e cambiarla al distributore restituendo il vuoto: la minaccia della scomparsa per il due tempi avrebbe facilitato la risoluzione dell’unico problema serio, quello della lubrificazione che come è noto, nel quattro tempi è separata. Invece si continua a pensare alla propulsione elettrica e alle batterie, dimenticando che la ricarica è possibile in mare solo con il fotovoltaico, e che il fotovoltaico è legato alla superficie esposta. Ricordiamo ancora che ci vogliono circa 7 metri quadri esposti per ottenere la potenza di un kW.
Quando abbiamo ricoperto con pannelli fotovoltaici tutte le superfici esposte di una barca, non possiamo fare di più e ci ritroviamo con un paio di kW, che le batterie non possono accrescere se non è possibile ricaricarle per altre vie. E, comunque, ci sarebbe il problema delle batterie: che sono costose e/o pesanti, e che hanno, nelle migliori ipotesi, una vita di una decina di anni; dopo di che bisogna comprarne un parco nuovo e, soprattutto, smaltire quelle esaurite.
In conclusione, non esistono allo stato attuale soluzioni più semplici e meno costose del motore endotermico. Intendiamoci, noi non solo non siamo contro sani orientamenti ambientali, che invece auspichiamo siano sempre più presenti nelle attenzioni e nella cultura di chi va per mare, siamo, invece, contro il fondamentalismo e le esagerazioni ambientali, quelle, per intenderci, che hanno portato alla Direttiva sui gas di scarico che ha ucciso il due tempi senza motivo e senza risultato; e siamo contro il pressappochismo che porta politici, filosofi, giornalisti e tuttologi ad esprimere pareri e tranciare giudizi senza supportarli con numeri e con calcoli corretti, dimostrabili e trasparenti, ripetibili e applicabili a quelle che sono le reali e possibili condizioni di impiego.
Abbiamo, per consentire a tutti di fare corrette valutazioni, preparato la tabella “La propulsione nautica a motore”, una matrice nella quale abbiamo raccolto in orizzontale le problematiche che si presentano e in verticale tutte le possibilità che possiamo, o potremmo, mettere in atto, per spingere la nostra barca. Sarà nostra cura, nell’immediato futuro, riprendere una ad una le possibilità che compaiono nelle verticali colorate diversamente, per cercare di analizzarne la filiera e mostrare quali sono i punti critici che ci hanno portato a concludere che finalmente è il motore a combustione interna la sola soluzione operabile.
Prima di chiudere, ci preme però riassumere come è fatta la matrice e quali sono le cose da considerare attentamente. Una prima notazione è da fare sull’equivalenza tra varie energie, tra le quali, come abbiamo già detto, quella elettrica è la più nobile mentre quella termica la più degradata. Possiamo con forti rendimenti passare facilmente da quella elettrica a quella meccanica o quella termica, ma dobbiamo sempre tenere presente che, se l’energia elettrica non è prodotta da fonti rinnovabili, ci sono da considerare i costi per produrla, per distribuirla, per conservarla. Abbiamo riportato in alto a sinistra nella matrice le equivalenze di passaggio “in discesa” da energia elettrica a energia termica, e di passaggio “in salita” da energia termica a energia elettrica: 1 kWh elettrico, utilizzato per esempio in una stufa o in uno scaldabagno, produce 860 calorie. Ma per produrre un kWh elettrico con sistemi termici ci vogliono 3000 calorie: non scordiamocelo mai!
Per ognuna delle soluzioni possibili la prima riga indica le fonti di approvvigionamento e la seconda la reperibilità. Nella terza riga compaiono le rese, espresse nelle unità in cui normalmente vengono considerate (kWh per l’energia elettrica, volumi per i gas e i carburanti, peso per il GPL). C’è poi la riga che precisa la natura dell’utilizzo, se diretto o indiretto. In un’altra riga abbiamo assunto come unità di misura i 24 litri di un serbatoio di benzina portatile per motori fuoribordo, corrispondente a circa 60 kWh, e abbiamo considerato le equivalenze per tutte le altre soluzioni.
Nel caso infine che l’utilizzazione venga fatta da un motore termico, abbiamo indicato per ogni soluzione quanti litri di anidride carbonica vengono prodotti per ogni kWh erogato. Certo che, ai fini ambientali, sarebbe bello bruciare idrogeno: ma indicarlo come scelta solo perché non inquina è molto limitante e molto fuorviante, proprio come sta accadendo con l’energia nucleare, alla quale i politici sembrano essersi orientati, in buona o in mala fede. Siamo contenti peraltro che nessuno abbia ancora parlato dell’utilizzo del nucleare in barca: perché è la possibilità più lontana, oggi, dalla realtà pratica, anche se ci sono molti sommergibili che la utilizzano per la propulsione.
Giulio Verne ci ha dimostrato che tutto quello che possiamo ipotizzare, prima o poi diventa realtà: ma approfondiremo in dettaglio quali sono le reali possibilità. Certo, possiamo parlare di tutto, ma con molto distacco e molto scetticismo, fino a che qualcosa cambi radicalmente le prospettive attuali. Nell’attesa, possiamo sempre orientarci alla vela, non quella “a idrogeno”, beninteso.
Articolo pubblicato nella rubrica “controcorrente” della rivista Nautica e qui pubblicato per g.c. del periodico e del suo autore.
Mai analisi fu più esatta.
Perfettamente rispondente alla verità delle cose. La ricerca di sistemi di propulsione elettrica nel navale, è solo, attualmente, un’utopia fine a se stessa o a inutili propositi pubblicitari. L’orientamento delle ricerche dovrebbe, come accaduto nell’automotive, essere solo e semplicemente orientato alla riduzione dei consumi tramite studi sulle carene, sui materiali, sui sistemi di propulsione e sui propulsori stessi al fine di limitarne per quanto più possibile le emissioni inquinanti.
Oltretutto le sperimentazioni andrebbero fatte esclusivamente su esemplari a motore poiché una barca a vela, per sua stessa concezione, è un mezzo relativamente inquinante! Quindi barche più leggere con carene più efficienti, propulsioni a rendimento maggiore e motori diesel o gpl a basse emissioni inquinanti esattamente come nell’automotive.
Francesco Fiorentino