Boomex di Antonio Soccol
di Antonio Soccol
BOOMEX
Il Nauticsud, quello che si è inaugurato a Napoli il 13 aprile del 2007, passerà alla Storia (a quella della nautica, s’intende) con la “S” maiuscola. Quella data sarà ricordata, infatti, da quanti amano andar per mare, così come accade per il 19 agosto 1961, data in cui a Cowes (Isola di Wight, UK), per la prima volta, si vide “‘A’ Speranziella” con la sua carena a V profondo, e il 27 dell’agosto 1965 quando, nello stesso storico borgo marinaro inglese, apparve “Surfury” con la sua straordinaria linea “delta” e, infine, il 29 gennaio 1972 quando, al Salone Nautico di Genova, venne presentato il “Drago” con le sue prime eliche di superficie.
Insomma, ragazzi, ci siamo. Finalmente, dopo ben trentacinque anni di dormiveglia, la progettazione tecnica per le imbarcazioni da diporto (ma anche per quelle da lavoro o da corsa) ha “inventato” qualcosa di davvero nuovo, efficace e importante. Champagne, ci vuole. “L’uovo di Colombo” si schernisce l’autore del gran invento, quel tremendo sgugnizzo napoletano (mi dicono “verace”) che è Brunello Accampora. Già, perché buttare due mele da un campanile e notare che cadevano assieme o guardare un lampadario e dir “Eppur si muove” oppure perché far saltare su una mini sedia elettrica una povera rana, non erano tutte “uova di Colombo”? Di quelle cose che uno dice: “Beh, bastava pensarci…”. Appunto.
Bando ai preludi, se no, se vado lungo, il Direttore mi sgrida (eppure, mica mi paga a riga pubblicata…). Di cosa sto parlando? Di un aggeggio che si chiama “boomex”. (Non chiedetemi perché abbia un sifatto nome: io l’ho chiesto – e per iscritto, anche a Brunello ma lui manco m’ha risposto: fatevene voi una ragione o un etimo).
Prima di tentar di spiegarvelo, cotesto invento da champagne, lasciatemi però ricordare qualche momento della nostra vita di diportisti nautici a motore. Avete presente quel momento drammatico e crudele in cui tutti noi ci mettiamo a far planare la nostra caravella? Quello così complicato che le donne (oh, solo le più anziane, lo so) si mettono ad urlare, in cui voi/noi/io ci mettiamo in punta di piedi (se addirittura non montiamo su un apposito scalino fatto ad hoc) perché davanti, a prua, non vediamo un beneamato… accidente. Quando, insomma, la barca si mette in candela e sembra voler decollare per gli spazi infiniti ad imitazione di Star Trek?
Carlotta B., una mia ottima, importante e –ahimé- dispersa, antica amica; in uno di quei momenti, mi si stremì e confessò che non pensava di dover volare verso la luna bensì navigare in una banale barca da diporto. Ed era pallida in volto. E, avete presente quando dai vostri 60 nodi di crociera (beh, facciamo pure 25, così non vi spaventate) bruscamente, togliete gas e uscite di planata? E, di colpo, il vostro orizzonte diventa solo il ponte di prua del vostro barco, e dovete aspettare una lunga manciata di preziosi secondi perché le sezioni di prua della vostra opera viva tornino ad immergersi e il panorama abbia una sua logica?
O, infine, quando, per una infinita serie di motivi (che qui vi risparmio appellandomi alla vostra “storica” esperienza personale) siete costretti a navigare ad una velocità intermedia fra quella della barca in dislocamento e quella di planata? Mica divertente, no?
Adesso venite con me. Montate su uno scafo militare (non chiedetemi di quale Arma: non me ne intendo, io), di quelli che devono localizzare, inseguire, raggiungere e poi abbordare “navicelle misteriose” (atte, per dire, al trasporto d’armi equivoche, di testate nucleari, di droga, di ricercati dall’Autorità, di clandestini eccetera eccetera). Ci siamo? Tenetevi forte perché filiamo oltre i 50 nodi per un bel po’ e su qualsiasi mare. Finalmente, di prua, scorgiamo la nostra navicella-lepre e in pochi minuti la affianchiamo. Adesso, attenti, che arriva il bello…
Di colpo, dalla cabina della motovedetta (chiamiamola così per semplice comodità) sulla quale siete imbarcati per godervi l’avventura, esce una dozzina di guerrieri armati come nemmeno Schwarznegger nel peggiore dei suoi film: divisa antisommossa (o qualcosa di simile), bombe, coltelli, pistole, mitra, interfonici, caschi eccetera. Il più “meschinello” di questi guerrieri pesa, nudo, almeno 100 chili (di muscoli). Aggiungetevi voi il resto per l’armamento e andiamo, come minimo, a 130 chili per ciascuno.
Questi signori si mettono, per esser pronti all’abbordaggio al quale il loro dovere li chiama, tutti sul pozzetto di poppa della motovedetta e, così facendo, spostano, di colpo, il suo baricentro per un peso di circa millecinquecento chili verso il culetto della barca che tira ad affondare mentre il naso (la prua, dai… capitemi) punta, disperato, al cielo. Integrate la situazione con due dettagli importanti: 1.) la nave inseguita e raggiunta, naviga a 13/15 nodi (o giù di lì, cioè ad una velocità molto critica per la vostra “cosidetta” motovedetta) e 2.) crea sottobordo una malefica onda che, per la suddetta e famosa motovedetta, è come avere un Monte Bianco di prua… Insomma: quel poverocristo di driver del mezzo militare non se la vede tanto bene, anzi non ci vede proprio niente e per niente. E smadonna mentre gli emuli di Schwarznegger sacramentano…
A questo punto ci sono solo due soluzioni: o si munisce il pilota della barca militare di un grottesco periscopio oppure si inventa qualcosa che tenga giù la prua della succitata motovedetta. Ed è esattamente proprio quello che ha fatto il bravo Brunello Acampora con il suo invento, cioè il “boomex”, presentato all’ultimo Nauticsud.
Facciamo a capirci: “presentato”, in questo caso, non significa un bel renddering (parola di gran moda che vuol solo dire: disegnetto a colori fatto dal computer) o un ridicolo modellino in scala 1: 100, in cui non si capisce nulla. “Presentato” qui significa: fatto, realizzato, collaudato e montato su due barche esposte nella sede espositiva di Mergellina e quindi disponibili per prove pratiche in mare. Provare per credere, insomma.
Sono andato in quel di Napoli solo per questo e per provarlo questo benedetto “boomex”. E, sì, l’ho provato.
Prima l’ho testato sulla barca sperimentale che Brunello usa per collaudare le sue trasmissioni (FlexiDrive, Energy eccetera), le sue diavolerie (disegna persino bitte…) e i suoi vari “inventi”. A bordo eravamo in nove persone e la barca filava 56,5 nodi di gps con il pieno di nafta. Ma non era questo quello che importava. Quello che contava era controllare cosa succedeva quando si toglieva gas, scendendo a meno di mille rpm e si usciva quindi di planata.
Nulla succedeva: la barca rimaneva in assetto: piatta come prima, tranquilla, tranquilla. E lo stesso quando, partendo da fermi, si accelerava per portarla in assetto di planata. Niente prue sparate contro l’azzurro del cielo, niente faticoso distacco della scia dallo specchio di poppa… niente Star Trek & c. La barca come un tram: fissa e serena sulle sue rotaie, con la sua linea di galleggiamento in posizione assolutamente parallela a quella della superficie del mare. E, il tutto, senza l’uso di trim o di flaps o di altri organi di governo.
Mai visto prima qualcosa del genere. E, guardate, che di barche ne ho portate parecchie in vita mia…
Dopo, il “boomex” l’ho provato anche sulla “concept boat” dei Cantieri Sarnico che per primi hanno voluto sperimentare praticamente il cosidetto “uovo di Colombo” di Brunello Acampora. Alle manette c’era Renato Luglio che qualcuno ricorderà bravo pilota offshore degli anni Novanta quando correva assieme a Marina, figlia gloriosa del glorioso Salvatore Gagliotta.
Sul pozzetto più o meno gli stessi ospiti della prova precedente: un paio di potenziali clienti, due marinai del cantiere, il sottoscritto, Brunello “l’inventore” e poi due VIP: Cataldo (Aldo per gli amici) Aprea, fondatore di Apreamare, (il simpatico eretico che ha violato tutte le regole del gozzo sorrentino, facendolo prima in plastica e poi planante) e Luigi Foresti che è titolare dei Cantieri di Sarnico (merita qui ricordare che la famiglia Foresti opera in svariati settori industriali oltre che nella nautica ed è titolare, tra l’altro, della fabbrica di generatori Mase. Luigi sta infondendo un serio approccio imprenditoriale alla conduzione dei Cantieri di Sarnico ed ha previsto dello spazio, finanziario ed “umano”, per la ricerca e lo sviluppo tecnologico del prodotto. Il Sarnico “Spider V – concept” è esattamente questo, una barca di studio nata per valutare bene tutti gli aspetti tecnici delle trasmissioni. ndr).
Nove persone a poppa, dunque, non proprio in assetto di guerra ma comunque per un bel settecento chili abbondanti di ciccia. La barca ovviamente, essendo il primo giorno di prove, aveva i suoi serbatoi belli pieni di nafta.
Per non far troppo arrabbiare Renato Luglio, ricorderò che entrambe la barche che ho provato erano spinte da motori Volvo Penta (Luglio è il rappresentante per la Campania dei motori svedesi e ci tiene). Ma aggiungo anche che Volvo o altra marca, cavalli vapore di più o di meno, non era questo quello che importava.
Ovviamente, essendo lo “Spider V- concept” una barca da diporto e non avendo fra l’altro le eliche giuste, la velocità max dell’imbarcazione era decisamente inferiore a quella della prova precedente: trentacinque onesti nodi (sempre di gps, s’intende), tranquilli e sereni.
Risultato, per l’entrata e l’uscita di planata: eguale. Barca sulle rotaie. Visibilità sempre perfetta, nessun effetto “razzo interplanetario”, nessun appoppamento. Fantastico.
Insomma: funziona. E non ditemi che non vi interessa. Perché vi deve interessare, eccome.
“Io voglio vendere ai miei clienti barche che tolgano loro ogni problema”, mi ha dichiarato Luigi Foresti. Non mi ha detto quello che davvero pensa e cioè che la larga maggioranza degli utenti (e quindi, inevitabilmente, anche dei suoi clienti) le barche non sa affatto guidarle. “Sono abituati a montare su una Mercedes o su una Porsche dove tutto funziona senza troppi “corsi serali” da seguire, dove tutto è semplice e ovvio. Le mie barche devono essere lo stesso”, ha però aggiunto e chi vuol capire capisca, senza offesa s’intende. Mica uno ha l’obbligo di nascere Steve Curtis* o Lino Di Biase*, no?
Ma come funziona questo benedetto “boomex”?
Va subito premesso che Brunello, il suo invento, lo ha brevettato e che il brevetto è stato accettato: insomma, chi copia, paga dazio. Chiaro? Anche se si è i legittimi eredi della “Fabbrica del Duomo” di Milano.
BOOMEX:
Cosa dice il brevetto? Prima di tutto che il “boomex” è applicato a trasmissioni con eliche di superficie non brandeggiabili. Si tratta di due alette (per ciascun asse) posizionate, recita a pagina 7 la relazione/descrizione del brevetto stesso, in “modo tale da intercettare e controllare l’onda di scia a tutte le velocità ed in particolare quando questa tende ad immergere eccessivamente il disco dell’elica”. Queste alette sono posizionate immediatamente al di sotto dell’albero di trasmissione e sono vincolate allo stesso. Ogni aletta ha forma sostanzialmente convessa con la concavità rivolta verso l’alto in modo da rivolgere verso il basso una bombatura a forma di “V”.
Volete qualcosa di più tecnico? Faccio un “copia-incolla” da pagina 8 della suddetta relazione:
Dalla porzione centrale si diramano lateralmente due semialette, rivolte in modo tale da determinare detta concavità verso l’alto. L’aletta comprende inoltre un bordo posteriore rivolto verso l’elica, che si estende su un’ampiezza pari all’incirca al 50% del diametro dell’elica, preferibilmente pari o maggiore all’80% del diametro dell’elica, fino a raggiungere o a superare di poco come ampiezza il diametro dell’elica. Tale estensione, come pure la superficie dell’aletta, può e deve essere modificata ed adattata alle caratteristiche delle singole applicazioni, e potrà variare dal 20 al 100% del diametro dell’elica. Grazie alla forma e al posizionamento, solo la porzione di scia che effettivamente interessa l’elica, viene modificata.
Si intende comunque che la forma dell’aletta potrà essere modificata per essere adattata a particolari esigenze di progetto riguardanti la manovrabilità dell’imbarcazione o le sue prestazioni. In particolare si intende che la superficie, la forma in pianta, la sezione trasversale e quella longitudinale del boomex potranno essere appositamente dimensionati ed ottimizzati per ogni singola applicazione.
BOOMEX: vista ortogonale posteriore
Riassumendo il testo del brevetto, il “boomex” è un innovativo sistema che, associato ad un gruppo propulsivo ad elica semisommersa (leggi: di superficie), consente un più efficace indirizzamento dell’onda di scia, permettendo di mantenere l’imbarcazione in planata e in assetto ottimale a velocità molto basse.
BOMEX – vista 3/4 posteriore diverso modello
Basta? Aggiungo solo un dettaglio. Spesso si sente dire dagli stolti che le eliche di superficie hanno problemi in retromarcia. Non è affatto vero ma, tanto per gradire, il boomex aiuta anche in questo particolare stato e fa funzionare le imbarcazioni che lo montano assolutamente meglio di qualsivoglia tipo di elica immersa tradizionale.
Non per niente Brunello, “l’inventore” dichiara: “ Oggi il vero “nemico” della diffusione della nautica da diporto, il “nemico tecnico”, intendo, è l’elica immersa in linea d’asse, lo scandalo della nautica contemporanea.
BOOMEX – Barca ferma in acqua: notare l’immersione della carena
Boomex – barca in movimento prima di iniziare a planare – notare l’assetto e la prua poco sollevata.
Noi oggi abbiamo un sistema molto semplice ed affidabile, che può sopportare potenze molto più elevate già con l’attuale trasmissione, che potrà essere ampliato praticamente senza limiti verso potenze superiori (senza dover montare tre o quattro motori), pescaggio inferiore, quantità di vibrazioni, rumorosità e manovrabilità in navigazione ottimi e – anche questo penso si possa dire con assoluta certezza – un comportamento molto “differente” sul mosso, persino e soprattutto per un diportista normale.
Abbiamo i timoni a poppa estrema ed in chiglia e le eliche che escono per ultime ma soprattutto non temono l’ingestione d’aria, come il Virgin II° ha dimostrato abbondantemente già nel lontano 1986 quando conquistò il “Nastro azzurro” sulla rotta New York-Londra. Rispetto ad un’elica sommersa normale, siamo ormai su un altro pianeta, e non esiste alcun motivo al mondo per cui non si debbano installare su qualsiasi imbarcazione, due Energy della nostra Flexi invece che una coppia di linee d’assi sommerse. Anzi, penso sia vero proprio il contrario.”
BOOMEX – barca in planata – notare la ridotta superficie bagnata della carna per effetto della spinta impressa dalle eliche ed in perfetto assetto dato dal Boomex
La guerra è dichiarata. Spetta ora solo ai più stolidi (e ai loro tonti di clienti) cercare di far vincere il passato.
Ne volete sapere una su cui riflettere? Cataldo (Aldo per gli amici) Aprea vuol fare un gozzo dei suoi con eliche di superficie e boomex… Follia, dite? Forse, non so. Ma: “Rimane il fatto che con questa serie di prodotti “folli” e, diciamolo, “bastardi”, Cataldo ha saputo urlare la perversione segreta di tanti “gozzettari” della domenica (meno manutenzione e più velocità, però mi piace il gozzo) e che da questa intuizione “folle” è nata un’azienda di dimensioni industriali, che ha interessato un grande gruppo come Ferretti e che è stata molto imitata”, mi ha detto un amico napoletano “verace”. Già; persino i gozzi avranno le eliche di superficie. E il boomex.
Voi, no? Sicuri? Sicuri di non voler far parte degli stolti? Il problema è tutto vostro.
*Famosi e bravissimi piloti e collaudatori offshore.
Articolo apparso sulla rivista nautica “Barche” di giugno 2007, riprodotto per g.c. dell’autore. – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Il “Boomex” è un ottimo invento e assolve in pieno con qualsiasi tipo di carena lo scopo per cui è stato creato, cioè mantenere sempre la barca con un corretto assetto evitando odiosi ed eccessivi sollevamenti della prua, prima che la barca riesce ad andare in planata.
Sulle carene Levi con trasmissione step drive ed eliche di superficie, questo fenomeno che tu definisci “buco tra preplanata e planata” è minimo, ma applicando il “Boomex” indubbiamente ne trarrebbe un vantaggio proficuo, tale da ottimizzare al massimo la planata a tutto vantaggio dell’efficienza effettiva dell’assetto e della spinta propulsiva delle eliche…
E’ tutto!
Grazie,
Giacomo
Ciao Giacomo,
ma secondo te il “boomex” potrebbe essere usato proficuamente anche in uno step drive di Levi? Aiuterebbe a colmare il buco tra la preplanata e planata piena?
…le mie solite elucubrazioni…
Buon lavoro a tutti
Giovanni
Gentile Paolo,
non ho ancora avuto modo di condurre una barca dotata di timoneria intelligente a gestione automatica e manuale dei trim, confesso la mia assoluta ignoranza di questo strumento di controllo della navigazione di una barca, ma in linea di principio la penso come l’ing. Levi, il quale afferma che più è semplice è il sistema di controllo di una barca, minori sono le probabilità di guasti tecnici elettronici che potrebbero “regalare” tali sistemi…
Insomma il Riva Levi 2000 mi piace com’è stato progettato, specialmente nella sua semplicità.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Grazie Paolo,
indubbiamente la tecnologia va avanti, si possono immaginare tanti scenari differenti e futuristici ma non bisogna dimenticare che siamo in un elemento molto particolare dove tanta elettronica, non sempre è una soluzione; il mare.
Sarebbe comunque interessante affrontare questo argomento nello specifico, personalmente ho approfondito gli argomenti riguardanti le propulsioni con attenzione a due marchi: Felxitab e TopSystem, diversi in realizzazione, in concetto ed applicazione ma il problema resta a mio avviso sempre e solo uno; l’efficienza della carena.
Non c’è da dimenticare la tecnologia applicata alle carene Levi, step drive, eliche di superficie, deep V (v profonda), triciclo rovesciato ecc… parlare delle sole timonerie, eliche di superficie senza capire il progetto (carena), le potenze impiegate (motori), tipo di propulsione… mi sembrano troppi fattori variabili ed ognuno ha il suo campo di applicazione.
Immaginare tanta elettronica, comandi futuristici ecc… bello, bellissimo ma dipende e molto fa l’insieme ma deve far parte di uno stesso filo logico; è un mio parere e posso sbagliare ma non vedrei mai dei timoni elettronici applicati a propulsioni di superficie sterzanti su un drago; quel progetto, va bene così come è stato fatto e per gli anni per il quale è stato costruito.
Alex
N.B.
Paolo, il tuo commento è stato da me moderato, pubblicità a siti, sia come link e altro, non sono consentiti. Ho fatto riferimento a 2 marchi, ne sono consapevole ma ho personalmente approfondito gli argomenti, visto i prodotti e in qualche altro caso, provate direttamente. Spero tu possa apprezzare questo chiarimento, grazie per averci scritto!
Salve,
credo che le eliche di superficie dovrebbero essere gestite da timoni elettronici con la gestione dei trimmeraggi sia automatica che manuale. La guida sarebbe semplice e intuitiva, come quella di una automobile.
Avrei piacere di sentire un Vostro parere.
Distinti saluti
Paolo Mumolo
Ciao Fabrizio, come promesso ecco la risposta di Antonio Soccol alla tua domanda.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Risponde: Antonio Soccol.
Questa domanda sarebbe più giusto porla ai dirigenti dei cantieri piuttosto che ad un giornalista che, per quanto possa esser esperto di faccende inerenti la nautica da diporto, non può proprio per serietà professionale- fare anche lo psicoanalista di manager e funzionari addetti all’aspetto commerciale di questo settore produttivo. Cercherò comunque di fare una semplice e sintetica analisi della storia.
Come si sa, le trasmissioni con eliche di superficie nella loro versione attuale, risalgono al 1971, anno in cui Renato “Sonny” Levi le applicò per la prima volta sul “Drago” da lui progettato per i cantieri Italcraft. Si trattava di una barca da 13 metri fuoritutto (9,90 al galleggiamento), del peso di 5,5 tonnellate e con un diedro allo specchio di poppa di 25°. Sotto la spinta di due diesel Cummins da 350 cv ciascuno, aveva una velocità max superiore ai 50 nodi: una sorta di miracolo.
Pochi mesi prima, lo stesso Levi aveva progettato per il cantiere Delta uno scafo che si chiamava Hidalgo e che era stato commissionato da Roberto Olivetti. Hidalgo aveva lo stesso peso, gli stessi motori e una carena con lo stesso coefficiente di efficienza del Drago ma le sue trasmissioni erano quelle classiche, con assi e eliche immersi. E aveva fatto registrare, come velocità di punta, 42 nodi. Cioé il 16 % in meno, rispetto a quella del Drago.
Levi spiegò in molti articoli (e successivamente nel suo libro “Milestones in my designs”), che la differenza di prestazioni era dovuta all’assenza del “drag”, cioè dell’attrito che le appendici (assi, cavallotti, eliche) creano all’avanzamento dello scafo.
In buona sintesi, quelle prime trasmissioni garantivano una maggior velocità oppure, a parità di velocità richiesta, un considerevole risparmio di potenza (e quindi di consumo di carburante).
Chi aveva bisogno di velocità (barche da competizione offshore, scafi da pattugliamento veloce eccetera) adottò abbastanza rapidamente questa novità .
Personalmente ho avuto il piacere di pilotare Arcidiavolo, la prima barca offshore al mondo con elica (era un monomotore) di superficie e di portarla, con il suo proprietario Giorgio Tognelli, al record mondiale della sua categoria.
Ma, persino nel mondo estremamente elitario dell’offshore, gli inizi furono caratterizzati da grande scetticismo da parte dei cosidetti esperti: era decisamente più comodo per loro utilizzare i potenti gruppi poppieri americani di Aeromarine e Mercruiser piuttosto che tentare la nuova strada che come tutte le strade nuove comportava ricerca, studio, applicazione e dedizione.
Fra i costruttori italiani uno dei più sensibili fu GB Frare, allora direttore dei Cantieri del Garda, che produsse un cabinato offshore, il “Roar” il quale, sotto la spinta di due diesel Aifo CP3SM da circa 200 e rotti cavalli, stabilì una serie impressionante di grandi prestazioni e record. Il “Roar” (che oggi si trova al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano) disponeva di trasmissioni , tecnicamente diverse da quelle studiate da Levi, ma basate sullo stesso principio: eliche di superficie per eliminare il “drag”.
Da quei tempi molta acqua é passata sotto ai ponti: nell’offshore le trasmissioni con eliche di superficie oggi le usano tutti, ma proprio tutti e i piedi poppieri americani sono stati eliminati. E lo stesso vale per i contrabbandieri di sigarette (finché ci sono stati), per la Guardia di Finanza che li doveva inseguire e usava versioni militari del Drago e insomma per tutti coloro che sapevano e dovevano portare una barca veloce.
Nel diporto invece i cantieri preferirono ignorare la scoperta. Perché? Per la semplice ragione che oltre i 30 nodi non é facile pilotare uno scafo e che quindi, per una clientela non particolarmente capace ed esperta, la velocità andava considerata un pericolo, quasi un deterrente all’acquisto.
Personalmente ritengo la velocità in mare un elemento di sicurezza e non di pericolo. Ma capisco che non tutti possono esser nati come me in un cantiere nautico, aver preso la patente il giorno del proprio diciottesimo compleanno (perché prima non si può) e avere più di dieci anni di competizioni offshore nella propria storia agonistica.
Come ho già avuto modo di ricordare in un mio recente articolo pubblicato anche su questo blog:
James diceva: quando c’é qualcosa di nuovo nel mondo, l’ uomo anzitutto non ci crede, poi lo ammette e commenta che é vecchio e soltanto al terzo stadio riconosce la verità.
Ora io spero che la nautica da diporto stia per entrare in questo terzo stadio. Non sarà la maggior velocità a creare il pass par tout dall’ignoranza alla logica quanto il risparmio energetico e la conseguente minor emissione di elementi inquinanti.
Sappiamo che la larga maggioranza delle aziende che producono automobili (comprese le nostre Fiat e Lancia) aveva già studiato e collaudato 40 anni or sono, motori più ecologici (a idrogeno, per esempio) ma che li aveva anche messi subito in area di parcheggio per, chiamiamolo, rispetto al monopolio mondiale delle sette sorelle padrone del petrolio e derivati.
Oggi le macchine ibride hanno, invece, permesso alla Toyota di superare in numero di vetture vendute l’americana G.M. e gli altri i produttori del mondo e quindi tutti stanno correndo ai ripari: che il petrolio stia per finire lo pensano in tanti, che inquini in modo inaccettabile ormai lo sanno tutti.
La nautica da diporto inquina relativamente poco, é vero. Ma quanto é poco se, pur di risparmiare l’1 % di energia consumata per produrre l’aria condizionata negli uffici, il presidente dell’Enel ha imposto a tutti i suoi funzionari, manager e dipendenti di andare al lavoro senza cravatta? Oppure se, dall’inizio dell’estate 2007, sono in circolazione a Parigi le biciclette della liberta’ (pubbliche), un sistema di noleggio a bassissimo costo simile al car sharing, ma fatto con biciclette. Fino a tutto agosto di quest’anno, le 10.648 biciclette pubbliche disponibili nelle 750 stazioni dislocate nell’intera citta’ sono state utilizzate da 80mila persone, con relativo risparmio economico e di impatto ambientale. Girare per la caotica Parigi in bicicletta non é il massimo della vita ma quasi centomila persone lo hanno fatto: é l’indice di un mentalità che sta cambiando a tutti i livelli: dai progettisti di automobili ai semplici cittadini.
Per questo penso (e spero) che i costruttori di barche capiscano che un consistente risparmio (stiamo parlando di valori ormai superiori al 20%) sui propulsori grazie alle funzionali trasmissioni con eliche di superficie può diventare un consistente e importante argomento di vendita e che quindi si decidano per una strada più intelligente. Come si suol dire: i soldi sono soldi…
Lo stesso vale per le carene delle imbarcazioni dove c’é molto (almeno un altro 20 %) da migliorare. Ma questa é un’altra storia.
Ciao Fabrizio,
sono Giacomo Vitale il titolare di questo blog e nel ringraziarti per questo tuo commento, ti informo che Antonio Soccol, autore dell’articolo Boomex a cui ti riferisci è attualmente in ferie.
Devi avere solo un po’ di pazienza e nei prossimi giorni, al suo rientro, certamente ti risponderà e ti invieremo una mail di avviso al tuo indirizzo di posta elettronica.
Un cordiale saluto,
Giacomo Vitale
…ma perchè allora commercialmente si continua a dare molta importanza alla linea d’asse??
Perchè non esiste ad esempio un fly di 14 metri con eliche di superficie (o semisommerse)?
Verrebbero tra l’altro coperte dalle enormi plancette tanto in voga ora (anche se non renderle visibili sarebbe uno scempio). Perchè grossi cantieri continuano a produrre linee d’asse magari prodigandosi verso i semitunnel (vedi Azimut).
E’ tanto costoso???
Saluti a tutti,
Fabrizio