Relazione convegno Satec 2009
di Vittorio di Sambuy
Il convegno Satec 2009, organizzato dall’Ucina quest’anno a Venezia il 16 maggio aveva come titolo: “Industria nautica. Le sfide da affrontare: modelli di consumo, modelli di business, prodotto e competitività del sistema”.
Il convegno si è aperto con l’analisi dei mutati scenari che attendono la nautica in questo tempo di crisi, commissionata all’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione del Prof. Renato Mannheimer. Nel complesso l’analisi è apparsa ben articolata, sebbene forse limitata a campioni relativamente modesti (800 casi per il sondaggio sul totale della popolazione italiana e 351 casi per quello fra i diportisti). Alcune risposte erano scontate, ciò nonostante la realtà di certe percentuali lascia più che perplessi, quasi attoniti. Ne accennerò brevemente.
La cultura del mare in Italia non è certo, come qualcuno pensava, quella di un popolo di navigatori.
La nautica da diporto è percepita dal 77% come libertà e avventura e al 93% dei diportisti piace di stare a contatto del mare e della natura, ciònostante l’8% del campione fra la popolazione italiana, va in barca solo una o due volte all’anno, mentre al 44% non è mai capitato di andare in barca.
Il 33% ha addirittura timore della barca, soffre il mal di mare o pensa che sia pericolosa. Fra la popolazione il 54% degli intervistati non ha interesse nella nautica, il 37% sognerebbe la barca, ma il 34% pensa di non potersela permettere. Presso i diportisti i servizi per il turismo nautico hanno ottenuto il voto di 6,2 (su 10) e sono giudicati insufficienti o pessimi dal 31% del campione e comunque peggiori che all’estero del 42%.
Interessanti sono le iniziative ritenute utili a promuovere il diportismo attraverso una cultura e una sensibilità alla nautica diversa da quella attuale. In primis, scoraggiando gli stili di navigazione improntati alla velocità. Si tratta certamente di intenzioni nobili, ma che non corrispondono alla realtà, giacché l’eco-compatibilità dei mezzi viene poi considerata “un falso problema” e solo il 32% auspica un contenimento dei consumi energetici (in definitiva della velocità).
L’analisi non ha trascurato le difficoltà del diportismo minore che è stato penalizzato dal mercato anche per motivi soggettivi dell’utenza, che lamenta, per esempio, una carenza di scivoli per le barche carrellabili. Ha citato l’iniziativa “navigar m’è dolce“ dell’Ucina , non abbastanza capillare né raccolta dalla cantieristica, che andrebbe invece ristudiata ex novo. Con una produzione industriale che punti sulle barche piccole come segmento di entry-level.
In conclusione, il Prof. Mannheimer ha auspicato un nuovo scenario per la nautica da diporto, fondato su una sensibilità e una cultura del mare, non solo in funzione della crisi contingente, ma atta a ristabilire per il futuro nuovi assetti, che tengano conto sia dei diportisti esperti, sia di quelli potenziali, spesso scoraggiati da condizioni poco chiare e ostacoli burocratici nel loro approccio alla nautica.
Successivamente si è svolta una tavola rotonda, viziata da un eccessivo protagonismo del presentatore, durante la quale sono state espresse interessanti proposte, specialmente da parte dei tecnici, fra cui da menzionare gli interventi del Professor Massimo Muzio Sale, dell’Università di Genova, responsabile delle ricerche Sunrise (Studio di unità nautiche per favorire il riciclo industriale e lo sviluppo eco-compatibile) e del Professor Giovanni Zuccon dell’Università La Sapienza di Roma.
Oltre a sottolineare ovviamente i nuovi vincoli ambientali ai quali la nautica del futuro dovrà fatalmente adeguarsi, si è auspicato un revival della nautica minore, che dalla crisi è stata colpita più del comparto dei superyacht.
Per una migliore conoscenza del mare e del turismo nautico è stato suggerito di coinvolgere la scuola, ma pochissimi hanno spezzato una lancia a favore della vela, che fra tutte le attività lusorie è la più eco-compatibile.
La mia impressione personale è che una gran parte dell’uditorio – varie centinaia di soci Ucina – non abbia ancora percepito, nonostante i numerosi segnali d’allarme, l’urgenza di cambiare rotta abbandonando tendenze, sia tecniche sia di design che hanno fatto loro tempo e di investire nel contempo su nuove tecnologie “verdi”, ivi compreso un rilancio della vela, opportunamente smitizzata.
Un problema considerato importante dal convegno di Venezia sarà quello di utilizzare nella future costruzioni dei materiali eco-compatibili, sopratutto per sostituire i legni esotici che, come il tek, provengono in maggioranza da tagli illeciti nelle ultime foreste pluviali.
La “life cycle philosophy” intesa come ciclo di vita del prodotto finito dovrà diventare un oggetto di attenzione e consapevolezza verso le problematiche ambientali.
Molto si è discusso sullo smaltimento dei natanti in vetroresina non più in uso, riutilizzandoli attraverso un eventuale riciclo della VTR in una logica di eco-sostenibilità.
Se ne è parlato in un apposito seminario tecnico durante il quale è stato tra l’altro presentato un brevetto del Professor Cosimo Carfagna, direttore dell’istituto di chimica e tecnologia dei polimeri del CNR per un termoplastico, ottenuto dal polistirene espanso caricato con materiale inerte, in particolare proprio la vetroresina macinata proveniente dagli scafi dismessi. Ne risultano manufatti assai rigidi ma soprattutto molto leggeri, di peso specifico inferiore a quella della VTR classica.
Non è stato trattato invece il recupero di altri materiali, ad esempio per riutilizzare quello degli scafi in lega leggera (anche qui ci sono dei problemi da risolvere) e si è appena accennato al fatto che in Nuova Zelanda tutta la nautica minore, le barche da lavoro e da pesca usano l’alluminio, facilmente riciclabile. La VTR viene impiegata come prodotto in temporanea importazione e gli scafi finiti non sono mai venduti sul mercato interno ma solo esportati in Europa o negli Usa.
Qualcuno ha poi sostenuto – in controtendenza – che il miglior modo di disfarsi dei vecchi scafi in VTR sarebbe di affondarli, ottenendo così due vantaggi. Creare un habitat ottimale per la fauna e flora subacquea, come dimostrato dalla presenza, sulle numerose navi affondate durante il secondo conflitto mondiale e oggi ricoperte da una rigogliosa flora, di molte specie ittiche.
Un secondo vantaggio è il deterrente costituito da questi cimiteri subacquei nei confronti dei pescatori che oggi devastano i fondali sciabicandovi irresponsabilmente.
Concordo pienamente con quanto detto precedentemente, con una unica precisazione: che cosa si intende per nautica minore?
Dovrebbe essere quella delle barche, a vela o a motore, lunghe fra i sei, sette, massimo otto metri, Vuoi per il costo di mantenimento e la manutenzione che può fare un appassionato con le sue mani senza dover ricorrere ad un cantiere ed ai relativi costi.
Invece ho letto di nautica minore come di barche inferiori prima ai dieci metri di lunghezza, poi a dodici, poi a quindici, infine in questi giorni, a venti.
Il punto fondamentale è sempre lo stesso, che tipo di società vogliamo e quale cultura la deve sostenere.
Le barche che si producono sono una bella cartina di tornasole che rende l’idea di come vanno le cose o di come sono andate finora.
Adesso siamo al bivio.
Vediamo se si insisterà sulla stessa strada ad oltranza (con la balla della produzione di eccellenza)o se qualcuno comincerà a chiedersi che forse è il caso di ricominciare da capo, investendo sulla cultura del mare e non sull’edilizia applicata alla nautica.
Cordiali saluti
A. Vincenti
Caro Sig. Vittorio di Sambuy,
sono un appassionato di mare barche da sempre e mi fa piacere leggere che si sta tornando con i piedi per terra, mi spiego: quando sento parlare di persone che pensano di comprare la barca perchè è cool e parlano di 15 mt ma non sono sicuri se a vela o motore mi si rizzano i capelli. Mi è capitato spesso di udire discorsi simili.
Lei parla di un terzo della popolazione in Italia che pensa che navigare sia pericoloso, io vivo a dieci km dal mare e le posso assicurare che a 5 km dal mare la gente non sa quale sia la poppa o la prua. Però conosce cosa sia la Coppa America, cioè una regata per barche a vela… La realta è questa. Prima hanno fatto credere a tutti che chiunque avesse un gozzetto era un delinquente o comunque sicuramente un evesore fiscale… Ricordate la tassa di stazionamento di Andreottiana fattura? All’epoca, era automatica la segnalazione alla GdiF per chiunque comprasse una barca, da 5 mt in su.
Poi hanno detto comprate le barche che più sono lunghe e meno tasse pagate… Leasing. La realtà è che una cultura marinaresca si crea con le scuole di vela… gli optimist, con la nautica minore, evitando che la stessa vite, comprata in ferramenta costa 50 cent, mentre e in un negozio nautico 5 €. Finora è stata solo creata la moda delle barche grandi, non la passione per il mare.
La vera ecologia si fa amando il mare, considerandolo un bene prezioso, non un parco giochi. E’ ora che si riominci a rispettare il mare creando approcci che siano graduali e rispettosi. Solo cosi ci sarà un sensibilizzazione all’ambiente marino ed il godimento profondo di esso. La gente comincerà a comprare barche più consone alla loro esperienza ed alle loro reali possibilità e non in base alle convenienze per il leasing..
Bentornata nautica minore!
Cordiali saluti
Massimo