Foiler Moth: una deriva o una monoposto di Formula 1?
di Vittorio di Sambuy
Vi ricordate gli aliscafi della Marina Militare classe “Sparviero” e l’impressione che facevano quando navigavano a 50 nodi sollevati dall’acqua e sostenuti soltanto da alette sommerse?
E’ ancora maggiore quella che proviamo oggi vedendo sfrecciare a 30 nodi delle piccole derive, sollevate di mezzo metro dall’acqua e sospinte da una vela di soli 8 mq.: i Foiler Moth.
Originariamente piccole derive monoposto comparvero nel 1928 in Australia e nel 1929 in Usa con altri nomi ma si fusero in una classe, definita “developement” ma riconducibile a quelle a restrizione, destinate alla costruzione amatoriale: la classe Moth. Nel suo volume del 1964 “Sailing theory and practice”, C.A. Marchaj la disegna nella sua versione classica (inglese), come uno scow a spigolo delle seguenti dimensioni:
- Lunghezza fuori tutto 3,35 m
- Albero di 5,03 m
- Boma 2,89 m
- Vela, di 8 mq, è la sola ad avere misure rigorose come su un monotipo.
Negli anni Sessanta se ne contavano più di 4000 raggruppati nella International Moth Class Association (IMCA). Ebbe vita breve il Moth Europa destinato alle ragazze.
Da allora sono nate in tutto il mondo ben 15 IMCA, International Moth Class Association, fra cui anche IMCA Italy. (www.moth.it). Si stima che oggi ne esistano al mondo circa 9.400 esemplari dotati di numero velico, ma ne navigano in pratica circa 400 di cui 240 nella versione “foiler”, che è appunto l’ultimo sviluppo più sensazionale di questa classe, con scafo dotato di alette immerse, che gli consentono di uscire dall’acqua già con 7 nodi di vento.
Le misure generali del Moth sono rimaste invariate nella versione foiler, ad eccezione di un traliccio poppiero che sporge di mezzo metro dallo specchio di poppa per sostenere le femminelle del timone, che in questo caso è costituito da una lama verticale lunga 650 mm in fondo alla quale è applicata ortogonalmente l’aletta di sostentamenti profilata (il foil) con corda di 125 mm. Del tutto simile, solo leggermente più lunga, (850 mm), è la deriva centrale a T rovesciata il cui foil è munito di un flap asservito a un sistema di controllo automatico dell’altezza dello scafo sull’acqua. Questo sistema di basa su un sensore elastico a forma di banana che sporge sotto alla chiglia e agisce tramite una bacchetta (il wand) sul flap menzionato. A bassa velocità il sensore è piegato verso poppa e la posizione del flap è a incidenza massima. Man mano che aumenta la velocità e la barca si solleva, il sensore si raddrizza e il wand riduce l’incidenza del flap.
L’equilibrio si trova quando tutto lo scafo è sollevato di circa 60 centimetri.
E’ anche probabile che gli angoli d’incidenza delle due alette siano diversi, con quello dell’aletta di prua maggiore di quello dell’aletta di poppa, in modo da creare una stabilità intrinseca dovuta all’effetto “canard”. Per il timoniere ci sono due piattaforme trapezoidali laterali in tela come due ali sostenute da una struttura anch’essa di carbonio. E’ ovvio che, essendo il timoniere la zavorra mobile, ha grande importanza la sua posizione: spostandosi sulle due ali laterali, deve trovare l’assetto migliore della barca, avvicinandosi a quello ideale dell’albero assolutamente verticale. Lo scafo, costruito nei modelli foiler in fibra di carbonio, pesa meno di 10 kg ed è largo solo poco più di 30 centimetri. Con armo e ali laterali il peso totale non raggiunge i 30 kg.
Ammirando sfrecciare queste minuscole derive come fossero delle monoposto di Formula 1, si stupisce di come fanno a rimanere in equilibrio senza il minimo sbandamento, caratteristica quest’ultima che favorisce la migliore esposizione della vela al vento.
Anche in virata i timonieri bravi si spostano da una posizione di richiamo all’altra mantenendo lo scafo sempre orizzontale. Eppure è esattamente come sulla bicicletta, che resta verticale grazie alle piccole correzioni sul manubrio mentre sul Moth la stessa cosa avviene muovendo impercettibilmente il timone. La sua rotta non è perciò mai perfettamente rettilinea ma serpeggia In modo simile alla bicicletta.
Il modello più recente di Moth è il Mach 2, costruito dalla McConaghy australiana www.mcconaghyboats.com
Egr. Arc.
se fosse come dice Lei dovremmo andare ancora in calesse. La tecnologia ha sempre comportato vantaggi e svantaggi. Non so sciare ma in mare faccio di tutto ed in Italia non c’è affollamento di barche perché non siamo un popolo di navigatori ma di pigri.
Quest’anno al big blu abbiamo portato una lancia a vela in lamellare con vela latina, ci chiedevano se era di “plastica”, un motoscafo di alluminio, ci chiedevano se galleggiava.
E’l’ignoranza che limita la passione del mare non i moth class che restano per pochi come le Ducati ma non le uniche barche.
Mi rincresce, ma posso darLe solo delle info parziali.
Il costo nel Regno Unito è di circa 11500 €. Non sono a conoscenza di importatori nazionali. Ho visto agili e capaci ragazzini fare molti, molti bagni prima di prendere confidenza con il mezzo.
Ho 60 anni, qualche kg di troppo, una discreta esperienza anche in derive e surf, ma non mi azzardo ad avvicinarmi a tali “macchine volanti” ( splendide da vedere e fotografare… , basta così ).
IL MIO NON è UN COMMENTO è UNA RICHIESTA DI INFORMAZIONI.
Li ho visti veleggiare per la prima volta la scorsa estate in Croazia, io ero su un catamarano tipo hobbicat 14 ed ero già soddisfatto di come con un vento leggero, con il catamarano ci si riusciva a divertire… quando sono apparse queste due vele che sollevate sull’acqua mi sfrecciavano intorno!!! Che spettacolo, che belle, piccole veloci “maneggevoli” leggere anche da trasportare…
Ma davvero richiedono prestanza fisica impegnativa!!! Sono così complicati da condurre!!! Io ho 52 anni ed una sufficiente esperienza su 470…
Qualcuno ha la cortesia di esprimere un suo parere a proposito!!! Nel nord ITALIA (io vivo a Torino) chi li vende???Quali sono i costi??
Grazie in anticipo per le risposte,
Andrea
Foiler Moth. Bellissimo vederlo viaggiare sollevato dall’acqua, ma quanti bagni all’inizio!
E’ l’equivalente nel campo delle derive alle tavolette a volume nei surf.
Un ulteriore ostacolo per avvicinare neofiti alla vela. Vela erroneamente già vista come fatto elitario di censo ora anche di fisicità, appannaggio di uomini con di capacità superiori alla media. Fin dall’avvento delle tavole a volume prima e degli skiff poi ho sempre chiamato il “genere” : “Circo di Mosca”.
Sempre meno gente a vela : troppo difficile, troppo caro, troppo acrobatico, troppo lontano.
Viva la vela degli Zef , dei Vaurien, dei vecchi 420 , degli Snipe, dei gozzetti con vela latina…
Riflessione non fuori luogo.
Nello sci si è andati in senso opposto.
Con gli sci carving ( sciancrati ) tutti riescono a sciare dignitosamente scendendo forse fin troppo velocemente ( oltre le loro capacità di controllo ) su piste che con la complicità dei gestori dei comprensori sciistici sono diventate sempre più facili, lisce e curate come il piano di un biliardo.
Basta un pò di ghiaccio o un po di gobbe ed anche i “vecchietti” riescono a dire la loro …
Risultato ( negativo )dell’avvento dello sci facile: piste sovraffollate.
Ma nel campo della vela, almeno in Italia, questo sovraffollamento degli specchi d’acqua navigabili non l’ho mai visto.
Nondum matura est, noli acerba sumere ?!
(Per i più giovani: così diceva la volpe all’uva troppo in alto)
No, è soltanto uno sfogo di un diversamente giovane velista e sciatore. Due mondi che spesso sono stati frequentati dallo stesso genere di sportivi.
Buon vento!
E non si torna indietro…
Sergio Abrami YD