La Barca non e’… (28° puntata) – Una barca per tutti
di Antonio Soccol
Ebbene, sì: lo confesso. Non avevo molta voglia di scrivere questa ennesima puntata di “la barca non è un’auto”.
Il Presidente del Consiglio, dopo lunga e un po’ irritante meditazione, ha dichiarato di essere preoccupato per la situazione dell’economia mondiale e nazionale. E, se lo dice lui, tocca credergli.
Nel momento in cui scrivo è stato approvato un decreto anti-crisi. Quali che siano le opinioni politiche di ciascun lettore, una cosa appare evidente. Del settore “nautica da diporto” non gliene frega niente a nessuno. Eppure questo “comparto” ha un numero di maestranze (fra dirette e indotto) probabilmente pari se non superiore a quello dell’industria automobilistica. O degli elettrodomestici.
Inoltre, per esempio, fra pochi giorni le rappresentanze imprenditoriali e dei lavoratori delle industrie del “Made in Italy”, preoccupate per il precipitare della situazione occupazionale e di sopravvivenza delle proprie aziende, presenteranno in una conferenza stampa le modalità operative di una prossima mobilitazione nazionale. Un’iniziativa volta a sollecitare il Governo a dare risposte al Documento congiunto di politica industriale a sostegno di investimenti, occupazione e redditi delle industrie e dei dipendenti della filiera produttiva italiana di tessile, abbigliamento, pelli, cuoio, calzature e occhiali: inviato quasi due mesi fa, è finora rimasto senza risposte.
Un giornale on line (Fashion) di questo settore pubblica: “Vito Artioli dell’Anci, Antonio Belli di Tessili Confartigianato, Giorgio Cannara di Aimpes, Valeria Fedeli di Filtea-Cgil, Giorgio Giardini di Tessilivari, Salvatore Luca di Claai, Romano Natali di Casartigiani, Pasquale Rossetti di Uilta-Uil, Luigi Rossi di Cna Federmoda, Sergio Spiller di Femca-Cisl, Vittorio Tabacchi di Anfao, Michele Tronconi di Smi: tutti d’accordo nel ribadire la necessità di una richiesta compatta all’esecutivo, “viste le ricadute dell’attuale pesante crisi globale, finanziaria, economica e sociale sulle imprese del settore, che devono essere affrontate in un apposito tavolo di confronto con l’urgenza che il Governo ha dimostrato nei confronti di altri settori industriali, in primis quello dell’automobile”.
Va beh! Tutte le nazioni del mondo (Italia compresa), stanno dando miliardi per salvare le proprie industrie automobilistiche: negli Usa, in Francia, in Germania, in Spagna, in Giappone, in India.
Fate mente locale: l’auto è una comoda bestemmia: uccide, ci avvelena la vita, inquina l’aria, l’udito, ci svena con assicurazioni, bolli, manutenzione, gestione, multe e costo del carburante.
E tutti corrono a salvarla. Non uno che abbia detto: salviamo i cantieri.
No: non è vero. Uno, forse, l’ha detto. Trovo la notizia a pagina 65 del dorso “Riviera/Albenga” del quotidiano “La Stampa” del 14 febbraio. Il titolo dice “ Scajola: Rilanciamo la nautica”. Ohibò!
Speranzoso, leggo il breve testo inerente la visita del ministro dello Sviluppo economico al cacciatorpediniere-lancia missili “Andrea Doria”: si parla del valore degli uomini delle capitanerie di porto, della bellezza del porto di Alassio e alla fine spunta questa dichiarazione: “Stiamo preparando un piano per intensificare l’attività portuale, nel rispetto dell’ambiente e migliorando la collaborazione tra l’uomo e la natura, in particolare destinato al centro e al sud Italia, dove ci sono posti meravigliosi ma dove c’è bisogno di una nuova progettualità”.
Tutto qui? No: il Ministro ha, infatti, anche detto: “Per far crescere il turismo, e di conseguenza l’economia dell’Italia, c’è anche bisogno di un rilancio della nautica. Qui in Liguria c’è una buona programmazione.” Fine. Siamo salvi. Beh, insomma… Non conosco il Ministro e non so perciò a quale “programmazione” facesse riferimento: forse quella di alcuni incendi che misteriosamente stanno distruggendo megayacht ordinati e mai pagati né ritirati… Oppure quella dei fallimenti a catena di alcuni notissimi cantieri.
Mi si dirà che non è bello pensare alle barche quando la gente si muore di fame. Giusto: ma è bello pensare alle auto? Non so: dite voi. A me sembra che faccia molto meno male andar per mare che per autostrada.
C’era un “pezzo” stupendo di Mauro Mancini in materia che raccontava d’esser andato in barca (a vela) da Viareggio a Anzio (se ricordo bene) in una notte di primavera: sosteneva che era stata una delle più belle notti della sua vita. La confrontava poi, quel grande giornalista, con l’ipotesi di fare lo stesso percorso via terra. E concludeva che, a farlo, vi avrebbe perso qualche mese di vita… Tutto ciò più di trenta anni or sono. Immaginate oggi. Eppure…
Torniamo al mercato. Un lancio di agenzia mi informa che: “Anche se il mese di dicembre ha segnato soltanto un +3% in valute locali, il gigante del fast fashion H&M chiude l’ultimo quarter fiscale con vendite in aumento dell’8% e l’intero esercizio con un +11%. Le stime per il mese di gennaio sono di un incremento dei ricavi (sempre in valuta locale) dell’8%.”
Non so se sapete chi sia H&M. In sintesi: una catena di negozi in tutto il mondo dove gli abiti sono bellini e costano poco. Molto poco.
Una mia amica mi informa di aver ricevuto un “invito strettamente personale” ad andare, un certo giorno, in un certo negozio di via Montenapoleone, a Milano. Uno degli stilisti più famosi del mondo le concede di acquistare con il 75% di sconto. Questa informazione si può leggere anche così: la leggendaria “griffe”, se vuol sopravvivere, deve mettersi in concorrenza di prezzi con H&M. Morale: l’economia del lusso è alla canna del gas. Funzionano solo i prodotti che abbiano prezzi accettabili.
Vi ricordate di quelli che speravano nell’esistenza del “paese del Bengodi”? Sentite questa che
Elena Marco riferisce sulla rivista “Io Donna” (supplemento del sabato del Corsera). In Dubai ogni giorno vengono cancellati 1.500 (diconsi millecinquecento) permessi di soggiorno rilasciati a lavoratori stranieri. In breve la popolazione diminuirà di 600 mila unità. Le principali imprese immobiliari licenziano sul ritmo di 400/500 persone alla volta mentre le più importanti aziende di costruzioni edili hanno annunciato la riduzione del 50% del proprio personale. La costruzione del grattacielo più alto del mondo (mille metri) resterà ferma. La polizia ha sequestrato al parcheggio dell’aeroporto più di mille automobili abbandonate da gente che è fuggita dall’ex paese del Bengodi. Basta?
Qualcuno potrebbe azzardare una domanda: ma l’Ucina, cioè l’Unione dei Cantieri Italiani Nautica e Affini, che fa?
Si prega di passare alla domanda di riserva.
Qualcun altro potrebbe chiedermi: “Ma non vorrai mica che lo Stato dia un incentivo di rottamazione per la barca?” Perché, lo dà per i vestiti, forse? Ci sono molti modi per aiutare un settore produttivo: non esiste solo la rottamazione del vecchio.
Si sostiene, con errore, che il motore fuoribordo sia stato inventato, nel 1909, da Ole Evinrude: non è vero perché il primo fb l’ha inventato Cameron Beach Waterman nel 1905. La leggenda vuole che Ole abbia però studiato quel tipo di propulsore per andar più velocemente dall’altra parte del lago (con la sua barca a remi) a prendere un gelato alla sua morosa. Neppure questa è giusta, ma tutti ormai la danno per buona. Di sicuro è che sono le necessità ad aguzzare l’ingegno.
E allora, mi sono detto, è arrivato il momento di aguzzare l’ingegno. Dalle difficoltà non si esce per opera altrui né sperando nei miracoli: l’unica cosa che conviene è far lavorare il cervello. Quello, insomma, che in termini generici e spesso abusati, si dice “fare ricerca”.
Chi fa ricerca in campo nautico?
Quelli che progettano le barche. Sia che siano liberi professionisti sia che lavorino presso qualche “ufficio tecnico” di un cantiere. Più o meno, tutti costoro appartengono ad una associazione che ha già trentasei anni di vita e che si chiama Aspronadi (Associazione Progettisti Nautica da Diporto).
Ho avuto occasione, in questa serie di articoli, di parlarne nei mesi scorsi. Sono complessivamente oltre 170 (centosettanta) i soci fra ordinari, aggregati e studenti. Un bel po’ di cervelli, insomma.
Breve: in occasione della settima edizione di Seatec, la mostra specializzata in forniture navali, che si svolge a Carrara, il Consiglio Direttivo di Aspronadi ha approvato la mia proposta di lanciare un grande concorso nazionale dal titolo “Una barca per tutti”. Il concorso è aperto non solo a tutti i soci di Aspronadi ma anche agli studenti universitari, a quelli dei vari corsi dello IED (Istituto Europeo di Design) e, in buona sostanza, a tutti coloro che ritengono di avere delle idee.
Ora si stanno studiando i dettagli del regolamento ma alcune cose sono molto chiare. “Una barca per tutti” dovrà avere il massimo possibile di eco-compatibilità, basso costo di produzione, modesto prezzo di vendita e modigerate spese di gestione e manutenzione. Un sogno? Vedremo. Dipende dai cervelli.
Una inedita e interessante novità, questa iniziativa la presenta nella composizione della Giuria: sarà fatta, infatti, dai direttori responsabili di tutte le riviste nautiche italiane regolarmente diffuse in edicola.
Il motivo che ha spinto a prendere questa decisione è che i giornalisti nautici (e quindi ancor di più chi dirige una testata del settore) sono per principio e definizione il logico trait d’union fra la progettazione, la produzione (i cantieri) e il mercato (i lettori). Chi meglio di loro può intuire come e quale sarà il nostro futuro di amanti del mare?
Per il momento è tutto: nella prossima puntata spero di darvi, cari lettori, notizie più precise. Intanto, come vi ho detto, io una mossa ho cercato da darla. Che può fare di più un giornalista?
Articolo apparso sulla rivista Barche nel fascicolo di aprile 2009 e riprodotto per g.c. dell’autore. – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Gent. mo Dr. Soccol,
La ringrazio della Sua risposta, a cui vorrei aggiungere qualche cosa, giusto per la paura di essere frainteso.
Sicuramente non ci sarebbe niente di male se Matteo Bernard, da lei citato smettesse di praticare la vela, a meno che questo non succedesse perché ha preso un ceffone dal padre a causa di una regata persa. Queste cose succedono, si sono viste soprattutto in altri ambienti come il ciclismo ed il calcio, sport che promettono fama e tanti, tanti, soldi. Ieri il telegionale ha mostrato le immagini di genitori che accompagnavano la figlia minorenne a farsi cambiare il sangue per vincere qualche gara in più. Oltre la scorrettezza, c’è l’assoluto disinteresse per la salute della figlia, vista come mucca da mungere. Perché succede questo? Ci saranno più di una risposta ma io trovo che una società che spinge alla competizione esasperata e a qualsiasi prezzo abbia vita breve. Non è che manchi la cultura in assoluto, è che quella che c’è è distruttiva.
Questo atteggiamento si riverbera in tutte le manifestazioni compresa l’industria nautica e nel caso specifico, mi porta ad avere poca fiducia sulle scelte degli operatori del settore, nessuno escluso. Cerco di spiegarmi meglio: non mi dispiace affatto l’idea del concorso “una barca per Tutti”; è la parola “per tutti”, che sento usata a sproposito. Escludendo giustamente, quelli che non hanno passione, hanno paura del mare, amano altre comodità o altri modi per trascorrere il proprio tempo libero, resta un numero relativimente piccolo di persone interessate, certamente non paragonabile ai possessori di automobili.
Ma fra questi, quanti si possono permettere di spendere 5 o diecimila euro l’anno per un ormeggio?. Se per tutti si intende quelli che hanno redditi sopra i duecentomila euro l’anno va bene. Altrimenti bisognorebbe, finalmente, cambiare completamente il tipo di proposte nautiche. Ma per fare questo occorrerebbe che gli operatori si rendessero conto che i possessori dei barchini da 5 a sette metri sono clienti interessanti, che non devono essere trattati da barboni. E quindi i direttori dei giornali, giudici del concorso “Una barca per tutti”, premiassero un progetto per una barca piccola, leggera, da tenere su un carrello, economica di costruzione, gestione e manutenzione. Basta osservare il mondo dei club di internet, lì si può capire quale potrebbe essere oggi la barca per tutti, è un cabinatino su sei metri prodotto in Polonia che costa sui 10/12 mila euro, che ricorda nello spirito il piviere di Mancini, e che ha già i club di possessori.
Invece, quando leggo le riviste di nautica, sia pure con qualche eccezione, provo disagio nei confronti del mondo e delle idee che propongono, col risultato che quelle che rileggo volentieri hanno almeno trent’anni. Come faccio a non pensare che insistano nel loro indirizzo, premiando barche per pochi invece che per tutti? Francamente mi piacerebbe sbagliarmi, ma vedo difficile una inversione di tendenza nonostante una crisi pesante, che molti nascondono e che dovrebbe insegnare qualche cosa soprattutto da un punto di vista etico.
In quanto ad essere uomo libero, ahimè, non lo sono, dipendo sempre dal lavoro e dagli altri, ma faccio domande e esprimo opinioni con l’idea di essere costruttivo e propositivo, specie per un settore di cui sono appassionato. Se poi faccio danni, mi dispiace, ma non è nelle mie intenzioni.
Cordiali saluti
Alfredo Vincenti
Egregio Signor Vincenti,
mi scusi il ritardo con cui rispondo.
Un ottimo progettista nautico italiano, Sergio Abrami, mi ha segnalato di recente un libro, un romanzo che sa molto di auto-biografia. Si chiama “Come mio fratello” ed è di Uwe Timm. Non ha nulla a che fare con la nautica ma vi ho trovato dentro una frase che mi ha molto colpito: “Libero vuol dire poter fare tutte le domande senza dover mostrare riguardi nei confronti di nulla e di nessuno.”
Ecco: Lei, evidentemente, è un uomo libero. E questo mi sembra molto importante.
Altrettanto spero/voglio essere io.
E allora la domanda è: “Se Matteo Bernard, il sedicenne che lo scorso anno ha riportato- dopo otto anni- il titolo europeo degli Optimist in Italia e che da quest’anno gareggia nei 420, domani non dovesse più gareggiare, vincere, andar per mare eccetera, che male c’è?” Ha provato, ha vinto, s’è divertito e poi magari ha scoperto altri orizzonti, altri confini da superare. E’ la vita.
Forse seminare non basta (se manca la cultura, soprattutto) ma, se non si semina, è del tutto inutile sperare di raccogliere.
Sarò un ingenuo ma preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno pur essendo d’accordo con Ernesto “Che” Guevara quando scriveva che l’umanità fa, talvolta, un passo in avanti e poi tre indietro.
Sulle pagine di questo nostro Altomareblu (realizzato tutto solo strappando ore di sonno al riposo di poche persone amanti del mare) troverà il Bando di concorso per un premio giornalistico- editoriale intitolato alla memoria di Carlo Marincovich, grande scrittore di cose di mare. Quel concorso, organizzato da Aspronadi, l’ho voluto io. E’ uno dei tanti espedienti che mi invento per creare una cultura del mare. Mare inteso come unica grande entità, che lo si viva su un gozzetto o con una piccola barca a vela, immergendosi negli abissi o vogandolo per ore e ore, filandoci sopra a oltre 60 nodi o nuotandolo sino all’infinito.
Il mare (in lingua spagnola è al femminile…) è una fede. E significa libertà.
Con molti cordiali saluti,
Antonio Soccol
Mi rendo ben conto sig. Vincenti,
tuttavia, comprenderà che la popolarità di questo sito web e tale che siamo bersagliati da link in commenti ecc… è ovvio che il suo caso non è da prendere d’esempio tuttavia, le regole devono essere uguali per tutti affinché non si favorisca alcuno creando precedenti o risentimenti.
Il suo commento integrale, è stato comunque inoltrato al sig. Soccol che le risponderà, per quanto mi riguarda, sono spiacente ma certo che apprezzerà il nostro impegno e il nostro lavoro.
Grazie per il suo commento,
Alex Vitale (admin di Altomareblu)
Ho visto la mia missiva “moderata”; perde una buona parte del Suo senso.
Non importa; va bene così.
Cordiali saluti
Alfredo Vincenti
Gentile dott. Soccol,
nel suo articolo condivido i suoi commenti sull’automobile e tutto il suo mondo, che fra l’altro danneggia la nautica, dal mio punto di vista, proprio per il tipo di atteggiamento mentale e la cultura trasportata in mare propria degli automobilisti. Trovo interessante anche l’articolo di Vittorio Di Sambuy sulla nautica minima, ma come spesso mi accade quando leggo articoli di nautica, mi sembra di leggere delle cronache di un altro pianeta. Lei ha citato Mauro mancini, che è poi il primo promotore della piccola nautica da diporto, fatta con un barchino a deriva mobile e non con lo yacht , che trent’anni fa parlava di passione per il mare vissuta con il minimo indospensabile. Da quelle idee, dopo anni di affossamento, rimangono un piccolo numero di appassionati, che si sono creati persino una rivista telematica, un certo numero di pagine web personali e altre cose di poca importanza.
Ora, il pensare che la cantieristica navale da diporto, ormai strutturata per costruire dei mostri che no hanno niente a che vedere con la nautica “civile”, come la chiamava Bechini, il giornalista di nautica scomparso recentemente, si metta a costruire la “barca per tutti” o per molti, mi sembra difficile, specie considerando il fatto che sono ben pochi quelli che oggi si possono permettere anche una lancetta a motore.
Per quanto i progettisti siano bravi, e presentino cose interessanti, non credo che la giuria formata dai direttori delle riviste nautiche abbia una idea di quello che vorrebbero e potrebbero molti appassionati.
Si limitano a seguire le loro relazioni e la corrente.
In un paese come il nostro, le persone sono rappresentate dai mass-media esclusivamente come tifosi di calcio, di ricercatori della massima prestazione (di qualunque genere), di competitori e soprattutto di consumatori. Non si vuole accettare che a qualcuno, del pallone non gli né importi niente, ma che magari desideri prendere le scarpe da tennis o la bicicletta senza battere nessuno; che qualcuno tenda ad essere morigerato nei consumi perché gli sprechi gli sembrano una bestemmia in mondo che non ha risorse infinite e infine, se gli piace il mare (perché non è così ovvio) magari lo vive comeun momento di silenzio e svago, veleggiando su un piccolo cabinato o pescando da un gozzo o una lancetta a motore.
Vuole un esempio sui bei risultati della competizione forzata? I ragazzini buttati sugli optimist a fare gare, al 99% per cento abbandonano la vela dopo due anni di regate. Va bene così perché i campioni vanno avanti? Forse, ma questi ragazzi, poi abbandonano anche la nautica.
[Articolo moderato, per info, ADMIN di Altomareblu]
Cordiali saluti
Alfredo Vincenti
Non TUTTI torneranno alla bici. Ma MOLTI passeranno alle auto elettriche. E MOLTI vorranno ancora andare a divertirsi per mare.
Se ALCUNI si divertiranno a spendere una fortuna sperando di camminare a 50 nodi sono fatti loro. Poi si accorgono che tutta quelle velocità in pratica non è sfruttabile e cambieranno idea. Ma MOLTI vorranno ancora la barchetta tipo “navigar m’è dolce” o un veliero. Ma un veliero semplificato, con solo due manovre: drizza e scotta.
Vittorio ad Antonio salutem dicit.
Carissimo Vittorio,
io l’Aspronadi me la sono inventata nel 1972 e poi, con l’aiuto di Carlo Marincovich, l’ha concretizzata nel 1973.
Non ne ho mai fatto parte (non sono un progettista) se non come “socio speciale” proprio perché “padre fondatore”.
Non sono perciò in grado di decidere cosa debba o non debba fare quella Associazione.
Ma, a parte questo non trascurabile dettaglio, credo che non torneremo tutti alla vela così come non torneremo tutti alla bicicletta.
La velocità ha un fascino irresistibile e innegabile.
Mi dirai che ci sono barche a vela che filano più di tanti “ferri da stiro”. Vero. Se c’è vento, però.
E quello non si compra al supermarket quando si fa cambusa.
Giusto, a mio avviso, dunque pensare ad entrambi i sistemi di propulsione e molto anche alla soluzione cosidetta di “compromesso” e cioè al motorsailer.
Aspronadi sta lanciando un concorso nazionale per tutte e tre le possibilità.
Il mercato, poi e come sempre, deciderà.
Sì, come sempre.
Con stima e affetto,
Antonio
Caro Antonio,
la barca per tutti dovrebbe essere probabilmemte quella del “Navigar m’è dolce” dell’Ucina evitando però che diventi “NAVIGARCAROMICOSTA”.
Personalmente credo che si debba tentare un rilancio della vela, cercando di smitizzarla. Occorre lanciare un concorso per un progetto di “VELAFACILE”.
Perché non ci pensa l’Aspronadi?
Un saluto da Vittorio
Gentile Massimo,
premetto che non possiedo una barca.
Un amico, proprietario di un cantiere navale, mi ha sempre detto che la barca più bella è quella che possiedono gli “amici”, inoltre non ho un cantiere navale ma, ho passato tutta una vita a lavorare con passione sul mare e con il mare, avendo ovviamente, diretti contatti con la cantieristica navale.
Il leasing nautico a cui ti riferisci, è servito effettivamente ad aumentare e svecchiare il parco circolante delle nostre imbarcazioni da diporto, in particolare, mi riferisco alle cosiddette unità medio-grandi. Questa agevolazione però, a mio avviso, in periodo di crisi mondiale e soprattutto di “paura” sul nostro futuro economico, non funziona più. E’ fisiologico infatti che ci sia un rallentamento di tutti i consumi. Quindi, i primi a risentire di questa contrazione sono state le imprese produttrici dei cosiddetti beni di “lusso”, a cui la nautica erroneamente viene assimilata. Dico erroneamente perché, stranamente, quando parliamo di nautica, pensiamo sempre e solamente alla cosiddetta “dolce vita” di Felliniana memoria e non alle barche da lavoro.
Volente o nolente spesso, dimentichiamo che l’Italia ha qualche migliaio di chilometri di costa e ci sarà pure qualche persona che lavora sul mare, utilizzando delle barche prodotte da quegli stessi cantieri che normalmente vengono additati solo come realizzatori di “oggetti” appartenenti al “polo del lusso”.
Pertanto l’eventuale chiusura dei cantieri navali, provocherebbe oltre alle medesime disfunzioni previste per il settore automobilistico, anche la mancanza degli “strumenti di lavoro” indispensabili a chi sul mare ci lavora e sono moltissimi credimi… Inoltre, saremmo costretti ad andare all’estero a comperare le nostre unità da lavoro.
Se poi qualche imprenditore non è stato oculato durante il cosiddetto periodo delle “vacche grasse”, non è possibile che l’intero settore entri in crisi per colpa di pochi, ci deve essere senza dubbio una ragione.
Quindi, considerato che qualsiasi imprenditore opera attraverso il sistema bancario, se questo viene a mancare, perché le banche non concedono più credito, l’industria nautica si ferma, con le conseguenze che possiamo immaginare.
Il Governo ha tentato di convincere le banche a riaprire il credito ma, da quel che si vede e che si sente, non sembra che vi siano risultati di rilievo. Quindi per mantenere in vita un settore che per occupati non è assolutamente secondo al settore automobilistico ma, solamente più frazionato sul territorio nazionale, è urgente che il Governo ascolti gli esperti del ramo ed assieme valutino le debite misure correttive.
Cordialità.
Tito
Mi permetto di scrivere perchè vorrei fare notare alcune cose; se c’è un settore che ultimamente ha avuto agevolazioni sostanziali e tangibili, fiscalmente parlando, è la nautica da diporto. Mi riferisco al leasing nautico, un bellissimo escamotage fiscalmente sostenibile per far pagare l’ IVA agevolata ad un bene di non primissima necessità, tipo la barca.
Intendiamoci, va benissimo, tutto ciò che serve a creare lavoro e benessere va strabenissimo, ma per favore non si dica che non si è fatto niente per la nautica. Ciò che invece non va bene, è il fatto che il settore, pur venendo da un decennio di boom e non si neghi questo, quello nautico è stato l’unico settore, oltre all’edilizia, che ha tirato nell’ultimo decennio.
Nonostante questo, ai primi cenni di crisi, tutto è crollato come un castello di carte. Mi riferisco al gruppo Ferretti, alla Dreaming ecc.. Dove è finito tutto lo scintillio dorato delle pagine patinate? E le feste a base di ostriche e champagne? Quotazioni in borsa, elicotteri privati Ferrari e feste in Sardegna, acquisizioni folli…. La verità è che hanno scialato e disperso soldi a destra e a manca, non ne sono contento, ma chi è causa del suo male pianga se stesso. Ho un amico che lavora nel settore e lo scorso anno, per aiutarmi a fare manutenzione sulla mia barca, si ridusse ad una domenica di luglio, perché non aveva avuto un secondo di tempo prima… poi a settembre la crisi, a ottobre si parlava di chiudere lo stabilimento Itama, Riva ed Aprea.
La Dreaming mi risulta sia in stato fallimentare con un buco da paura, La Raffaelli lo stesso…. Come si può accettare una situazione del genere dopo un mese di crisi?