Diario di un fascista alla corte di Gerusalemme – (seconda puntata)
VERSO ISRAELE
nel 1948, dopo aver passato un anno al Ministero Marina, usufruendo dei benefici della legge sullo sfollamento delle FF.AA., a domanda, lasciai il servizio attivo e la Marina Militare.
Ma non avevo ancora praticamente messo il piede fuori dal Ministero, che venni gentilmente abbordato da un signore, che avevo conosciuto nel lontano 1933/35 in Cina, quale Comandante della Cannoniera “Lepanto”, che a Shangai usava ormeggiarsi sulla fiancata sinistra dell’“Incrociatore Quarto”, nostra Nave Ammiraglia in Estremo Oriente, sulla quale io ero imbarcato: era il Com.te Calosi, un signore di antica razza!
Dopo qualche convenevole d’occasione, entrò in argomento: Ci sarebbe un certo lavoretto… che Lei sa fare molto bene! Io di rimando… Com.te, io non so fare proprio nulla! Ancora… No. Lei lo sa fare, e benissimo… fece di ritorno il Com.te Calosi, che poi seppi essere il Capo del “SIS”, Servizio Informazioni Segreto della M.M.
Feci chiaramente comprendere che non avevo assolutamente intenzione di prendere in considerazione alcuna proposta che, uscito dalla M.M. dalla porta principale, mi ci facesse rientrare da quella di servizio.
Ci fu un momento di lunga pausa da entrambe le parti, poi… Io… ma…. A meno che non si tratti di un qualche “lavo retto”… ancora pausa… ancora … di qualche “lavoretto” contro gli inglesi… concludevo io: tanto amavo gli Alleati vincitori, o tanto li odiavo ancora!
È facile immaginare come fosse felice e soddisfatto il Com.te Calosi: era raggiante!
Infatti si trattava di inviare in Israele due operatori di mezzi d’Assalto, di cui uno per i subacquei (maiali), era il S.T.V. Nicola Conte, M.O.V.M. per l’azione di Genova contro la portaerei italiana Aquila, ancora non completata, e un altro per la superficie (barchini), sarei stato io, se avessi accettato.
Mi dichiarai disponibile, di considerare quel “lavoretto”, che io avrei dovuto essere capace di fare benissimo, come affermava il Com.te Calosi.
Fui presentato alla Gent.ma Signora Ada Sereni, che svolgeva egregiamente il ruolo di quasi “Ambasciatrice”, e al Sig. Yeuda Arazi, un uomo duro che controllava e dirigeva tutta l’emigrazione ebraica dall’Europa verso Israele: due personaggi impegnati ad altissimo livello nelle responsabilità della realizzazione del Nuovo Stato d’Israele.
Ma, mentre l’accordo era facilissimo, diventava quasi insormontabile il come dire a mia moglie che sarei andato in quelle zone di guerra calda, dopo che proprio a causa della guerra, avevo sopportato una dura prigionia di quasi 5 anni, ed avevamo dovuto attendere 7 anni per coronare il nostro sogno d’amore: avevamo addirittura programmato di sposarci nel 1939, ma, “la guerra certa”…, ci aveva consigliato di attendere, anche sapendo come io intendevo parteciparvi. Era certamente un grosso, grosso problema da affrontare e risolvere.
Alla fine inventammo che mi si offriva l’occasione di andare a montare e collaudare una centrale Diesel Elettrica nell’isola di Cipro, in quel di Limasol: tempo previsto 3 mesi, che non rappresentavano certamente un’eternità, né la fine del mondo.
Per il problema della corrispondenza, concordammo che la mia venisse inviata “via diplomatica” all’Ambasciata di Israele a Roma, da dove sarebbe stata inoltrata, come posta normale, all’indirizzo di Milano. La posta di mia moglie a me diretta, sarebbe stata inviata ad un indirizzo concordato a Roma e da qui via diplomatica mi raggiungeva per dove io fossi.
Stabilito l’accordo, raggiunsi Milano, presi immediatamente contatto con il Signor Ephraim Ilin, un israeliano di origine russa, un essere straordinario, un uomo d’affari che trattava di tutto con molto successo, ma in specie importazioni di lane e cotone, tanto necessarie all’industria laniera e cotoniera italiane, che erano state all’asciutto per tutto il periodo di guerra. La sua fortuna era iniziata con l’acquisto, appena finita la guerra, di tutto il cotone disponibile in Egitto.
Per il trasporto aveva acquistato, o affittato, quanti vascelli aveva potuto ricuperare tra quei rottami che erano in Grecia, e che certamente non garantivano l’arrivo ai porti italiani. Fu fortunatissimo! Il cotone arrivò! Ilin era un multilingue; sul suo tavolo, più che scrittoio, vi erano almeno 4 telefoni sui quali arrivavano chiamate da tutte le parti del mondo: era divertentissimo vedere questo uomo cambiare immediatamente da una lingua ad un’altra.
Inoltre, Ilin era un artista, sensibile ad ogni cosa bella; aveva anche acquistato dalla CABI Cattaneo di Milano 6 MTM (Motoscafi turismo Modificati) residuati di guerra, da donare al suo paese per iniziare l’avventura dei mezzi d’assalto per quella marina.
Naturalmente conoscevo molto bene anche l’Ing. Guido Cattaneo, (campione mondiale di motonautica, e “recordman” di velocità sull’acqua col suo motoscafo “Asso”), titolare della Cabi-Cattaneo e progettista dei mezzi d’assalto della M.M. italiana: gli MT, e MTM che furono voluti e decisi insieme dall’Ammiraglio Aimone di Savoia, Com.te in Capo Alto Tirreno (La Spezia), e dal Com.te della 1a Flottiglia MAS La Spezia, Capitano di Fregata Aloisi.
Tutti i mezzi furono da me controllati e collaudati all’Idroscalo di Milano; poi imballati e spediti in Israele.
Per il mio trasferimento, onde evitare le lungaggini burocratiche per il passaporto, si figurò che io fossi “One Displaced person”, un ebreo proveniente dalla Romania che, attraverso l’Italia, doveva raggiungere Israele, la terra promessa.
Per l’occasione, il mio nome era cambiato in “Mister Katz”. Non ci volle che qualche giorno per preparare tutte le carte necessarie ed i relativi visti.
Raggiunsi Haifa, via aerea, ove all’aeroporto ero atteso da un certo Moshe’ Robinovich, un ragazzo capace di esprimersi in un italiano alquanto approssimato.
Era un pomeriggio del giugno 1948, e subito fui condotto nella parte alta di Haifa, sul “Carmel”. Si era nel periodo della guerra calda, caldissima, ma, la gente era felice, cantava, ballava, gioiva: era il mondo che invano avevo sempre sognato per l’Italia. E, tanto stavo male in questo nostro Paese, tanto mi sentii felice laggiù fra quella gente semplice.
Fin dal primo momento, mi sentii di amare quella terra e fin dal primo incontro, mi sentii veramente uno di loro, un “sabra”, uno che aveva sempre sognato di essere così.
Fui sistemato in un albergo, come tutti i consiglieri militari ed esperti stranieri; ma quella sistemazione non mi si addiceva: volevo essere in mezzo alla gente vera!
Preferii essere ospite del Signor Yossy Hamburgher, che era anche Aiutante di Bandiera del Presidente Dr. Weizman. Poi fui presentato ai ragazzi che avrebbero costituito il 1° gruppo mezzi d’assalto della marina Israeliana.
Combattenti entusiasti, dallo spirito meraviglioso, pronti ad ogni sacrificio e alle scomodità che la guerra e la situazione impone. Solo io, potevo comprendere, gustare e partecipare alla gioia che loro derivava da quella completa dedizione alla Patria.
Dopo i primi convenevoli, si tolsero i mezzi dalle casse; si cominciò a studiare come sistemare i mezzi a bordo delle unità avvicinatrici.
La Marina Israeliana disponeva di 2/3 corvette improprie, derivate da vecchie unità non belliche, trasformate ed armate.
I comandanti delle unità erano israeliani che avevano servito nella Marina Inglese durante la II guerra mondiale, perciò, affidabili sotto ogni aspetto. Ciò nonostante, erano restii, ed avevano ragioni da vendere, ad accettare in coperta mezzi (da 4 a 6 M.T.) carichi ciascuno di 330 Kg di altissimo esplosivo. Comunque, proseguimmo nella preparazione dei Battelli avvicinatori, sistemando gru elettriche ed altro, idonei a sollevare i barchini, e metterli fuoribordo per lo sganciamento e messa in mare e, naturalmente anche per la rimessa a bordo dal mare.
Facemmo prove pratiche, che risultarono più che soddisfacenti: solo qualche minuto per mettere tutti i mezzi in mare.
Dopo la sistemazione delle unità trasportatrici, si doveva passare alla parte istruttiva vera e propria, cominciando dalla perfetta conoscenza dei mezzi, del metodo d’uso, della tecnica operativa e d’impiego.
Il gruppo era formato di 12 di questi meravigliosi ragazzi, e vale la pena ripetere che tutti erano giovani entusiasti, combattenti di ogni categoria, di ogni provenienza, di ogni estrazione sociale, le cui origini appartenevano a tante nazionalità, anche se prevaleva quella russa: tutti si sentivano privilegiati di appartenere a quel gruppo speciale in formazione.
Erano tutti legati da una profonda vera amicizia, maturata nella formazione della “Palmach” e nella vita dei Kibutz, da dove era nata la vera strategia per la costruzione dello stato. I capi politici, i generali delle FF.AA., erano, con poche eccezioni, provenienti proprio da quei Kibutz, creati secondo un chiaro preciso piano strategico.
Quei ragazzi, vivendo fianco a fianco con quei duri combattenti, avevano acquisito cultura e personalità, e conoscendosi l’un l’altro, ne venivano fuori le valutazioni naturali di ciascuno e la creazione dei “Leaders” per elezione naturale, che non avevano bisogno di segni o gradi per avvalorare la posizione di diritto al comando.
Erano capi carismatici, trascinatori.
All’inizio il nostro gruppo non aveva un capo vero e proprio, ma non dovemmo attendere molto. Un giovane di poco oltre la ventina, che aveva lasciati gli studi per la lotta, che aveva fatto tutta la trafila di cui sopra, che era stato uno dei protagonisti sul mare per il trasporto degli immigranti europei contro il veto degli inglesi, che era stato il maggiore protagonista nella cruenta lotta antiaraba ed antinglese per la liberazione del Porto di Haifa, che aveva combattuto sul fronte di Gerusalemme, dove fu gravemente ferito, tanto da dover essere abbandonato alla sua sorte, essendo incapace di muoversi con i propri mezzi; dove, conscio del pericolo che correva, imponeva al suo compagno di mettersi in salvo, lasciando a lui solo la rivoltella, con la quale avrebbe potuto uccidersi prima di essere catturato dal nemico. Gli andò bene, perché poi, fu soccorso da altri compagni e ricoverato in ospedale.
Quando ancora claudicante fu dimesso, seppe che in quella di Cesarea ed Atlit, c’era un pazzo, un certo italiano, con cose nuove: quella specie di pazzo ero io mentre le cose nuove erano i barchini!
Quel giovane era Yohay Fisher, poi Yohay Ben Nun. Venne a noi ed assunse la “leadership” del gruppo degli assaltatori della M.M. israeliana. Lascio al lettore immaginare quanto fu facile intendersi e lavorare proficuamente tra due persone che mai nella vita, avevano detto “armiamoci e partite”, e, mai avevano chiesto agli altri più di quanto erano usi chiedere a se stessi.
In quel di Cesarea, tra quei ruderi dell’epoca romana, in allenamento duro e continuo, c’era un altro grande combattente: Yossele Huber, poi meglio conosciuto come Yossele Dror, nuotatore, sommozzatore, guastatore assaltatore instancabile; nessuno era, più di lui portato ad osare. Anche in Italia, a Bari, aveva fatto saltare in aria una nave che portava armi agli arabi. Fu anche arrestato, quando progettava di far saltare in aria 2 MAS che i cantieri Baglietto di Varazze costruivano per i suoi nemici egiziani. Era instancabile e più di ogni altra cosa, amava il rischio!
Yohay e Yossele, naturalmente, erano più che amici, fratelli di ventura. A suo tempo torneremo ancora su Yossele Dror.
Cominciammo subito con le esercitazioni tecniche, ed i vari problemi che il gruppo doveva risolvere prima di pensare al caso di una eventuale azione. Le lezioni avvenivano in inglese, con traduzione simultanea di Yohay.
Avrebbero desiderato che io imparassi la loro lingua; mi rifiutai di spendere il mio tempo nell’imparare una lingua che qualificavo barbara, perché andava da destra verso sinistra e dall’alto verso il basso come per chi scrive, con scalpello e martello, sulla roccia o sul marmo. Non volevo imparare una lingua che mi portava indietro di oltre 2000 anni. Dicevo, prima cambiate nella nostra maniera, poi… vedremo.
Su queste cose e queste dispute, ci facevamo un mondo di risate.
Per la storia della Xa MAS italiana nella seconda guerra mondiale 1940-1945, gli operatori in azione non avevano altra alternativa che “la morte o la prigionia”.
Anche noi avevamo abbordato questo problema, specie quando il gruppo era ad Augusta con l’obiettivo di attaccare Malta. Si era nella seconda metà del 1940 e ne sentimmo maggiormente il peso, quando il comando della flottiglia fu nelle mani del Com.te Moccagatta che, nuovo del gruppo, non riusciva a capire la differenza di spirito e d’umore che regnava a La Spezia e ad Augusta. La sua calata ad Augusta, ai primi di ottobre 1940, si concluse rapidamente con un:
“Signori, io sono il Comandante, e vi mando a morire, quando mi pare, dove mi pare, come mi pare!” E… ci salutò! E credetemi, Moccagatta era veramente un bravo, coraggioso comandante, che tanto a cuore aveva la sorte dei suoi ragazzi. Ma il dovere è dovere, e va compiuto fino in fondo, e con la massima intransigenza, costi quel che costi!
Una situazione come questa non era assolutamente possibile per gli israeliani perché avrebbe significato che rimaneva solo l’alternativa della morte: morte per causa di guerra, o ammazzati per odio.
Si doveva escogitare obbligatoriamente un’alternativa attraverso la quale tentare, ad azione compiuta, di individuare l’operatore, ripescarlo, riportarlo indietro.
La soluzione del problema era senza dubbio difficile, perché l’operatore si sarebbe trovato in mezzo ai marinai nemici, naufraghi della nave colpita e forse affondata.
A tale scopo, Yohay si circondò di tanti amici di cultura ed esperienza diversa: tra tutti spiccava un ragazzo ritenuto un genio, risolutore di tanti problemi e capace di qualche diavoleria o invenzione. Il suo nome era Uzi Sharon.
Ne venne fuori un piano di operazioni che prevedeva l’impiego di 4 o più mezzi, di cui uno disarmato e scoperchiato, con due operatori: un pilota che governava il mezzo, ed un osservatore munito di binocolo notturno a raggi infrarossi – che aveva il compito di individuare gli uomini da ripescare ed indirizzare opportunamente il pilota.
Gli assaltatori vestivano la solita tuta impermeabile portata da noi italiani, ed inoltre venivano forniti di una specie di elmetto con applicata una lampadina a raggi infrarossi, che era ciò che si sarebbe cercato! Si fecero delle prove che diedero un risultato positivo, nella speranza che ciò avvenisse anche in azione di guerra.
Nel frattempo, ed anche in concomitanza con la teoria, si passò all’esercitazione pratica per acquisire sia l’esatta tecnica di lancio contro l’unità nemica, che la padronanza del mezzo.
Per l’esercitazione pratica, il mare Mediterraneo, non era affidabile né consigliabile.
Si preferì trasferire il gruppo nel mare di Galilea, o lago Kineret, nella cittadina di Tiberias, in un punto idoneo alle nostre operazioni, che venne recintato per motivi di sicurezza.
Il lago si trova a 190 metri sotto il livello del mare. Il convoglio, con tutti i mezzi, le attrezzature e gli uomini tutti, prese il via dalle spiagge del Mediterraneo, ma, quando apparve il Kirenet, giù in basso, come una conca verde, ricca di frutti della terra e del lago, facemmo una breve sosta; ripresa la discesa, quando arrivammo alla linea azzurra, che sulla terra segna il livello del mare, ci fermammo ancora: fu quando uno dei ragazzi venne a me, e con gioia volle mostrarmi la bellezza infinita di quella natura che era davanti a noi. Così egli esordì: Mr. Capriotti Look at!, ma il signor Capriotti rimase impassibile, dal suo viso non apparve nessun segno che denotasse meraviglia, commozione ed esaltazione, alla stessa maniera del suo interlocutore, che ci rimase molto male. Era certo che io fossi un uomo duro, ma non avrebbe mai immaginato in me tanta insensibilità: ero un essere arido. Riprendemmo la marcia verso il lago che diventava il nostro teatro.
Ci sistemammo in un piacevole alberghetto, e gli ultimi due posti, come di consueto furono assegnati a Yoahy e me, perché meno confortevoli, e per quanto mi riguardava non sapevo nemmeno dove mettere i miei vestiti. Ma ciò contava poco, anzi nulla!
Gli allenamenti furono intensivi con navigazione diurna e notturna, in formazione o secondo altri schemi dipendenti dal tema da svolgere: passaggio di ostruzioni, e lanci per controllare se e come il mezzo correva veloce e diritto sul bersaglio scelto per l’occasione. Vedere l’entusiasmo di quei ragazzi, in formazione stretta a tutta velocità, tenendosi per mano, e mantenendo rigidamente la distanza tra un mezzo e l’altro!
Per gli attacchi sul fronte ovest del lago (Tiberias), ci si portava presso il Kibutz situato sull’altra sponda (in Siria); svolgevamo temi di navigazione, cambio formazione e con attacco finale in massa: naturalmente le esercitazioni diurne servivano ad acquisire la padronanza dei mezzi e la conoscenza della tecnica operativa – mentre le notturne rappresentavano l’azione a cui sarebbero stati chiamati in caso di operazione vera e propria contro il nemico.
Nel gruppo c’era solo entusiasmo, voglia di lavorare, apprendere e prepararsi sognando il nemico.
Io ero considerato uno di loro, il fratello maggiore, che passavo loro il testimone dell’ardimento al servizio del Paese. E, una volta si presero una libertà che mai avrei immaginato: in genere nelle esercitazioni diurne io, per osservare meglio l’esecuzione dei temi programmati, mi tenevo in piedi su un mezzo, che per semplicità chiamiamo Comando, tenendomi in equilibrio con una corda legata al gancio di sollevamento di prora; durante un attacco a tutta forza nella direzione di Tiberias, quando fummo vicino al punto di lancio, tutti, fecero una accostata ad un tempo a novanta gradi, e… il Mister Capriotti volò in acqua per la tangente! Tutto finì con una grande risata, false scuse ed una festosa bicchierata.
Un giorno, Abraham Zaccai, che teneva i collegamenti con il Primo Ministro Ben Gurion (B.G.) di cui mi sembra fosse anche parente, mi disse che B.G. aveva espresso l’intenzione di venire a trovarci in quel di Tiberias. Me ne mostrai felice, entusiasta! Ma, se ti domandasse la tua idea politica cosa risponderesti? Naturalmente direi che sono Fascista! Fece un salto all’indietro come spaventato. Io di rimando lo rassicurai: Abraham, non preoccuparti perché “Lui”, B.G. è “Fascista” esattamente come me; egli, per Israele, vuole esattamente quello che io voglio ed ho sempre voluto per l’Italia e che può essere definito in maniera semplice, come segue: -Tutto per l’Italia; nulla contro l’Italia; tutto in un’Italia sempre più grande ed Augusta! – Non ti sembra che è esattamente quello, e quanto B. G. sogna e vuole per Israele?
Inoltre, si dava il caso che pochi giorni prima, B.G., convocati tutti gli Ufficiali Superiori di tutte le Armi, avesse posto loro una domandina semplice semplice, facile facile: Come giudicavano l’attuale situazione militare d’Israele; i prevedibili sviluppi ed i compiti da assolvere.
Non ci fu uno, nemmeno uno solo che seppe rispondere, alla domandina semplice e facile, nei modi e termini desiderati da B. G. Tutti si lamentarono della inadeguatezza dei Mezzi di difesa di cui disponevano, specie in considerazione della grande sproporzione tra gli 80 milioni di nemici e gli appena 3 milioni di israeliani.
B. G. non rispose alla stessa maniera del Comandante Moccagatta, quando venne a trovarci ad Augusta ai primi di ottobre 1940, ma esordì all’incirca così: Signori, non avete capito proprio nulla! Ficcatevi bene in testa che la guerra non la farò mai sul nostro territorio, ma solo su quello del nemico: questo è il “tema”, a voi studiarlo e risolverlo chiedendo quanto necessario perché certa, certissima sia la vittoria.
Completato l’addestramento, si riformò la colonna, e come baldanzosamente eravamo discesi sul Kineret, così riprendemmo la strada che ci riportava sulla costa mediterranea. Questa volta non più sulla spiaggia di Atlit o, fra i ruderi di Cesarea, ma a Jaffa, cittadina araba con un discreto porticciolo, facilitazioni per il ricovero dei mezzi, e una bella villa appartenuta a qualche ricco arabo fuggito, per la sistemazione di tutto il gruppo.
Naturalmente i mezzi erano tenuti in condizioni più che perfette: mancavano solo della parte esplosiva, a proposito della quale un giorno, Johai ed io, prendemmo due barilotti carichi di esplosivo, una mitragliatrice pesante e ci portammo su una spiaggia deserta.
Volevamo constatare gli effetti che potevano verificarsi nel caso di reazione nemica, su un barchino colpito con colpi di cannone o di mitraglia.
Portavamo con noi due caricatori, uno normale con pallottole traccianti al fosforo, e uno senza.
Iniziammo con il caricatore a proiettili perforanti: i barilotti furono sforacchiati e null’altro accadde; proseguimmo con l’altro caricatore e qui si ebbe l’effetto temuto: le cariche colpite dalle traccianti, saltavano in aria con una forte fiammata e deflagrazione.
Ne deducemmo che per il pilota il pericolo maggiore era rappresentato non dai proiettili di cannone ma dalle traccianti delle mitragliatrici. Il risultato ce lo tenemmo solo per noi.
“In quell’occasione la mia mente tornò alla notte del 26.07.1941, all’attacco dei Mezzi di Assalto di Malta 2, e precisamente ad un eguale fenomeno accaduto allora.
Uno dei mezzi, quello di Follieri, colpito negli organi di governo, fu lanciato dal suo pilota e andò a finire sotto il Forte Sant’Elmo, e lì esplose in quella stessa maniera.
In quell’occasione udimmo anche un fortissimo “hurrà” da parte dei colpitori. Anche se gli inglesi si attribuirono almeno 4 mezzi colpiti e distrutti, fu l’unico, il solo MTM colpito e distrutto dagli inglesi in quella prima reazione, in quella rabbiosa risposta con tutte le armi e i mezzi di cui disponevano, tanto da creare quella scena apocalittica nella quale ci venimmo a trovare”.
Intanto, l’Intelligence Service israeliano aveva avvertito che qualche cosa era in preparazione da parte egiziana, specie qualche grossa operazione per il rifornimento delle truppe accerchiate a Gaza; le flotte dei due paesi in guerra non riuscivano ad entrare in contatto perché, quella egiziana, cercava sempre di sottrarsi: ciò a significare che l’operazione più importante da compiere era occulta, da intuire.
Venne l’ordine di armare i mezzi e prepararli per l’azione il più rapidamente possibile.
I mezzi fin dal loro arrivo erano tenuti disinnescati, inermi.
Non c’erano artificieri tra noi: me ne assunse la responsabilità tecnica e scientifica. Lavorammo fianco a fianco per alcuni giorni e notti senza interruzione, caricando esplosivi e sistemando gli inneschi, che rappresentavano il maggior pericolo, data la grande sensibilità dei componenti – specie, nelle precarie ed improvvisate condizioni nelle quali operavamo, con l’aggiunta della tensione e della stanchezza.
Finalmente il 22 ottobre pomeriggio tutto fu pronto, e tutto OK.,
I mezzi furono imbarcati a bordo della nave avvicinatrice: da quel momento tutto era pronto per l’attacco.
Io, che a bordo avevo curato tutti i particolari, in cuor mio pensavo, mi auguravo, anzi ero sicuro che sarei sceso in mare con i ragazzi, magari sul mezzo di ripescaggio dei piloti ad azione compiuta.
Ma ecco che, pochi istanti prima di levare le ancore, Yohay venne da me dicendo che non poteva prendersi la responsabilità di includere un cittadino straniero, in una azione di guerra, guerra totale che era solo israeliana; mi sentii umiliato e malgrado la ribellione non potevo non attenermi a quanto richiesto. Scesi a terra pieno di rabbia e rancore, e tornato nell’alloggio mi chiusi in un triste silenzio: ne piansi!
Alle 2 del mattino del 23 Ottobre venne a svegliarmi Yossy Hamburger, per portarmi a bordo dell’unità che aveva imbarcati i mezzi il giorno prima; tutto si svolse senza nemmeno uno scambio di parole, tanto ero inverso, ma, a bordo i mezzi non c’erano più. Ansiosamente cercai di capire. Nessuno degli operatori era presente e mille congetture si formarono all’istante nella mia mente. Dove sono! Cosa è accaduto! Dove sono! Era quello che riuscivo a dire! Alla fine Yossy mi disse che Yohay e i ragazzi erano andati a rapporto da Ben Gurion, l’artefice di tutto, Colui che aveva dato l’ordine: attaccate!
Quando tutti e 5 si presentarono da me, nel tardo pomeriggio, tutti allineati e sull’attenti, Yohay si espresse: tutto come in esercitazione! Era il rapporto sull’Azione di Gaza, con l’affondamento della nave ammiraglia egiziana El Emir Farouk e di uno spazzamine – operazione che liberò Israele dalla pressione dal mare che, come per i Romani, diventava “mare nostrum” per gli israeliani.
Da Joseph Birman, ci giunge la mappa che rappresenta l’esecuzione dell’azione di Gaza del 22.10.1948.
“Ho tradotto in inglese il testo ebraico della mappa. Seguite i passi in entrambe: mappa e
testi tradotti”
- Un commando di 4 barchini muove in formazione dalla nave avvicinatrice, al punto d‘attacco:
- 2 Punto d‘attacco.
- 3 Zalma Abramov lancia il suo mezzo e salta in acqua: lancio da manuale.
- 4–5 Vardy, sbaglia l‘attacco, lo ripete e colpisce la EI Emir Farouk verso prora [FC.].
6–7–8 Il mezzo di recupero, dove sono Itzik, Brookman e Jankalè Ritov, ripesca prima Yohay, - poi gli altri due e si ritira sulla nave avvicinatrice.
Storica:Durante un gala party, dato prima della mia partenza per Roma, al Ben Yeuda Hotel di Haifa, nel ringraziare, aggiunsi anche … Sappiate che questo giorno, il 22mo di ottobre, è nata una nuova Marina, e rappresenta la pietra miliare per il suo sviluppo. Il 22 ottobre deve essere il Navy Day della Marina Israeliana. Una profezia? Così fu! Così è!
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