Diario di un fascista alla corte di Gerusalemme (XII e ultima puntata)
AL AMNON YONA
Nel pomeriggio del nuovo giorno, mi condussero ad un raduno che si teneva in una specie di “Palacongressi”, al “Amnon Yona” di Tel Aviv.
Seppi trattarsi di raduno Pal’Mach, solo all’ingresso, quando dei ragazzi addetti all’organizzazione mi diedero non uno, ma due simboli del Pal’Mach; un’organizzazione volontaria di “compagnie d’attacco, o d’assalto”, nata nel 1941/42, su iniziativa di un ex colonnello russo, Itzahak Sadek.
I successi subito ottenuti, ne consigliarono la diversificazione: nacquero così anche piccole unità aeree ed il Pal’Yam quale gruppo navale.
All’inizio, il Pal’Yam era solo gruppo di nuotatori d’assalto, non avendo mezzi di superficie, nè risorse finanziarie per procurarsi l’equipaggiamento.
In quel tempo lontano, la cosa più importante era la formazione di uno spirito indomabile, che il fondatore del Pal’Mach sapeva infondere in quei volontari dell’ardimento. Quanta poesia, quanta volontà e determinazione in quei ragazzi del 1942, che completati gli studi liceali, optarono per la lotta armata, che certamente ci sarebbe stata, e per la quale volevano essere ben preparati.
E pensare che quei periodici corsi di addestramento militare, ciascuno della durata di 15 giorni, quei ragazzi lo pagavano anticipatamente con altri 15 giorni di duro lavoro: Yohay, Yossele, Izi… e tanti, tanti altri fecero quella scelta, dura e faticosa.
E quei ragazzi, tanto diedero contro l’opposizione inglese, nella lotta per l’emigrazione clandestina, specie per portare gli ebrei europei verso la Palestina; e quanto ancora furono capaci di dare nel 1948, alla creazione dello Stato d’Israele; e, quanto in tutta la loro vita!
Quella sera, Al Amnon Yona, erano in tanti gli anziani appartenenti a quella organizzazione del 1942 del Sadeh, ma più di tutto c’era lo spirito di quei ragazzi del tempo lontano.
Era la nazione Israele, che ne aveva sentito la necessità, dopo 50 anni di guerra; un troppo lungo periodo che stanca, che fiacca anche i più forti.
Era la nazione Israele, che ricorreva allo spirito di quei tempi lontani, per ritrovarsi, rinfrancarsi, per credere in quel futuro che quei ragazzi del Pal’Mach avevano sognato.
Naturalmente mi sistemarono sulla prima fila, davanti al palcoscenico. Ad un certo momento, poco prima dell’inizio dello spettacolo, vidi due ragazze in divisa, parlottare con i miei accompagnatori; al momento non ci feci caso.
Poi i discorsi, che furono pochi, pochissimi: il sindaco di Tel Aviv; ed il Presidente dello Stato d’Israele, che ci lasciò dopo non molto, e naturalmente il conduttore della manifestazione, che fu bellissima con canzoni, balli, sketches, favole (…).
Rimasi molto sorpreso, quando verso la fine della rappresentazione di quel raduno, il conduttore, in un discorso di presentazione, pronunciò il mio nome: non so cosa disse, ma l’assemblea proruppe in un fragoroso applauso. Non mi domandai la ragione, perché nulla avevo capito del discorso in ebraico del conduttore, né ebbi tempo di domandarmelo, perché i ragazzi mi portarono al centro dello schieramento. Ed, ecco ancora quelle due ragazze in divisa con un grosso mazzo di fiori, che spiegò senza parole, il parlottare al quale non avevo fatto molto caso.
Fu un tripudio interminabile di applausi, con gente in piedi acclamante. E poi, il bacio! … che bacio! … ed io confuso e profondamente commosso, incapace di profferire parola, ringraziai tutti col gesto del mazzo di fiori e lanciando baci verso il pubblico e tutti! Grazie!
“Molte volte, torno con la mente a quel cinquantesimo anniversario dell’azione di Gaza ed a quella serata celebrativa della rifondazione del Pal’Mach al “Amnon Yona” e, mi viene da pensare a quanto l’Italia, noi, abbiamo bisogno di rifondare lo spirito di un tempo lontano, quando tanti ragazzi, volontari, accorsero per combattere senza limite al rischio, a difesa della Patria, che sognavano grande ed augusta.
Erano i ragazzi della Xa MAS, degli alpini, dei paracadutisti, dei bersaglieri, degli arditi, tutti…
Per tutti quei ragazzi di allora, “non era importante la vita; importante era ciò che si fa della vita”; per loro, la vita donata alla Patria è sempre ben spesa, perché la Patria significava il nostro villaggio, il nostro paese, la nostra regione, la nazione, la nostra famiglia, la nostra bandiera, l’Italia, noi!
E, solo Iddio sa quanto l’Italia ha bisogno di rifondare, ed il più presto possibile, quello spirito di quei ragazzi di tanto tempo fa: dover riscattare non l’aver perduto una guerra, ma quella sconfitta disonorevole dell’8 settembre 1943. A nulla vale festeggiare la “Vittoria Alleata” del 25 aprile 1945, illudendosi di poterla contrabbandare come “Nostra vittoria per la libertà!”
Come si fa a non credere ai vincitori alleati, quando sprezzanti ed insolenti ci buttano in faccia che “quella tal cosa, le loro flotte non l’avrebbero mai fatta?”.
Come si fa a non essere d’accordo con Benedetto Croce, quando afferma che: una guerra si può anche perdere, l’onore mai?
Più che sconfitti, fummo vilipesi, con il concorso di tanti italiani. E, solo Iddio sa quanto sarà difficile e duro quel riscatto, per i nostri nipoti.
E, Iddio voglia che ne siano capaci, perché l’Italia imperitura torni a vivere guardando verso il cielo, ringraziando il Signore.
Ripercorrendo a ritroso queste pagine di diario, si rivivono con emozione periodi esaltanti di un rapporto affettuoso, unico, irripetibile, tra quel “fascista”, che impacchettato con i Mezzi d’Assalto ex italiani, arrivò in Israele, nel giugno 1948, per vivere quella meravigliosa avventura con la Marina Israeliana ed il Popolo d’Israele.
Fu amore a prima vista, prepotentemente sbocciato come mise piede in quella Terra Santa, ed affettuosamente ricambiato tanto da essere considerato uno di loro. Con la conoscenza di quel popolo, ho imparato ad amarlo, ad amare quella terra come fosse la mia seconda Patria, ed alle volte anche di più; e in quel tempo tanto stavo male in Italia, e tanta gioia e felicità trovai, e provai, tra quella gente semplice e leale.
È come una meravigliosa “favola”, di quelle che si raccontano ai bambini: “C’era una volta… un mister Capriotti” (…). A ripensarci, il cuore si gonfia di felicità ed il mio pensiero vola laggiù riconoscente.
DEAR FRIEND MR. FIORENZO CAPRIOTTI,
IN MEMORY OF YOUR VISIT TO THE 13TH FLOTILA
AND THE CELEBRATION IN YOUR HONOUR IN HAIF A
ON THE 22ND JAN. 2002
AND TO THE 50TH UNIVERSARY OF YOUR WEDDING
THAT YOU ATTENDED ON THE 11TH DEC. 1951
WITH DEEPEST APPRECIATION
LEA AND SHRAGA ERED
Commenti recenti