Diario di un fascista alla corte di Gerusalemme (prima puntata)
Fiorenzo Capriotti
Tra la “Mia Decima” dello stesso autore e questo libro, c’è un legame stretto, strettissimo. Nelle Azioni d’Assalto, questo è la naturale e perfetta continuità dell’altro.
Gli sviluppi post-azioni sono perfettamente conseguenti e paralleli, ma di segno opposto, nel senso che:
- Nella “Mia Decima” gli ultimi 50 anni non sono altro che “un travagliato rapporto” con la M.M. Italiana, o meglio, con la Burocrazia della M.M., vissuto con tanta tristezza, umiliazioni e rabbia.
- Gli ultimi 50 anni di questo libro sono la testimonianza di apprezzamento, affetto, riconoscimenti infiniti, vissuti con gioia e felicità.
“Nemo Profeta in Patria”
Sommario
9 Premessa
13 Assemblea Costituente
17 Verso Israele
32 Verso l’Italia e l’inizio della costruzione della nuova marina
41 La nuova marina di Israele
46 That’s is your life
61 Verso lo stato
65 40° Anniversario dell’Indipendenza
82 E la vita continua
87 22 Ottobre 1992. Anniversario dell’azione di Gaza
108 La fine di “Yohay Ben Nun”
112 Yohay
118 La porta di Sion
123 Verso i 50mi Anniversari
126 50mo Anniversario Indipendenza
129 50° Anniversario della notte di Gaza
139 Al Museo Navale
143 Al Amnon Yona
ABBREVIAZIONI
All. Allievo, Allegato
A.N. Armi Navali
A.N.C.R. Ass. Naz. Combattenti e Reduci
Bgt. Battaglione
C.A. Contrammiraglio
C.C. Capitano di Corvetta
C.F. Capitano di Fregata
C.T. Caccia Torpediniere
C.V. Capitano di Vascello
C.E.M.M. Corpo Equipaggio Marittimo
Comp. Compagnia
Cpl. Complemento
C.S. Corpi Speciali
C.S.M. Capo Stato Maggiore
C.V.M. Croce di Guerra al Valor Militare
D.M. Direttore Macchina
G.M. Guardia Marina
I.G.P. Istruzione Generale Professionale
M.A.V.M. Medaglia d’Argento al Valor Militare
M.A.S. Motoscafi Anti Sommergibili
M.B.V.M. Medaglia di Bronzo al Valor Militare
M.O.V.M. Medaglia d’Oro al Valor Militare
M.T. Motoscafo Turismo (noto anche come barchino)
M.T.M. Motoscafo Turismo Modificato
M.T.S. Motoscafo Turismo Silurante
O.M.S. Ordine Militare di Savoia
O.M.I. Ordine Militare d’Italia
Pal. Palombaro
P.O.W. Prisoner Of War (anche P.W.) Prigioniero di guerra
R.S.I. Repubblica Sociale Italiana
Se. Sottocapo
S.M. Stato Maggiore
S.T. Servizi Tecnici
S.T.V. Sottotenente di Vascello
S.L.C. Siluro a Lenta Corsa (noto anche come maiale)
Smg. Sommergibile
SPE Servizio Permanente Effettivo
t.s.l. Tonnellate stazza lorda
t.s.n. Tonnellate stazza netta
T.V. Tenente di Vascello
Xa MAS Decima Flottiglia MAS
2° Capo Secondo Capo
Premessa
Durante il “Ventennio”, fui sempre e soltanto un italiano, orgoglioso di essere tale e sempre pronto a difendere i nostri interessi. Mai indossai “orbace” o, “divisa politica”, e come tutti gli italiani (pochissimi, o addirittura inesistenti i contrari), plaudii alla conquista dell’Impero, del posto al sole, sperando bene per il lavoro delle nostre genti.
Alla massa sfuggì l’importanza di quell’evento che significava anche la data vera e certa, della nostra entrata in guerra contro Francia ed Inghilterra; sfuggì anche il significato dell’invettiva di Apellius: “Dio stramaledica gli inglesi!”
Fin dal 1938, sentivo che non ci poteva essere alternativa alla guerra, quale conseguenza della Pace mai raggiunta dal 1918, dalla cessazione delle ostilità; Pace alla quale aspiravano tutti, anche i popoli sconfitti, specie la Germania: Hitler ne rappresentava il vero frutto maturo.
Il 10 giugno 1940, alla nostra dichiarazione di guerra, tutto il popolo italiano plaudente, (non io), scese in piazza invocando Nizza, Savoia, Malta!
A quella data io ero già volontario ai mezzi d’assalto della Marina Militare, pronto, anelante al cimento per servire la Patria senza riserve e senza limiti al rischio: partecipai all’Azione di Suda del 26 marzo 1941; partecipai all’assalto contro Malta del 26 luglio 1941, ove caddi prigioniero degli inglesi.
Nessuno riuscirà mai a spiegare come potessi sopravvivere, quando a giorno fatto, i tre Forti (S. Elmo, Ricasoli, Tigne), scaricarono la rabbia di tutte le loro armi contro un unico bersaglio: il mio barchino e me.
Nessuno potrà mai spiegare come io fossi uscito vivo dall’esplosione, a poche decine di metri, di due cariche di barchino, ciascuna di 330 Kg. di T.N.T., e di cui ebbi a soffrire la concussione, con le conseguenze sempre più visibili sul mio corpo.
La mia prigionia fu dura, durissima, sempre spesa con intransigenza a sostenere la causa italiana e il diritto dei P.O.W, secondo lo spirito e la lettera della “Convenzione di Ginevra”, che obbliga il detentore a considerare e trattare il prigioniero di guerra, sempre e soltanto come un “Combattente”, anche se sfortunato. Mi è costata cara, ma non me ne pento! Ho pagato sempre e solo io, e ne sono orgoglioso!
Il periodo di prigionia in Inghilterra fu dignitoso e sopportabile, c’era anche la fame, ma che ne potevano gli Inglesi, se non ne avevano nemmeno per loro? A quel tempo c’era in abbondanza solo di quanto Churchill, il Primo Ministro, distribuiva a piene mani: lacrime e sangue.
Poi, dopo Pearl Harbor e l’entrata in guerra, l’America richiese a Londra un migliaio di prigionieri italiani, per istruire lo “staff” destinato a governare i prigionieri che inevitabilmente, come accade sempre in tutte le guerre, sarebbero cadute in sue mani.
Io sono certo, anzi certissimo, che l’Inghilterra fu felice di adempiere a quella richiesta, non consentita da alcun codice Militare e morale, ancor meno dalla Convenzione di Ginevra, perché la liberava di tutti quei prigionieri difficili, specie di quelli del “Campo 17”, classificato “Campo di punizione”, e di cui io ero lo “Spokesman”.
Così accadde che, verso la fine del 1942, prendemmo imbarco sul “Queen Elisabeth”, un transatlantico di 92.000 tonnellate. Gli inglesi, presi dal timore che io, appellandomi alla “Convenzione di Ginevra”, che lo proibiva, mi opponessi a quel trasferimento, mi segregarono in prigione per 3 giorni, senza alcun chiaro motivo: fui l’ultimo imbarcato a bordo, prima di levare le ancore.
Fummo alloggiati sul fondo della nave, con “filo spinato” sui passaggi che conducevano ai “ponti superiori” ove erano stipati gli oltre 20.000 canadesi che tornavano in patria per una licenza di 45 giorni, dopo la sconfitta nel tentativo di sbarco sul continente, a Dieppe.
A bordo, a parte il mal di mare sofferto, specie dai non marinai, ritrovammo la gioia della bistecca, non “alla fiorentina”, ma più pesante, e molte: La “Queen Elisabeth” faceva la spola tra New York e l’Inghilterra, perciò era ben fornita.
Sbarcammo ad Halifax, poi via treno raggiungemmo il campo a noi assegnato, Camp Clark, nel Missouri.
Per alcuni giorni, serviti a tavola da soldati statunitensi, assaporammo con gioia l’opulenta razione americana, che, purtroppo, non durò molto a lungo in quanto poco dopo ci fu ridotta al minimo: i medici ritennero che dovevamo crescere gradualmente, per tornare senza rischi e complicazioni al nostro standard naturale.
Il 25 luglio 1943, con la caduta del fascismo e l’arresto di Mussolini, abbandonai ogni speranza per la vittoria delle nostre armi. Poi arrivò l’8 settembre 1943, per maggior disgrazia mio compleanno, con la “Resa dell’Italia”: avevamo perduto la guerra e con essa i nostri sogni di vittoria. L’Italia perse la guerra; io persi la guerra ma non l’onore! Certamente la guerra qualcuno doveva pur perderla, non è così?
Certamente, così è!
Un giornale americano annunciava la “Resa incondizionata dell’Italia”, con titolo a tutta pagina, a carattere di scatola, ed una vignetta molto significativa: un bidone della spazzatura ove veniva gettata la Bandiera Italiana!
Poi venne la “Flotta Italiana che si arrende” e raggiunge quella alleata a Malta!
Il mio cuore si era fatto piccolo piccolo, e piangeva lacrime di sangue; ma non mi sentii umiliato perché sicuro di avere fatto per intero il mio dovere, e nulla avevo fatto per salvarmi la pelle.
Dopo la “Resa incondizionata dell’Italia” conoscemmo la vera anima della peggiore America: la barbarie, la prepotenza, l’assenza di qualsiasi legge, specie quella morale. Per i prigionieri di guerra italiani, (POW), fu inventato un nuovo codice di comportamento: “Collaborazione”, ossia lavora e mangia. Fame in America con bastonate di contorno; corse infinite ed esposizione al sole tropicale senza mangiare e con aggiunta di insolenze. Naturalmente il trattamento era deliberatamente aggravato, per quelli come me che ritenevano non si dovesse, né si potesse collaborare con detentore, finché esisteva lo “Status di cattività”.
Così l’America rimaneva il nemico, associato a quelli contro i quali avevo combattuto sognando la vittoria dell’Italia. Difatti, invece di consentire il mio rimpatrio come per quelli come me dei Mezzi d’Assalto – la Xa MAS di cui avevo fatto parte –, venni spedito con altri 5000 prigionieri “non collaboratori” nelle Hawaii; e certamente non fu una vacanza con belle ragazze, ghirlande di fiori e danze esotiche!
Dopo la resa, ancora una volta il popolo italiano scese in piazza osannando alla libertà che i vincitori promettevano, specie con l’applicazione del “Diktat”. Ma tutti erano felici! Non c’era più un fascista! Tutti avevano vinto la guerra! Anzi, un fascista c’era ancora: ero io! E solo io avevo perso la guerra!
Rientrato in Italia dalla prigionia nel marzo 1946, non mi presentai in Marina se non quando obbligato con i carabinieri. L’unica cosa che desideravo era di finire la mia carriera militare al reparto al quale avevo appartenuto in guerra: alla X° MAS, o Mariassalto, a cui era passato il testimone della Xa.
É facile immaginare quale potesse essere il mio spirito in quella mia irriconoscibile “Patria” che, specie in guerra, avevo servito con tanto entusiasmo, senza limiti al rischio e sacrificio, ritenendo che per la Patria si potesse anche morire.
Con certezza, presto o tardi, sarei incappato in qualche brutto guaio.
Appena rimesso piede in Italia, divenni “Ispettore Nazionale del Fronte dell’Italiano”; poi, alla fine del 1947, alla costituzione del “Movimento Sociale Italiano” (M.S.I.), fui considerato quale uno dei fondatori, facendo parte del Comitato Centrale del partito fino a quando, nel 1957, compreso che non si voleva quello che intendevo io, me ne andai in silenzio per la mia strada. Ma, quanta amarezza e ribellione c’era in me!
Per dare un’idea della scomparsa della “Dignità Nazionale”, voglio integralmente riportare il Discorso tenuto all’Assemblea Costituente, nel dibattito per la Ratifica del Trattato di Pace, il 24.07.1947, da Benedetto Croce, uomo di grande cultura, sicuramente non fascista, ma solo Italiano.
ASSEMBLEA COSTITUENTE
Dibattito per la Ratifica del Trattato di Pace
Sconfitti, non Pagliacci. 24.07.1947
Croce: Abbiamo perso la guerra: non perdiamo anche l’onore
“Io non pensavo che la sorte mi avrebbe, negli ultimi miei anni, riservato un così trafiggente dolore come questo che provo nel vedermi dinanzi il documento che siamo chiamati ad esaminare, e nell’essere stretto dal dovere di prendere la parola intorno ad esso. Ma il dolore affina e rende più penetrante l’intelletto che cerca nella verità la sola conciliazione nell’interno tumulto passionale.
Noi italiani abbiamo perduto una Guerra, e l’abbiamo perduta tutti, anche coloro che sono morti per l’opposizione a questo regime, consapevoli come eravamo tutti che la Guerra sciagurata, impegnando la nostra Patria, impegnava anche noi, senza eccezioni, noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra Patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte. Ciò e pacifico quanto evidente.
“Sennonché il documento che ci viene presentato non è solo la notificazione di quanto il vincitore, nella sua discrezione o indiscrezione, chiede e prende da noi, ma un giudizio morale e giuridico sull’Italia e la pronuncia di un castigo che essa deve espiare per redimersi e innalzarsi o tornare a quella sfera superiore in cui, a quanto sembra, si trovano coi vincitori gli altri popoli, anche quelli del Continente Nero. E qui mi duole di dovere rammentare cosa troppo ovvia, cioè che la guerra è una legge eterna del mondo, che si attiva di qua e di là da ogni ordinamento giuridico, e che in essa la ragione giuridica si tira indietro lasciando libero il campo ai combattenti, dall’una e dall’altra parte intesi unicamente alla Vittoria, dall’una e dall’altra parte biasimati o considerati traditori se si astengono da cosa alcuna che sia comandata come necessaria o conducente alla Vittoria.”
Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai nostri giorni (bisogna pure avere il coraggio di confessarlo), i tribunali senza alcun fondamento di Legge, che il vincitore ha istituiti per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti, abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, onde un tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni dei loro uomini e se ne chiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e concludendo con ciò la guerra.
Giulio Cesare non mandò innanzi a un tribunale ordinario o straordinario l’eroico Vercingetorige, ma, esercitando vendetta o reputando pericolosa alla potenza di Roma la vita e l’esempio di lui, poiché gli si fu nobilmente arreso, lo trascinò per le strade di Roma, dietro il suo carro trionfale e indi lo fece strozzare nel carcere.
“Si è preso oggi il vezzo, che sarebbe disumano, se non avesse del tristemente ironico, di tentare di calpestare i popoli che hanno perduto una guerra, con l’entrare nelle loro coscienze e col sentenziare sulle loro colpe e pretendere che le riconoscano e promettano di emendarsi: che è tale pretesa che neppure Dio, il quale permette nei suoi ascosi consigli le guerre, rivendicherebbe a sé, perché egli non scruta le azioni dei popoli nell’ufficio che il destino o l’intreccio storico di volta in volta a loro assegna, ma unicamente i cuori e i reni, che non hanno segreti per lui dei singoli individui. Un’infrazione della morale qui indubbiamente accade, ma non da parte dei vinti, sì piuttosto dei vincitori, non dei giudicati, ma degli illegittimi giudici.”
L’Italia, dunque, dovrebbe, compiuta l’espiazione con l’accettazione di questo Dettato, e così purgata e purificata rientrare nella parità di collaborazione con gli altri popoli. Ma, come si può credere che ciò sia possibile se la prima condizione di ciò è che un Popolo serbi la sua dignità e il suo legittimo orgoglio?
Non continuo nel compendiare gli innumerevoli danni ed onte inflitte all’Italia e consegnati in questo documento, perché sono incisi e bruciano nell’anima di tutti gli italiani; e domando se, tornando in voi stessi, da vincitori smoderati a persone ragionevoli, stimate possibile di aver acquistato con ciò un collaboratore in piena efficienza per lo sperato nuovo assetto europeo.
Noi italiani, che non possiamo accettare questo documento perché contrario alla verità, e direi alla nostra più alta scienza, non possiamo, sotto questo secondo aspetto, dei rapporti tra i popoli accettarlo, né come italiani curanti dell’onore della loro Patria, né come europei, due sentimenti che confluiscono in uno, perché l’Italia è tra i popoli che più hanno contribuito a formare la civiltà europea.
Ma, se noi non approveremo questo documento, che cosa accadrà? In quali strette ci cacceremo? Ecco il dubbio e la perplessità che può travagliare alcuno o parecchi di voi, i quali nel giudizio di sopra esposto e ragionato del cosiddetto trattato so che siete tutti e del tutto concordi con me ed unanimi, ma pur considerate l’opportunità di una formalistica ratifica. Ora non dirò ciò che Voi ben conoscete: che vi sono questioni che si sottraggono alla spicciola opportunità e appartengono a quella inopportunità opportuna o a quella opportunità superiore che non è del contingente ma del necessario: e necessaria e sovrastante a tutto è la tutela della dignità nazionale, retaggio affidatoci dai nostri padri da difendere in ogni rischio e con ogni sacrificio. Ma, qui posso stornare per un istante il pensiero da questa alta sfera che mi sta sempre presente, e, scendendo anch’io nel campo del contingente, alla domanda su quel che sarà per accadere rispondere dopo avervi ben meditato, che accadrà niente, perché in questo documento è scritto che i suoi dettami saranno messi in esecuzione anche senza l’approvazione dell’Italia: dichiarazione in cui, sotto lo stile di Brenno affiora la consapevolezza della verità che l’Italia ha buona ragione di non approvarlo.
Potrebbero bensì quei dettami, venire peggiorati per spirito di vendetta; ma non credo che si vorrà dare al mondo di oggi, che proprio non ne ha bisogno, anche questo spettacolo di nuova cattiveria, e, del resto, peggiorarli mi par difficile, perché non si riesce ad immaginarli peggiori e più duri.
Il governo italiano certamente non si opporrà all’esecuzione del Dettato; se necessario, coi suoi decreti o con qualche suo singolo provvedimento legislativo, la asseconderà docilmente, il che non importa approvazione, considerato che anche i condannati a morte sogliono secondare docilmente nei suoi gesti il carnefice che li mette a morte.
Ma, approvazione no! Non si può costringere il popolo italiano a dichiarare che è bella una cosa che esso sente come brutta, e questo con l’intento di umiliarlo e togliergli il rispetto di se stesso, che è indispensabile a un popolo come ad un individuo, e che solo lo preserva dall’abiezione e dalla corruzione.
Signori deputati, l’atto che oggi siamo chiamati a compiere, non è una deliberazione su qualche oggetto secondario e particolare, dove l’errore può essere sempre riparato e compensato, ma ha carattere solenne, e perciò non bisogna guardarlo unicamente nella difficoltà e nell’opportunità del momento, ma portarvi sopra quell’occhio storico che abbraccia la grande distesa del passato e si volge riverente e trepido all’avvenire. E non vi dirò che coloro che, questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia che non muore, i nostri nipoti e pronipoti ci terranno responsabili e rimprovereranno la generazione nostra di aver lasciato vituperare e avvilire e inginocchiare la nostra comune madre a ricevere un iniquo castigo: non vi dirò questo, perché so che la rinuncia alla propria fama è in certi casi estremi richiesta all’uomo che vuole il bene o vuole evitare il peggio; ma vi dirò quel che è più grave, che le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana fiaccandola.
Questo pensiero mi atterrisce, e non debbo tacervelo nel chiudere il mio discorso angoscioso. Lamentele, rinfacci, proteste, che prorompono dai petti di tutti, qui non sono sufficienti. Occorre atto di volontà, un esplicito NO. Ricordate che, dopo che la nostra flotta, ubbidendo all’ordine del Re ed al dovere di servire la Patria, fu portato a raggiungere la flotta degli alleati e a combattere alloro fianco, in qualche loro giornale si lesse che tal cosa le loro flotte non avrebbero mai fatto.
Noi siamo stati vinti, ma noi siamo pari, nel sentire e nel volere, a qualsiasi più intransigente popolo della Terra.”
Ma, a nulla valse l’accorata supplica di Benedetto Croce: “I Costituenti”, degni e legittimi rappresentanti del popolo italiano, quale necessario atto di volontà, apposero un esplicito “Si”. E, pensare che dell’“Intellighentia culturale” italiana, composta di oltre 1200 professori universitari solo “12” non avevano giurato fedeltà al fascismo (meno del 1%) e questi erano:
- Ernesto Bonaiuto
- Piero Martineti
- Mario Carrara
- Bartolo Nigrisoli
- Gaetano de Santis
- Francesco Ruffini
- Giorgio Errera
- Edoardo Ruffini Avonetto
- Giorgio Levi della Vida
- Lionello Venturi
- Fabio Luttazzo
- Vito Volterra
Naturalmente i “12” rimasero ai loro posti di cattedratici con l’apprezzamento e il plauso di tutti i fascisti italiani, che durante il ventennio rappresentavano il 98 – 99% della popolazione e votavano in maniera plebiscitaria.
Benedetto Croce
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