Nautica: Pietro Baglietto, trentacinque anni di storia del diporto italiano.
Biografia:
Nato a Varazze il 12 ottobre 1923, appartengo alla terza generazione del cantiere che porta il nostro nome.
Ingegnere navale e meccanico. Socio fondatore di ASPRONADI e socio SNAME.
Velista appassionato ho poi partecipato a numerose regate internazionali e sono entrato nella professione progettando yachts da regata. Ma esigenze del cantiere mi hanno obbligato a dedicarmi alla progettazione di barche a motore da diporto e militari.
Sono in pensione dal 1981. Dal 1983 al 2000 ho svolto interessantissimi lavori autonomi occasionali di consulenza tecnica per la Magistratura, spazianti dal grande sinistro marittimo alla mancata conservazione di una partita di bastoncini di pesce panati e surgelati.
Pietro Baglietto ingegnere navale, uno dei fondatori e promotori dell’Associazione Progettisti Nautica da Diporto nel dicembre del 1972, ne è stato anche il primo prestigioso Presidente. Ha guidato l’Associazione con illuminata esperienza e dedizione fin quando impegni pressanti nell’ Azienda di famiglia e qualche problema di salute non l’hanno costretto a lasciare. I Soci gli sono tuttora grati e si onorano di averlo Socio Onorario.
TRENTACINQUE ANNI DI DIPORTO NELLA NAUTICA
di Pietro Baglietto
II mio vecchio amico Giorgio Barilani mi ha offerto di scrivere qualcosa per AS.PRO.NA.DI nel trentesimo della sua fondazione, alla quale ho partecipato. AS.PRO.NA.DI vuol dire nautica da diporto, e l’offerta mi ha fatto venir voglia di ricordare, a 20 anni di distanza dal 1981, data finale degli eventi, quanto mi ero ‘diportato” nella nautica nei precedenti 35 anni in cui avevo lavorato nel cantiere che apparteneva alla mia famiglia.
In quel cantiere le barche da diporto erano intese come riempitivi per sopravvivere fra un lavoro militare e un altro. Di regola non si guadagnava su di esse, forse perché i clienti erano migliori affaristi dei miei vecchi, i quali per di più erano convinti di dover tenere al lavoro tutti i loro dipendenti anche quando il lavoro scarseggiava.
I lavori militari consistevano nella costruzione di barche da combattimento e/o guardacoste, per le forze armate italiane, giapponesi finlandesi egiziane, israeliane, indonesiane, algerine, ecc.. ordinate da clienti magari difficili dal punto di vista tecnico ma non stretti di tasca come i clienti privati. Purtroppo dalle barche militari delle nostre dimensioni sparirono di colpo quelle da combattimento poco dopo la comparsa dei missili nave nave.
I Russi per primi avevano installato missili su barche plananti da 25 metri, e avevano fatto le serie Komar e Osa. Ma si erano presto accorti che le accelerazioni che quelle barche subivano in mare non assolutamente calmo impedivano loro di dare ai missili input abbastanza accurati per poter colpire il bersaglio. Così le avevano svendute, senza spiegare il perché, a paesi più o meno satelliti e non ne avevano più fatte. La disinformazione crebbe quando una Komar egiziana, ferma dentro Porto Said, affondò coi suoi due missili il caccia israeliano Eilath che stava passando là davanti. Gli Israeliani ci rimasero male, ma non ci misero molto a capire la ragione del successo di quella Komar, e agirono in conseguenza.
Per avere anche loro delle piccole lanciamissili, ma buone, si fecero fare a Cherbourg delle barche dislocanti di 45 metri, quelle che scapparono la notte di un 31 dicembre perché il governo francese faceva delle storie all’esportazione, onde non scontentare gli Arabi. E poi si fecero in casa loro le Reshef, ancora più grosse, quasi delle corvette, e le provarono con successo contro delle Osa siriane. Finì l’era delle barche da combattimento piccole e plananti, che durava dal 1918, da quando Rizzo aveva affondato la Szent Istvan coi siluri del suo MAS.
Barche da diporto se ne erano sempre fatte, a causa della discontinuità fra i lavori militari, anche prima delle due guerre mondiali. Erano barche a motore, da crociera e da regata, di cui si è persa traccia quasi completamente, e barche a vela, da crociera e da regata, che stanno avendo una nuova vita come barche d’epoca. E’ bellissimo il raduno biennale di Imperia, ed è stato bellissimo il campionato del mondo degli 8 m S.l. a Porto Santo Stefano nell’estate del 2000.
Dopo la WW II progettai anch’io qualche barca a vela da regata, d’alto mare e da triangolo e i miei maestri furono Jack Laurent Giles e Olin Stephens. Nel 1953 feci una barca che allora sembrò un’invenzione. Era un III classe RORC che si chiamava Lanzerota e che planava come un Flying Dutchman. Aveva una pinna tipo Star, ma non bastava a darle la stabilità necessaria, sicché avevo messo sotto i cosiddetti divani del cosiddetto salone due serbatoi d’acqua longitudinali collegati fra loro da un tubo con valvola.
L’idea era di partire avendoli pieni a metà e, quando si andava in bolina, scaricare tutta l’acqua in quello di sottovento giusto prima di virare. Era un guaio se ci si scordava di fare quell’operazione. Si ottennero dei bei risultati anche coi 5.5 S I, specialmente coi Twins di Max Oberti equipaggio Pino Canessa e Tunitto Carattino. Riconquista della Coppa d’Italia a Marstrand e prima conquista della Coppa d’Oro a Sandhamn. Ma le belle barche a vela fatte su commissione, non due uguali, non bastavano certo a tenere in piedi la baracca, e si comprese che ci si doveva buttare sulle barche in serie, che allora erano concepibili solo a motore.
Un giorno passò da noi Carlo Riva, che stava andando alla Chris Craft per vedere come facevano quelli a produrne e venderne tante. Non stette fuori molto, e al ritorno si mise a fare in serie quei bellissimi motoscafi che hanno segnato un così importante capitolo nella storia della nautica. Si pensò di fare anche noi qualcosa di simile, ma barche più grosse dei Riva, dei cosiddetti cabinati, non raffinati come i Riva né ad imitazione dei Chris Craft. Credevamo che ci si dovesse ispirare alle roulottes e ai campers, con interni di quello stile e di quella qualità. Nel 1956 si fecero due barche da 8,50, scafo a spigolo. Fasciame in compensato e vetri in plexiglass, una con due motori a benzina da 125 CV. una con due diesel da 50 CV., il motore della Fiat 1900, perché non sapevamo se i clienti avrebbero preferito la benzina e la velocità oppure i diesel e la sicurezza.
La presentammo alla Fiera di Milano, non c’era ancora il Salone di Genova, ad un prezzo che, mutatis mutandis, faceva venire in mente quelli delle roulottes, e non riuscimmo a destare l’ interesse di nessuno, salvo quello di Guido Prina, che da qualche tempo vendeva in esclusiva le barche di Riva.
Egli venne da noi e ci spiegò che su quei due 8,50 dovevamo modificare radicalmente certe cose. I cuscini dei divani dovevano essere riccamente soffici, i rubinetti dovevano essere grossi e cromati come quelli domestici, per i vetri niente plexiglass ma cristallo temperato come le auto, altre cose del genere. Realizzate tali modifiche egli avrebbe potuto venderle ad un prezzo anche doppio di quello che avevamo richiesto, naturalmente con una commissione del 20% per lui. Le modifiche si fecero e le barche furono da lui prontamente vendute.
Visto il risultato, Prina ci propose di fare con noi quello che faceva con Riva. In autunno stabilire che tipi di barca preparare per l’estate successiva, quante ed a quale prezzo netto per il cantiere. Lui avrebbe cacciato subito il 20% del netto totale, avrebbe venduto ciascuna barca al 20% più del nostro prezzo, caricandosi di sconti e permute, e ad ogni barca venduta ci avrebbe dato il saldo del nostro prezzo. I miei vecchi si domandarono se fosse matto.
Si poteva proseguire sulla scia del 8.50 modificato, ma attenzione, solo motori diesel, preferibilmente americani, preferibilmente GM, e di ben più di 50 CV, perché si doveva mirare ai 20 nodi di crociera. E Poi udite udite, il posto per un marinaio, che non c’era né su campers e roulottes né sui Chris Craft.
Ma dove si poteva mettere a dormire questo marinaio? Se lo si fosse messo tradizionalmente a prua il timoniere avrebbe visto l’acqua a non meno di quattro lunghezze dalla prua. Finalmente qualcuno ebbe la brillante idea di allungare un po’ lo scafo a poppavia del cockpit e metterlo, il marinaio e il suo WC, laggiù sottocoperta in una specie di grossa cassa da morto.
Così nacque il 11.50, diventato subito Elba, perché c’era la moda dei nomi e non delle lunghezze e fu all’epoca un notevole successo.
Stava iniziando il “boom” della nautica da diporto italiana e l’anno dopo si fecero dei 16 M, subito chiamati Ischia, dove il marinaio, anzi due marinai, erano sistemati a prora, riservatamente e dignitosamente, anche se sempre col WC fra i piedi, e a poppa c’era una cabina ben più importante di quella dell’Elba coi suoi V berths sotto la prua, una vera cabina padronale con la sua privacy.
Fra il 59 e il 67 si fecero 96 Ischia, chiamati poi 16 M quando passò la moda dei nomi, e dotati di flying bridge, per poterli esportare anche in California dove il flying bridge era già un must. Intanto, ancora al tempo delle isole, Picchiotti usava i nomi delle isole toscane, noi non potevamo certo usare Bergeggi o La Gallinara, si era fatto il Capri, un mini Ischia senza successo, il Maiorca, che doveva essere la barca super coi suoi 22 metri e i motori CRM a 18 cilindri, ma se ne fecero solo tre, e il Minorca, che era un Maiorca più piccolo con gli stessi motori e quindi più veloce, finalmente in vista dei 40 nodi.
Erano sparite le barche fuori serie. Se ne fece solo una per un signore di Torino, che non risultò come doveva essere, la barca, ma suggerì un importante progresso nella carena e una svolta nello stile dell’arredamento.
Peter du Cane aveva progettato per la Royal Navy la classe Brave, con tre turbine a gas BristoI Proteus, talmente potenti e leggere che facevano arrivare le barche vicino ai 50 nodi. Un famoso armatore greco se ne era innamorato e aveva fatto fare da Vosper, il cantiere di Peter, una unità in versione yacht, dove il peso delle armi era sostituito da quello dell’arredamento, comprendente sopra il letto padronale un baldacchino che faceva venire in mente il Partenone.
La barca del signore di Torino, sempre disegnata da Peter Du Cane, era un po’ più piccola, doveva avere solo due turbine , doveva fare comunque oltre 40 nodi. Ma ad un certo momento fu deciso, non da noi, di mettere al posto delle turbine tre diesel poco meno potenti delle due turbine, ma molto più pesanti, e di nodi se ne fecero meno di 30.
Dicevo della carena e dell’arredamento, e vado nell’ordine.
Prima la carena. Già dalla fine della WW II, da quando era uscito il libro di Lindsay Lord che rendeva tutti partecipi delle esperienze da lui fatte coi PTB americani nel Pacifico, su uno dei quali era stato imbarcato JFK, si era adottato il fondo a diedro costante nella zona di poppa, onde evitare che si formasse laggiù una depressione che aveva lo stesso effetto dell’imbarco di un peso, per di più a poppa, con dannoso aumento dell’assetto. Un principio che fu osservato anche da Ray Hunt e da “Sonny” Levi quando fecero per le alte velocità il deep V coi piattini paralleli alla mezzeria.
Con quella carena si erano fatte tutte le barche che ho ricordato, nonché delle cannoniere per Israele, piccole ma armate fino ai denti colle quali gli Israeliani avevano compiuto imprese memorabili, naturalmente prima del fatto Komar Eilath.
Ma la carena di Du Cane aveva lo spigolo a prora un po’ più alto e più largo della nostra. L’idea ci sembrò buona e la sviluppammo, onde tenere il mento della carena ben fuori dall’acqua quando la barca andava con mare in poppa e aveva voglia di ingavonarsi e di straorzare come una barca a vela. La modifica fu talmente efficace che si poté abolire lo skeg sotto il fondo a poppa.
La nostra carena fu poi ancora migliorata con l’adozione dei flaps a poppa, telecomandati dalla plancia. Essi permettevano di tenere l’assetto migliore in qualsiasi condizione, migliore nel senso che a parità di manetta i motori facevano più giri e la barca andava più forte. E permettevano anche di buttare giù la prua e farla diventare più fina quando si incontrava del mare in prora, e viceversa alzarla quando si andava con mare in poppa, con l’effetto di aumentare la stabilità sia trasversale che direzionale.
Poi l’arredamento. Fino ad allora si era seguito il cosiddetto stile bastimento, cose in legno che ricordavano un 800 semplificato, molto più semplice dello stile nuovamente legnoso che sembra andare di moda oggi sugli yachts più importanti. Ma quel cliente voleva qualcosa di più moderno. Fu l’ingresso di Paolo Caliari nella nautica e il risultato fu che nelle cabine sottocoperta sembrava di essere dentro ad un aeroplano.
Il nuovo stile piacque ai clienti forse anche perché lo avevano visto sulla barca di quel signore, e lo adattammo per le barche di serie. Gli Ischia divennero molto più belli ma anche molto più costosi nonostante la ripetitività di cui si poteva godere colle barche di serie.
La barca relativamente più costosa fu però il 18 M. Era una barca a tre cabine, la padronale regolarmente a poppa, le due ospiti a prora, per la prima volta estese da murata a murata, grazie ad una loro propria scala che scendeva dalla timoneria. Credo che il 18 M sia stata la barca di serie più lussuosa che abbiamo mai fatto. Tanti magnifici clienti, il più divertente Peter Sellers. Ma su ogni barca ci si rimetteva.
Bisognava perciò cambiare qualcosa altrimenti sarebbero stati guai. Guido Prina, che era ormai sazio e aveva sentito prima di tutti l’odor dell’avvenire, si era ritirato e il suo posto era stato preso, con accordi economici molto diversi, da Moncada e Starrabba, scritto con due “erre” e due “bi”. Ma benvenuti “i ragazzi”, cosi li chiamavano i miei vecchi perché fu grazie a loro conoscenze che potemmo fare due passi avanti, nella maniera di lavorare e nello stile di arredamento, due passi che ci volevano proprio.
Ma lasciatemi andare per ordine e menzionare prima la maniera di lavorare.
Qualche anno avanti la Chris Craft aveva deciso di mettere su un cantiere in Italia, precisamente a Fiumicino ed aveva scelto per metterlo su e dirigerlo un personaggio unico che si chiamava Richard Ross, ritenuto adatto anche perché di origini calabresi dunque italiano, ex subacqueo del corpo dei Marines durante lo sbarco in Normandia. Era un genio che alternava sei mesi di efficienza quando stava con una donna che amava, e sei mesi di alcoolismo totale dopo che con quella donna aveva rotto. In sei mesi mise su il cantiere di Fiumicino e cominciò a buttare fuori barche che il cantiere non era ancora finito, ma ruppe con la donna del momento e dimissionò.
Passati i sei mesi negativi fu captato dai Sonnino di Sabaudia, dove fece fare importanti progressi nel rapporto qualità/costo, ma anche là non durò che sei mesi. Passato il nuovo ciclo negativo fu avvicinato da “i ragazzi”, che gli proposero di venire da noi. Arrivò un 27 di dicembre e lo portai subito a vedere il cantiere. Per ogni barca che vedeva mi chiedeva quante ore ci volevano per farla. Alle mie risposte rispondeva alternativamente “la mità” oppure “meno della mità”.
Ci intendemmo subito. Lui spiegò come intendeva organizzare la produzione. Su linee di montaggio lungo le quali le barche si sarebbero spostate mentre gli operai avrebbero sempre lavorato nello stesso posto, a montare pezzi che gli sarebbero arrivati just in time, senza spendere per essi un soldo prima del necessario. Avrei dovuto modificare il progetto, soprattutto nelle strutture ma anche nell’allestimento, per consentire che il montaggio avvenisse nei tempi rapidi immaginati da Richard e credo di averlo fatto in modo per lui soddisfacente.
Passo ora allo stile dell’arredamento.
Caliari se n’era andato da qualche anno e i nostri interni proseguivano in quello stile. Ma c’era bisogno di un “decorator” che fosse al passo coi tempi. In quel frattempo era diventata di gran moda la cosiddetta “pop art”. E “i ragazzi’ ci portarono un giovane architetto di nome Piero Finto, che ci disegnò gli interni più chic e nel contempo meno costosi che si potessero immaginare.
Il 16,50, e subito dopo il 20 M risultarono da queste novità. Erano, quanto a dimensioni e contenuto, qualcosa di più dei rispettivi predecessori, il 16 M e il 18 M, ma costavano in ore meno della metà. Richard trascorse da noi i sei mesi buoni in compagnia di una signora svedese che era passata da Genova con l’intenzione di andare a trovare il marito, comandante di una nave rimasta nei Laghi Amari col blocco di Suez, ma il ciclo finì con l’apertura del Canale e con il ritorno della signora in Svezia.
Andò quindi ad Arenys de Mar, dove Aresa costruiva un nostro 14 M, dove pare stesse, lui 50, con una canadese di 18 anni, ma non durò più del solito. Tornò a Sabaudia a farsi rivedere dai Sonnino, morì poco dopo, è sepolto nel cimitero americano di Anzio. Il sistema di lavoro di Richard era talmente valido che poté essere applicato anche per le barche più grosse, 26 e 30 metri, quando per esse si adottò l’alluminio.
Ed era talmente efficace che si poterono conquistare clienti come la nostra Guardia di Finanza e la marina dell’Algeria da non molto indipendente, clienti per servire i quali c’era una concorrenza feroce.
In versione guardacoste si fecero 22 barche tipo 20 M per la Finanza e 10 per l’Algeria, e la Finanza comprò il progetto e con esso ne fece fare forse altrettante da altri cantieri. Erano barche talmente buone e facilmente riparabili che non poche sono ancora in servizio oggi dopo una trentina d’anni.
Il bello era che le facevamo sulla stessa linea di montaggio sulla quale facevamo gli yachts, solo che disponevamo i tempi in modo che gli yachts venissero pronti in primavera e i guardacoste nelle altre stagioni.
Per l’Algeria si fecero anche tre 30 m di alluminio, con la carena che credo mi sia riuscita meglio e che mi pare di riconoscere in certi yachts che si fanno ancora oggi. Ma il nostro Paese, col tasso ufficiale di sconto che si avviava verso il suo record del 19%, era diventato inaffidabile per gli stranieri, che temevano una specie di mini Weimar e non si riuscì a fare altri contratti di guardacoste per l’estero. Restavano le barche da diporto.
Ma nonostante l’alto tasso di sconto l’inflazione galoppava, e il costo del lavoro in lire galoppava con la scala mobile, sicché le barche finite costavano sempre più del loro prezzo contrattuale, per quanto avessimo cercato di tenerci al vento nel preventivo. Se poi si prendevano i soldi più tardi di averli spesi si sentiva pesantemente il costo del denaro delle banche, 5 punti più caro del tasso ufficiale.
Intanto i dipendenti erano sempre troppi. I clienti lo vedevano e capivano di avere potere contrattuale per approfittarne. Ordinavano presto, a prezzo tirato, e pagavano tardi. Il flusso del denaro a saldo cambiò nuovamente direzione, da verso dentro a verso fuori.
Finalmente, “grazie” ad una malattia, andai in pensione nel 1981.
P.S. Un antefatto.
L’epoca precedente al mio ingresso nel cantiere era stata quella della Repubblica di Salò. Erano arrivati i Tedeschi e avevano ordinato di continuare a fare per loro quello che si stava facendo per la Regia Marina. Non era un’offerta che si poteva rifiutare, ma un ordine al quale bisognava obbedire se si voleva salvare la baracca, sia per il subito che per il dopo, che ormai era chiaramente in vista Il cantiere era così diventato una specie di Schindler’s Werft, dove i ragazzi che non avevano il coraggio di andare in montagna o magari nella Decima Mas, erano esonerati dal servizio militare.
Era diventato anche una fabbrica di sale, che si otteneva facendo evaporare l’acqua di mare in enormi tegami. Enzo Giusto detto Milàn dirigeva la cosiddetta mensa aziendale e lo barattava oltre Appennino in cambio di cibo. Ma alla Liberazione ci fu qualcuno che denunciò i miei vecchi per “collaborazionismo” di fronte ai Partigiani appena scesi dai monti. Rischiarono di essere “giustiziati”, non fosse stato per l’intervento di Baciccia della Punta, conosciuto dal Milàn, comandante delle SAP locali. Subirono però un regolare, per cosi dire visti i tempi, processo per “collaborazionismo col nemico invasore” e furono condannati ad una pena detentiva, fortunatamente lieve e presto interrotta dall’amnistia di Palmiro Togliatti diventato Ministro della Giustizia.
Articolo apparso sul Bollettino n. 17 (ottobre 2003) a pagina 11 e seguenti e qui riprodotto per g.c. di Nellina Baglietto, avente diritto.
Gentilissimo Dott. Mario,
ringraziamo Lei per averci scritto ed aver navigato in AltoMareBlu e circa il Suo speciale amico Pietro Baglietto, è stato certamente un grande della motonautica italiana che ha dato onore, soddisfazione ed autorevolezza al “Made in Italy” e la sua scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile.
Impossibile dimenticarlo!!
Un caro saluto,
Giacomo Vitale
Ho letto con grande interesse questo articolo che mi ha ricordato il mio caro amico Pietro Baglietto purtroppo scomparso che conobbi negli anni 80 90 in Carignano Genova dove avevo la mia Farmacia.
Grazie ancora!
Mi sapreste dire il valore di un disegno fatto a mano di un automobile marittima targata baglietto del 1908?
Ciao Paolo,
ti ringraziamo per la segnalazione circa il bel sito storico di varagine in cui si possono vedere immagini molto belle e significative che fanno parte della storia della nostra eccellente marineria, in particolare i mitici e famosi “Cantieri Baglietto” a cui auguriamo un futuro che possa partire da una eccezionale rinascita guidata da una nuova ed autorevole proprietà, traghettandolo con nuove sfide verso importanti successi che questo cantiere merita per la particolare bravura e maestria di tutti coloro che si sono succeduti alle redini di questa grande realtà italiana.
Un caro saluto a te ed agli amici del sito storico della città di Varezze.
Giacomo Vitale
Ciao a tutti,
voi grandi appassionati di grandi barche! 4 generazioni dei miei antenati hanno lavorato nei cantieri Baglietto… io sono fiero di essere nato nella mia amata Varazze… cittadina che diede natali a migliaia di imbarcazioni… dall’epoca romana ad oggi… purtroppo i Baglietto stanno vivendo un brutto momento ma prima o poi torneranno a primeggiare nell’ambito del panorama internazionale.
Vi scrivo per segnalarvi il sito della nostra associazione, http://www.varagine.it l’archivio storico fotografico sulla città di Varazze… se cercate sia nella sezione imbarcazioni, sia negli stabilimenti/industria->cantieri navali… troverete moltissime foto d’epoca dei baglietto!
Ciao a presto!
Ciao Luca,
ti ringraziamo per quanto dici di Altomareblu e complimenti per essere comunque un estimatore di barche vere di una volta… Per il restauro intrapreso del Sea Skiff Italcraft, di cui ti preghiamo inviarci immagini del restauro e descrizione delle fasi di lavorazione, che pubblicheremo in un articolo nella sezione del blog dedicata al restauro…
Il Baglietto Elba è una barca che mi è piaciuta sempre tantissimo e qualche richiesta in merito ce l’avrei, quindi invia ad info@altomareblu.com le immagini del Baglietto Elba, con una descrizione delle sue condizioni generali, la motorizzazione e tutte le caratteristiche tecniche in tuo possesso, in modo da pubblicare un articolo dedicato, nella rubrica “barche storiche in vendita”, cercando così di aiutarti a trovare un degno armatore per questa splendida unità progettata dai gloriosi “Cantieri Baglietto” di Varazze.
Ti contatto privatamente per avere ukteriori informazioni in merito.
Grazie infinite per averci scritto e restiamo in attesa di tue comunicazioni.
Saluti!
Giacomo Vitale
Scopro solo oggi questo piacevole sito in cui si parla di vere barche.
Mi occupo della costruzione di nuove barche a motore, ma resto un appassionato di quelle in legno dei primi anni sessanta. Ho acquistato tempo fa un Italcraft Sea Skiff del 65 e un Baglietto Elba del 63, completamente da restaurare. Sto procedendo al reffitting totale del Sea Skiff ma la mancanza di tempo e di spazio mi hanno limitato al procedere con l’ Elba.
C’è qualche appassionato interessato a portare avanti il più impegnativo restauro di questa imbarcazione? Ha motori in buone condizioni e ferramenta originale. Sono disposto a qualsiasi accordo pur di non dover abbandonare questo storico scafo che sono riuscito a recuperare all’ultimo momento prima che andasse “rottamato” definitivamente dal cantiere (proprio all’Isola d’Elba) a cui occupava spazio.
Luca
Caro Paolo,
ho ricevuto la tua replica e ti contatto in privato. Grazie!
Un caro saluto.
Giacomo Vitale
Gentile Giacomo,
grazie per le cortesi parole.
Sarà senz’altro un grande piacere riceverti a bordo appena ce ne sarà l’occasione.
Oggi ho rispolverato i vecchi disegni di cui accennavo ed in attesa di inviare altre immagini caricherò alcuni di questi.
Mi serve pero’ un’indicazione su come fare od un indirizzo mail al quale inviarli.
Un cordialissimo saluto.
Paolo
Gentile Paolo,
non sai che piacere leggere questa tua semplice ma significativa mail che mi permette di conoscere, per il momento solo via web, ma spero di persona prestissimo, un vero appassionato della tipologia di barche speciali, come tu le nomini, che sono nate e in anni straordinari ed unici e continuano a vivere per l’amore di grandi appassionati come te, che sanno le grandi emozioni che esse danno e daranno…
Sono un amante “folle” del Baglietto 16,50 Ischia e del Caliari.. ed hai fatto un grosso guaio a farmelo sapere, perché adesso aspetto che un giorno tu mi inviti per visionarlo e scattare un po’ di foto…
Nell’attesa mi guarderò con grandissimo interesse le foto della tua barca che spero presto mi che mi invierai…
Circa il raduno di cui parli, stiamo studiando da tempo come realizzarlo, ma credimi non è cosa facile, specialmente quando si vuol fare tutto con vera passione e professionalità… ma sono certo che ci riusciremo ed ovviamente sei un invitato insieme al tuo Baglietto 16,50 da subito…
Aspetto con ansia ed immenso piacere le foto che ci invierai, ma spero presto possa venire di persona a vedere la tua barca e scattare un po’ di foto come piace a me… A questo proposito, ti chiederei di scrivere tutte le notizie storiche che hai della tua barca e inviamele… e potrei scrivere un articolo da pubblicare sui Altomareblu…
Ti contatto comunque in privato e ci mettiamo d’accordo per poterci incontrare a bordo del tuo Baglietto…
Per rendere fruibili a tutti i disegni della tua barca è semplice: girane una copia a noi e la pubblicheremo su AltoMareBlu ovviamente informatizzata e da poter scaricare… E’ una bellissima iniziativa che farebbe felice molti appassionati di queste bellissime barche…
Un caro saluto e ti ringraziamo moltissimo per averci scritto e mostrato la tua grande passione per barche marine ed uniche al mondo che nessuno mai potrà mai imitare…
Giacomo Vitale
AltoMareBlu
Buongiorno a tutti voi,
sono un fortunato possessore di un Baglietto 16.50 che, dopo diversi lavori, è tornato a vivere il mare con la sua (consentitemi) elegante fierezza.
E’ un grande piacere sapere che altri come me abbiano tanto affetto e considerazione per tutte quelle barche che hanno segnato un epoca irripetibile.
Posterò appena possibile delle foto che ho scattato in diverse circostanze. Sarebbe davvero bello organizzare un piccolo raduno!
Un cordiale saluto a tutti voi.
Paolo
P.S.
Conservo ancora i disegni tecnici originali con misure, materiali e firme degli addetti al montaggio di quasi tutte le parti della barca. Mi attivo per capire come renderli fruibili a tutti gli interessati.
Bellissimo racconto !
Avendo solo 32 anni ho imparato ad conoscere e aprezzare i Baglietto in mare e da fuori in banchina, nelle acque di Porto Santo Stefano dove ce n’è ancora qualcuno che naviga…
Tra l’altro, in un vecchio hangar adibito a rimessaggio dietro il paese, c’è ancora l’insegna “Servizio Baglietto” con il suo logo… poi un signore tiene un elba in modo eccezionale riconosciuto in navigazione dal rumore inconfondibile! Per marinella, ho salvato qualche immagine dal web ma credo che siano quelle che avete già postato voi dei Elba, Ischia 16 m, 18 o 20 m e le invierò al più presto.
P.S.: se qualcuno sta cercando dei Baglietto da comprare, ne ho visti più d’uno sabato 1 maggio 2010 in zona Fiumicino, navigando sul fiume sia lato Fiumicino che lato Fiumara, nei vari cantieri in condizioni, aimé, anche di abbandono o trascuratezza.
Cara Marinella,
già il nostro direttore Antonio Soccol ti ha risposto circa la tua “romantica ricerca” dei disegni ed immagini di “vecchi” Baglietto… Forse non sai che in Altomareblu sono considerato il “matto” di tutto il gruppo e questo tuo commento mi incuriosisce molto…
Quindi, inizia ad inviarci un pò di belle foto del tuo Baglietto e potrei scrivere un pezzo in cui inviterei gli armatori di barche Baglietto ad inviarci belle foto delle loro unità e per i disegni, impresa difficilissima, posso segnalarti solo quelli dello Yacht Maiorca che puoi acquistare on line sul sito dell’ANB Associazione Navimodellisti Bolognesi.
I disegni sono originali e molto belli… Grazie per averci scritto.
Un caro saluto!
Giacomo Vitale
Gentile Marinella,
non so come aiutarla… E me ne rammarico davvero perché quanto lei chiede sarebbe di certo interesse per tutti i nostri molti lettori. Ma è molto difficile trovare i documenti di quell’antica storia…
Purtroppo, legga:
Era il 25 agosto 2007 quando questo annuncio apparve sul web, lasciando molto tristi i tanti amici e veri estimatori di Pietro, sia come progettista che come uomo. E fra questi anch’io che mi sono onorato della sua amicizia. E delle sue confidenze.
Un giorno, nei primi anni Settanta, rientravamo assieme da un “London Boat Show” e, in aereo, lo ricordo come fosse oggi, commentavamo assieme certe soluzioni nautiche inglesi viste a quel Salone e la sua ironia era davvero irresistibile.
Così come quando mi raccontava che il grande Peter Du Cane, dopo il varo della prima barca Baglietto (progettata, appunto, da Peter) per l’avvocato Gianni Agnelli e durante le prime prove in mare, avesse laconicamente commentato: “Too dry” e alludeva al fatto che non ci fosse in circolazione neppure un gin&tonic e non al fatto dell’assetto “troppo secco” della barca… con un certo stupore dell’Avvocato torinese.
Tutta la progettazione nautica italiana rimpiange un gentiluomo di questa eccezionale dimensione (soprattutto l’attuale Aspronadi che lui ebbe il “piacere” -si fa per dire- di “presiedere” per primo) mentre, per noi di Altomareblu, è stato un grande onore poter, in qualche modo, ospitare la sua firma e il suo pensiero. Grazie ancora a Nelly Baglietto per l’onore concessoci.
Come sarebbe bello se di uomini così ce ne fossero di più, ma la stirpe è praticamente in via di estinzione… Ahinoi!
Antonio Soccol
Ho un vecchio Baglietto ma sono alla ricerca di disegni della flotta Baglietto e foto.
Avrei bisogno di qualcun’ altra nostalgica che mi aiutasse a trovarne in giro per l’Italia e non solo.
Saluti.
Marinella
Complimenti,
un articolo che ho letto più volte e che fa luce sulla storia di Baglietto e le sue realizzazioni che, ancora oggi, sono delle bellissime barche come poche nel parco nautico italiano.
Veramente bello!