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Pirro, Cinea e gli strumenti elettronici

2 Commenti/in Paolo Lodigiani/da Paolo Lodigiani

di Paolo Lodigiani

Racconta Plutarco che un giorno Cinea incontrò Pirro il quale, pieno di slancio e di entusiasmo, si apprestava ad attaccare Roma, e che fra i due si svolse un dialogo di questo tipo:

“Dimmi,Pirro,- chiede Cinea – se riusciremo a sconfiggere i Romani, che faremo della nostra vittoria?”
“Presa Roma muoveremo alla conquista dell’Italia intera.”
“E poi,che faremo ancora?”
“La Sicilia ci attende: sarà nostra.”
“E dopo la Sicilia?”
“Poi c’è Cartagine, e di lì muoveremo contro la Libia.”
“Ci fermeremo in Libia?”
“No,la nostra forza sarà tale da conquistare anche la Macedonia e l’Ellade.”
“E quando tutto il mondo sarà in nostro potere allora che faremo?”
“A quel punto finalmente riposeremo ­ conclude Pirro – e passeremo le nostre giornate bevendo e mangiando, senza più pensieri.”
“Ma allora, o Pirro,- obietta subdolamente Cinea – non sarebbe meglio riposare già fin d’ora?”

Mi sono permesso, senza volere in alcun modo mancare di rispetto a Plutarco, di parafrasare questo gustoso dialogo immaginando come esso potrebbe svolgersi fra un Pirro dei nostri giorni,orgoglioso neoarmatore di un moderno yacht a vela, e uno scettico Cinea. Eccolo:

Pirro: “Pensa, o Cinea, che sulla mia barca ho montato un timone automatico che tiene la rotta senza che io debba toccare la barra.”
Cinea:”E dopo questo che altro farai?”
“Poi metterò un GPS che mi dirà dove sono, senza necessità di lunghi e complessi calcoli.”
“E poi?”
“Collegherò GPS e timone automatico, cosicché la barca da sola possa andare dove io desidero.”
“E poi?”
“Poi prenderò un computer che mi dica come regolare le vele.”
“E poi?”
“Il computer invierà i comandi a una centralina automatica che effettuerà tutte le manovre senza che io debba muovere un dito.”
“E dimmi, o Pirro: quando tutto sarà automatizzato, che farai allora?”
“Allora mi riposerò e starò tutto il giorno senza far nulla”

Anche il Cinea dei nostri giorni concluderà, con perfida e sagace ironia:

“Caro Pirro, tanto varrebbe non stare nemmeno ad andare in barca e riposarti subito come faccio io.”

Questa variazione su tema di Plutarco, del tutto indegna – devo riconoscere ­dell’originale, mi è venuta in mente qualche tempo fa ascoltando la conferenza di un bravo e famoso progettista italiano. Illustrava una sua recente creazione, uno splendido, modernissimo, ultra lussuoso yacht a vela di 100′ (30 metri!). Insieme ad un pubblico attento e interessato anch’io seguivo la sua esposizione a bocca aperta per lo stupore, quasi abbacinato dalla quantità e qualità di innovazione, alta tecnologia, idee, raffinatezze stilistiche e progettuali che l’architetto era riuscito a profondere in quella barca: motori retrattili, chiglie a geometria variabile, ardite strutture in materiali compositi, manovre automatizzate e molte altre meraviglie.

Ero al colmo dell’entusiasmo, come Pirro prima delle sue conquiste, quando qualcosa, nella pur brillante esposizione del conferenziere, risvegliò il Cinea annidato dentro di me che fino a quel momento era rimasto assopito. Con l’aiuto di alcune diapositive il progettista stava illustrando quello che nelle barche normali è il cosiddetto “tavolo da carteggio”. Ebbene: dire che sembrava la sala di controllo di una centrale nucleare non dà che una pallida idea della fantasmagoria di strumenti, schermi, consolle, pulsanti, display, lucine varie che esso esibiva. Ma non è questo il punto. II punto è che non si trattava affatto di un tavolo, ma di un vero e proprio salottino, con tre o quattro poltrone davanti agli schermi, quasi fosse un piccolo cinema.

Il progettista così ne ha spiegato il motivo: in queste barche il carteggio è un momento sociale, un divertimento che l’armatore divide con i suoi ospiti, invitandoli a giocare con i suoi ultimi “gadget”. Allora ho avuto un sussulto: me li sono visti, questi signori presumibilmente distinti e di una certa età, lì a dilettarsi con il GPS come ragazzini lascivi intenti a un videogioco pornografico. A questo dunque mi sono detto – è ridotta quella che un tempo chiamavano “l’arte di ritrovare il porto”? A questo l’emozione, la trepidazione con cui, dopo lunghi e incerti calcoli, si tracciava a matita un segno sulla carta nautica nella vaga speranza che esso rappresentasse la rotta su cui si stava navigando?

Quadrante Quadrante Kamal Balestriglia

Foto: Strumenti nautici, utilizzati da Ajmone Cat quando partecipò alle Colombiadi, gli strumenti sono stati costruiti riproducendo quelli usati da Cristoforo Colombo nel suo viaggio.

Con nostalgia mi è sovvenuto di quando, non molti anni orsono, prima dell’avvento del Loran, ogni traversata regalava il dubbio della terra su cui si approdava. Si cercavano lumi sulle pagine dei portolani; non quelli di oggi, con pagine patinate e foto a colori, addirittura aeree. No: parlo dei vecchi cari portolani di un tempo, con i loro disegnini sbiaditi, che tratteggiavano il profilo di ogni costa con i medesimi contorni grigi e uniformi, quasi fossero tutte avvolte in un’eterna foschia.

Per non parlare dei patetici “punti cospicui”, che già allora di cospicuo non avevano più nulla: la casetta bianca sulla spiaggia era stata soverchiata dai condomini, la torre a strisce bianche e rosse inglobata in una raffineria, la ciminiera abbattuta per far posto a una discoteca. L’unico modo per capire dove eravamo arrivati quando si avvistava terra era, al pari di novelli Colombo, accostare la barca di qualche indigeno per interrogarlo e riceverne provvidenziali informazioni.

Ah, il fascino, l’avventura, la poesia di questa navigazione erratica e approssimativa! Ma bando alle nostalgie e bando ancor più a stolti moralismi. Chi aspira a navigare nella sala di controllo di una centrale nucleare divertendosi con tastiere o telecomandi è liberissimo di farlo, ci mancherebbe altro.

Ma, prima di avviarsi su questa strada, mediti ancora un momento sul dialogo fra Pirro e Cinea e sui messaggi che esso ci manda.

Il primo messaggio è che la strumentazione elettronica su una barca appartiene, non diversamente dalle conquiste militari, a quella categorie di cose che si “autoalimentano”, cioè che trovano in sé stesse il nutrimento per un continuo proliferare. Bisogna diffidarne, perché sono le più insidiose. Si comincia con l’acquisto di uno strumento che sembra indispensabile e dopo un po’ ci si accorge che questo ne rende indispensabile anche un secondo. Con due strumenti si deve aggiungere una nuova batteria e, dal momento che c’è, vogliamo non darle qualche altro strumento da alimentare? Così via, in una spirale perversa in cui si rimane invischiati. A un certo punto sembra quasi che gli strumenti si generino da soli, senza bisogno che siamo noi ad acquistarli.

Il secondo messaggio è più sottile e difficile da cogliere ma, riflettendoci, capiamo che in fondo nella discussione fra Pirro e Cinea nessuno dei due ha ragione. Entrambi mirano a riposarsi, a quello che allora chiamavano ozio e noi chiamiamo tempo libero: Pirro lo vede come meta finale di un complesso e laborioso percorso, Cinea, più prosaicamente, come un bene da godere immediatamente. Ma, dobbiamo chiederci, è veramente un bene per il velista liberarsi delle incombenze di bordo che occupano il suo tempo? Non è forse l’essenza della vela proprio quella di occupare il tempo libero? E allora, se attraverso questi strumenti svuotiamo quel tempo che a prezzo di tanti costi e sacrifici eravamo riusciti a riempire, non finiamo per vanificare stupidamente tutti gli sforzi fatti?

Ci pensi bene quindi il lettore prima di comprare un nuovo gadget elettronico per la sua barca; gli sembra, con questo, di aver semplicemente migliorato la qualità del suo stare a bordo.

Non sa, l’incauto, che continuando di quel passo rischia di trovarsi senza quasi accorgersene a bighellonare, ozioso e triste, sul ponte di 30 metri di una barca completamente automatizzata.

Articolo apparso nella rivista “Yacht Digest” N°96 Agosto 1999 e qui riprodotto per g.c. dell’autore.

Tags: Paolo Lodigiani
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2 commenti
  1. vittorio di sambuy
    vittorio di sambuy dice:
    09/02/2009 in 15:27

    Concordo su tutti i concetti esposti con arguzia da Paolo Lodigiani e commento con un aneddoto.

    Molti anni fa si stava partendo per un “Giraglia” e non so più perché, in pozzetto parlavo con l’amico Mario Bini (diventato poi Capo di Stato Maggiore della Marina) sui meriti della navigazione stimata. Mario sosteneva addirittura che in Mediterraneo non serviva altro, giacché bastavano poche ore di navigazione per incontrare terra… su una qualsiasi rotta. Furono ultime parole famose perché quella volta si scatenò una furiosa tempesta da maestrale e pochissime barche riuscirono a trovare, in mezzo al pulviscolo sollevato dal vento, la Boa Cousteau (una boa ancorata al largo di Ajaccio per rilievi tettonici). Il dragamine inviato sul posto per controllare i passaggi era rientrato in porto (quelle unità, ex statunitensi, tenevano piuttosto male il mare) e il vincitore della regata, Tony Pierobon su Alnair ammise di averla vista solo per caso, passandoci vicino. Risultato: il vero vincitore, Brainowich, fu squalificato con l’accusa di non aver passato la boa ma da quel giorno si ritirò dalle regate e l’imbattibile Susanna 2° troncò la serie del suo brillante palmarès.

    Dunque dicevamo: Strumenti per la navigazione. Me ne occupai con l’amico Antonio Fulvi e nel 1987 pubblicammo insieme per la collana Il Tagliamare dell’editore Nistri Lischi una “Guida agli strumenti e agli accessori di bordo”. In esso si parla del radar, con una nota di sapore scettico (che scrissi io) di cui mi dovetti pentire quando in piena estate con nebbie degne dell’autostrada Torino- Milano anni ’50 stentai ad imboccare Porto Rotondo e un’altra volta dovetti attendere diverse ore al largo di PortoTorres per individuarne l’accesso.

    Nessun accenno a Consol e Loran, allora usati solo dalla navigazione aerea e tantomeno al GPS tutto ancora da inventare e conseguentemente dei sistemi Ecdis. Mi domando perché trascurammo di menzionare il radiogoniometro.

    Comunque sia, dovessi riscrivere oggi quel manuale, insisterei sull’indispensabilità a bordo solo di pochi strumenti: barometro, bussola, orologio e solcometro (messi in ordine alfabetico).

    Sui velieri è molto utile anche l’anemometro mentre sulle barche a motore ritengo indispensabile il consumometro. Termine che non esiste in quanto le centraline elettroniche delle autovetture attuali affiggono sul cruscotto anche il consumo istantaneo e quello medio sul percorso. Facile la soluzione con l’alimentazione a benzina, più complicato sui motori diesel. Ciononostante esistono in commercio consumometri che si diffusero inizialmente soprattutto fra i pescherecci scandinavi.

    A sentire le statistiche della Guardia Costiera pare che un grandissimo numero di richieste di soccorso in mare si riferisce a barche rimaste senza combustibile. Non solo su fuoribordo anche piccoli ma anche su unità maggiori che contavano di raggiungere la destinazione prefissa ma che motivi vari, come modifiche alla rotta prevista o per condizioni di mare che imponevano un regime differente ai motori e conseguentemente un aumento del consumo.

    Monitorare costantemente i consumi è perciò, quando si naviga a motore, principalmente un elemento di sicurezza. Ma non solo, perché in una prospettiva di eco-compatibilità lo skipper potrà minimizzare il consumo e conseguentemente ridurre l’emissione di CO2 in atmosfera.

    Per tutti gli altri strumenti, concordo con la loro ridondanza ad una buona navigazione stimata. La sola, d’altra parte, che prima dell’invenzione del cronometro navale, permise comunque la conquista di quasi tutti i mari del mondo.

    VdS

  2. antonio soccol
    antonio soccol dice:
    08/02/2009 in 12:51

    Caro Paolo,

    solo per ricordarti un altro modo, usato con considerevole frequenza, per sapere con esattezza dove era arrivata la propria caravella dopo una traversata faticosa e tormentata. Consisteva nel mettere le cime a terra e poi, con aria indifferente, entrare nel più vicino negozio di cartoline postali, comprarne una e leggere con allegria o sconforto il nome del porto raggiunto. Evitava l’umiliazione di chiedere ai locali: “Dove sono arrivato?”.

    Il sistema, che ho scoperto esser molto diffuso, corrispondeva in parte a quello dei primi piloti di aerei minori che, quando si perdevano nei cieli, cercavano disperatamente una linea ferroviaria e ne seguivano i binari sino alla prima stazione per leggerne il nome…

    Con simpatia e assoluta approvazione,
    Antonio Soccol

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