I meriti della geometria a triciclo rovesciato
di Renato “Sonny” Levi
Le più veloci imbarcazioni a motore offshore compongono, oggi, due grandi categorie: quella dei monocarena e quella dei pluriscafi. Quest’ultimi possono, a loro volta, esser divisi in catamarani (un disegno classico a due scafi) e in trimarani. La prima di queste sotto categorie dei pluriscafi è la più popolare ma, nel recente passato, ci sono stati alcuni interessanti esempi di “varianti” nel concept dei trimarani.
Triciclo rovesciato
Queste “varianti” possono essere sostanzialmente divise fra le due geometrie denominate “triciclo” (gondola centrale a prua e due carene laterali a poppa via) e “triciclo rovesciato” (due galleggianti laterali a prua congiunti da un’ala e una gondola centrale a poppa).
Ai nostri giorni è generalmente accettato che, per il miglior “lavoro” in mare aperto e in condizioni di mare formato, uno scafo monocarena sia superiore ad un catamarano classico. D’altra parte non ci sono discussioni a proposito della maggior velocità potenziale di un “cat” rispetto un monocarena, grazie al sostentamento (lift) aerodinamico creato nel tunnel fra i due scarponi, elemento che riduce la resistenza dell’area bagnata delle due carene.
Questo “lift”, creato dal fondo dell’ala, produce però, nella navigazione in acque agitate, anche sbattimenti e colpi (pounding e slamming) che, oltre a causare un considerevole “sconforto”, possono anche danneggiare gravemente le strutture della barca e… del suo equipaggio.
Lo sbattimento si verifica in larga maggioranza nelle sezioni di poppa del tunnel, là dove sono piazzati gli “organi vitali” della barca: motori e piloti.
Nel disegno: sono evidenziati i tre ponti del “Levi Ram Wing 100” che sviluppano ben 3 mila mq. di superficie interna.
Lo scafo è lungo 100 metri per 36 di larghezza e ha la caratteristica geometria di carena a “ triciclo rovesciato ”.
Il “triciclo rovesciato” o “barca a tunnel a geometria a Y” mitiga questo grave inconveniente perché una carena, con un V ben pronunciato, è piazzata proprio dove il “pounding & slamming” provocano, a un catamarano classico, i danni maggiori.
In mare formato, alle velocità maggiori, quando la barca vola via, il rientro è morbido come quello di un monocarena perché il primo contatto con l’acqua viene fatto a poppa, dove lavora la carena a V della gondola centrale.
Benché il lift aerodinamico non possa avere lo stesso sviluppo di portanza di quello di un catamarano di dimensioni simili (per il semplice fatto che la gondola centrale riduce da un lato la superficie del tunnel e aumenta contemporaneamente l’attrito all’avanzamento aerodinamico), viene tuttavia prodotta una quantità più che apprezzabile di sostentamento. E questo, a sua volta, permette, grazie alla minor superficie bagnata, velocità maggiori di un monocarena tradizionale.
Giustamente qualcuno può chiedersi perché la geometria a triciclo classico (uno scafo a prua e due laterali a poppa via), così largamente impiegata negli scafi usati per i record mondiali di velocità assoluta sull’acqua, non sia stata qui presa in considerazione. Il motivo va innanzitutto ricercato nel fatto che le condizioni di utilizzo sono completamente differenti e, anche, che la ricerca primaria per quelle imbarcazioni, oltre che quella di raggiungere la massima velocità possibile, è di evitare il terribile, involontario “take off” (decollo).
Gentile Sig. Soccòl sono lieto che abbia risposto e illustrato le sue esperienze relative alla conduzione di unità dotate di questa particolare architettura di carena.
Ciò che lei scrive conferma sicuramente che ad una velocità sostenuta, tale da abbattere il “drag” generato dalla duplice opera viva anteriore e tale da poter beneficiare del sostentamento dinamico offerto dall’ala, che congiunge i suddetti scafi, questa carena comporta indubbi benefici sia in termini prestazionali sia di consumi (minori attriti=minori assorbimenti di potenza e quindi migliore resa dei motori), ciò è indiscutibile.
La domanda che vorrei porLe riguarda la possibilità di adottare tale carena anche su barche che non superino una velocità massima di circa 35 nodi ottenendone identici vantaggi.
Premetto che sono affascinato da barche come “Arcidiavolo”, sia per l’originalità del progetto sia per la resa dinamica di questa “Signora del mare”, ma rammento pur sempre che le innovazioni restano fini a sé stesse qualora non siano trasfuse nella produzione, rendendo così fruibili per tutti i frutti dell’estro e dell’ingegno umano.
Oggi pare siano andate perse quelle che erano le linee guida della progettazione di barche e basta fare un giro per i saloni nautici dove tutti possono ammirare il “piattume” delle carene, il sovraddimensionamento delle motorizzazioni, l’aumento spropositato dei pesi e il loro posizionamento verso l’alto, etc… rammentando pur sempre che esistono le dovute eccezioni.
In questo contesto gradirei che i progettisti e i cantieri ritornassero alle origini, cioè a progettare e costruire barche da AMARE per il MARE, e non vuoti contenitori da riempire con l’ultimissima forma di intrattenimento multimediale da mostrare in banchina come status-simbol.
Anche i blog, devono svolgere (e credo che quello di Altomareblu lo faccia in modo egregio) una sana e disinteressata cultura del mare e di tutto ciò che su di esso naviga, spronando l’analisi e la discussione su temi che forse letti da qualche addetto ai lavori possano riportare alla vera essenza dell’andar per mare.
Disinti saluti.
Lino Marchese.
Egregio Signor Marchese,
sono l’unica persona vivente che abbia navigato su uno scafo veloce con carena a geometria a Y (triciclo rovesciato) per quattro anni , ai tempi in cui, quando si correva in offshore, si traversavano i mari e quindi era giocoforza avere all’andata mare di prua e al ritorno di poppa oppure prima al mascone e poi al giardinetto (vedi, per esempio: Viareggio-Bastia-Viareggio; oppure Santa Margherita Ligure-Montecarlo-Santa Margherita Ligure). Lo stesso poteva capitare in altre competizioni che prevedevano ampi itinerari da coprire più volte (Imperia-Savona) oppure rotte a slalom fra varie isole (il Trofeo Napoli andava dalla città partenopea a Procida, Ischia, Capri, lo scoglio dei Galli, Punta Campanella, Napoli mentre il Trofeo Città di Roma faceva circumnavigare le isole pontine). Parlo della mia esperienza sui due esemplari in legno costruiti, a Bellaria, dal cantiere Acquaviva nei primi anni Settanta dello scafo “Arcidiavolo” di Giorgio Tognelli, progettato da Renato “Sonny” Levi. Fra prove e gare credo di poter annoverare più di un migliaio di ore su quelle due barche di cui ero collaudatore e secondo pilota e di aver quindi “provato” ogni tipo di stato del mare: dalle calme piatte e nebbiose dell’inverno romagnolo alle libecciate crudeli del primo autunno sulla costa ligure.
Come forse già saprà, “Arcidiavolo” era uno scafo da 10,50 metri , spinto da un motore a scoppio di grossomodo 400 cv (prima BPM Vulcano, poi Aeromarine) e, nelle migliori condizioni, filava 67 nodi abbondanti. Al di là di qualsivoglia argomentazione teorico-tecnica, ritengo la mia esperienza abbastanza probante per poterle garantire che la geometria a triciclo rovesciato non teme il mare di poppa. Non ho mai subìto “spin out” né ingavonate. Ricordo con particolare lucidità una gara a Imperia, mi pare fosse nell’ottobre del 1974, con mare stato 4 che per un lungo tratto di percorso era proprio di poppa e la barca era equilibratissima ad una velocità fra i 40 e i 45 nodi (con quel primo BPM era quasi la sua velocità massima).
In queste considerazioni non va scordato un dettaglio: per precisa esigenza dell’armatore, “Arcidiavolo” aveva una larghezza di appena 2,50 (doveva esser cammionabile). Aveva quindi un rapporto L/l di 4,2. Provi a pensare quale portanza darebbe l’ala che congiunge i due scafi di prua se questo rapporto potesse scendere sotto a 3. Non per niente Levi, progettando il fantastico megayacht da 100 metri di lunghezza cui lei fa riferimento, ha previsto una larghezza di ben 36 metri…(rapporto L/l = a 2,777). Il mare di poppa tende a far infilare la prua dello scafo nell’incavo dell’onda o in quella successiva (dipende dall’altezza delle onde e dalla lunghezza della barca), ma se la portanza aerodinamica alza le sezioni di prua il problema si riduce drasticamente: Naturalmente è altresì indispnsabile che le sezioni di prua dei due galleggianti laterali abbiano un buona portanza e quindi una V non particolarmente accentuata oltre che pattini longitudinali sino alla ruota di prua vera e propria.
Lei ama i monocarena. E le loro doti che sono indiscutibili (e il primo a non discuterle è proprio quel Levi che ha progettato l’Arcidiavolo…) ma, mi creda, se un giorno avrà l’occasione di provare uno scafo a triciclo rovesciato, avrà modo di constatare che c’è qualcosa di meglio.
E la mia opinione è che il futuro lo dimostrerà. Fors’anche in modo clamoroso.
Cordiali saluti.
Antonio Soccòl
Salve a tutti.
Avrei delle domande da porre e sarei lieto se qualcuno sapesse darmi delle delucidazioni.
Del comportamento in mare degli scafi monocarena, quelli veri con una V pronunciata, si è parlato in più occasioni, e nelle stesse si è sottolineato come queste unità riescano ad affrontare condizioni meteo-marine avverse con relativa faciltà non soffrendo eccessivamente con mare formato in poppa e nella nell’affrontare il moto ondoso al mascone.
Al contrario, con i catamarani queste stesse condizioni possono essere causa di disagi e a volte anche di pericolose situazioni, in quanto, a mia opinione, con mare di poppa è più facile incorrere in ingavonamenti dato il minore sostegno offerto dalla prua di tali barche. Mentre, affrontando le onde al mascone ho potuto costatare personalmente una tendenza allo sbandamento, credo dovuta alla minore superficie bagnata dell’opera viva.
Insomma, reputo i catamerani barche estremamente veloci, e questo spiega la loro diffusione nelle varie categorie delle gare di motonautica, però, quanto a comportamento preferisco sempre un buon vecchio monocarena.
Venendo, quindi, alla domanda… vorrei sapere quale potrebbe essere il comportamento nelle medesime condizioni di uno scafo con carena a triciclo rovesciato?
Tendo a specificare che la mia curiosità non si riferisce a imbarcazioni di 100 e passa piedi ma a delle molto più umane unità comprese i 30 e i 42 piedi.
So di chiedere tanto data l’originalità di tale architettura e il limitatissimo numero di persone che hanno avuto il piacere di saggiare le sue prestazioni, ma gradirei che la presente fosse spunto per uno scambio di opinioni e considerazioni.
Ringraziando anticipatamente per i vostri commenti, porgo cordiali saluti.
Lino Marchese.