33 esima Coppa America – Commento a Caldo
di Vittorio di Samuy
Le due regate che hanno testé riportato la Coppa in Usa mi hanno ricordato quanto è avvenuto in Formula Uno lo scorso anno.
Allora la soluzione della Brown spiazzò tutti, e ora a Valencia la tecnologia di Oracle ha umiliato Alinghi.
Questa interpretazione non è però corretta, perché a parte gli errori di Bertarelli, il discorso non si è chiuso quando abbiamo visto sui bordi di lasco la velocità di Oracle superare i 30 nodi con un vento reale di poco più di 8 nodi.
Una cosa però è certa, l’ala rigida ha confermato a Valencia quello che si sapeva benissimo da quaranta anni, essere cioè LA SOLUZIONE per raggiungere le massime velocità in acqua, superando anche quelle raggiunte dai windsurf che inclinano la vela sopravvento, senza menzionare i pluriscafi transoceanici.
Chi si ricorda i Catamarani di classe C ad ala rigida che si sfidavano nella cosiddetta Piccola Coppa America? Chi si ricorda dei record di Yellow Pages? Chi si ricorda che anche un “C” italiano, costruito e condotto dall’olimpionico Franco Pivoli ha partecipato negli anni 1978 e 80 alla Piccola Coppa con un’ala rigida?
Perché sembra che tutti si siano dimenticati di quei catamarani lunghi 7,72 metri, larghi 4,25, con 27 mq di vela (manovrabile a mano senza la necessità di usate motori per manovrare le vele come abbiamo visto a Valencia), e che raggiungevano agevolmente i 30 nodi con 15 nodi di vento reale?
Sarà stata la tradizione dei monoscafi? O piuttosto il timore che il gap tecnologico distruggesse lo spettacolo?
Cosa succederà nel futuro della Coppa America sta nella testa di Ellison ed anche Vincenzo Onorato dovrà aspettare il suo verdetto. Poi ne riparleremo.
Nulla m’impedisce però di ipotizzare quello che potrebbe succedere nonché quanto io auspicherei succedesse.
Sul primo punto temo che le istanze tradizionali ci faranno ritornare ai lenti monoscafi tutti eguali dove prevarrà l’abilità del timoniere e l’affiatamento dell’equipaggio.
Circa il secondo punto io penso che nel XXI secolo si dovrebbe premiare la ricerca tecnologica e progettare un monotipo (o tuttalpiù una classe a restrizione) ad ala rigida di dimensioni umane (senza cioè motore per la manovra delle vele), che non richieda investimenti stratosferici (si parla di 200 M€ spesi per Oracle) capace di competere a 35 nodi su un triangolo classico: lo spettacolo non mancherebbe!!
Dunque wait and see come dicono gli inglesi.
Però lasciatemi sognare a quello che potrebbe diventare un veliero…. che sarebbe difficile classificare ancora come barca, in quanto navigherà tutto sopra all’acqua, tenendovi solo più un’appendice. Parto da due esempi, che hanno dimostrato di funzionare.
Il primo è la piccola deriva inglese Moth che oggi ha una sottoclasse “foil”, nata in Australia, che abbiamo visto gareggiare anche a Riva del Garda, sollevata dall’acqua e sostenuta solo da due alette sommerse, una al centro scafo e l’altra sul timone.
Una situazione apparentemente acrobatica ma sostanzialmente simile a quella del ciclista che resta in equilibrio con impercettibili movimenti del manubrio (e, sul Moth, del timone).
Mentre il Moth Foil è capace di uscire dall’acqua da solo, è probabile che su barche più grandi diventi necessario rimorchiarvele, come si fa con i veleggiatori che richiedono un velivolo per il traino fino in quota, dopodiché riescono a rimanere in volo per giorni sfruttando solo correnti ascendenti termiche e dinamiche.
Il secondo esempio si basa sempre sull’ala rigida, ma ne occorreranno due.
Oltre a quella verticale per la propulsione, ve ne sarà una orizzontale, che rimarrà sollevata rispetto all’acqua sfruttando l’effetto suolo, sostenuta da un cuscinetto d’aria compressa provocata dal moto.
A parte il problema di far decollare l’ala (rimorchiata con fase transitoria su foil?), questa macchina da record avrebbe in acqua solo più una deriva antiscarroccio.
Un ottimo spunto per una tesi di laurea.
Le immagini di questo articolo sono tratte dal sito bmworacleracing.com che ne detiene i diritti.
carissimo Peppino,
ti ringraziamo per averci espresso il tuo punto di vista circa questa Coppa America che non è piaciuta a moltissimi appassionati e senza ripetere quanto hai già descritto, sono pienamente d’accordo con il tuo pensiero.
Certamente quello che afferma l’autorevole Vittorio di Sambuy per il futuro della Coppa America è assolutamente condivisibile e auguriamoci che si possa andare verso nuove regole e condizioni che siano valide tecnicamente e nella efficienza e capacità umane degli equipaggi delle imbarcazioni concorrenti, riportando il tutto nella logica della Coppa America.
Un caro saluto,
Giacomo
Che le tecnologie e le innovazioni tecniche debbano avere ampio spazio in confronti sportivi come quello della Coppa America, secondo me è una certezza a cui nessuno, tranne i nostalgici legati all’antico, vorrà mai rinunciare. Se non lì, ove altro si potrebbero sperimentare le innovazioni?
Ma, investire 200 milioni di dollari per 2 regate, unicamente per riportarsi a casa la Coppa America… bhe francamente… è inqualificabile. Tutto lo spettacolo del circling cui eravamo abituati nei round robin? Le estenuanti nottate passate a seguire le regate tra gli sfidanti?
Bhe che se la tengano pure ad arruginire in bacheca il trofeo delle cento Ghinee. Mi auguro che si torni ai round robin tra gli sfidanti e che il vincitore si confronti con il defender. Preferisco assistere a 100 mathcrace che a due sole stupide regate ove vince il progettista… che meglio interpreta le soluzioni tecniche in ragione dei badgets… e non l’uomo, l’equipaggio.
I trimarani io li adoro da sempre da quando ne ho timonato uno molti, molti, molti anni fa… Che venga il nuovo… ma che si possa godere anche delle capacità degli uomini nel condurre barche come quelle da Coppa America.
Peppino
“UN UOMO SOLO AL COMANDO”, vola sull’infinito tra mare e cielo verso l’immensità della sua futura leggendaria gloria alla conquista della più grande competizione velica. Chi non vorrebbe essere James Spithill eroe-spaziale di ORACLE vincitore della 33° Coppa America???
A presto,
Gianni
immagine digitale eseguita e rielaborata da Gianni Loperfido