Comprare una barca non e’ come comprare un’auto (I puntata)
di Antonio Soccol
Quando, nel 1525, il capitano francese Jacques de Chabannes, signore de La Palisse morì, i suoi soldati cantarono, per celebrarne la “vitalità” di combattente, una ingenua strofetta: “Un quart d’heure avant sa mort Il était encore en vie”, cioè un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita.
Da questo episodio nacque l’aggettivo “lapalissiano” per indicare una cosa ovvia, evidente oppure usato per una verità talmente manifesta e naturale che è quasi ridicolo enunciarla.
So di essere lapalissiano se sostengo che “una barca non è un’automobile” ma non è così per molti, anzi per troppi, fra quelli che le barche le producono e per quasi tutti coloro che ne comprano una.
Nel 1701 l’ufficiale francese, Antoine de la Mothe Cadillac, fondò sul fiume omonimo la città di Detroit. Un secolo dopo, in questa città e, specificatamente, in una officina sulla Mack Avenue, un signore di nome Henry Ford costruì la sua prima automobile. Nel 1908 nacque la famosa auto “Ford T” di cui furono venduti 15 milioni di esemplari. Negli anni 1957/58 la nostra Alfa Romeo produceva circa 27/28mila auto (“Giulietta”) all’anno, la Fiat realizzava dalle 500 alle 600 “Seicento” al giorno, mentre, in Francia, la Renault teneva un ritmo quotidiano di 1.400 “Dauphine”, vale a dire di una autovettura finita e pronta alla consegna ogni 25 secondi.
Nello stesso periodo, i Cantieri Riva di Sarnico, che erano di gran lunga i produttori europei di barche più organizzati ed efficienti sul piano della catena di montaggio, tenevano a fatica la media di uno scafo al giorno.
Ai giorni nostri vengono prodotte 60 milioni di automobili all’anno. Nessuno sa con esattezza quanti siano i natanti da diporto che vengono costruiti, ogni 365 giorni, in tutto il mondo ma, ad esser molto generosi, si può pensare ad una cifra vicina al milione di esemplari.
Questo è il rapporto in numeri fra auto e barche: 60 a 1. Ovviamente nel nostro computo sono escluse le barchette minori per motori fuoribordo, quelle a vela (wind surf compresi), quelle a remi e i pram di servizio (gommoni). Così come fra le auto non compaiono i sidecars, le motociclette o le biciclette.
Ora il lettore dovrebbe essere così gentile da fare una scelta: se appartiene a quel 35% di potenziali “acquirenti-barche” che intende poi usarle per “navigare” è probabile che possa essere interessato al resto delle mie elucubrazioni.
Se invece appartiene a quel 65% che vede la barca semplicemente come una casa al mare, allora è del tutto inutile che perda il suo prezioso tempo a leggermi. Io non faccio l’ingegnere edile o l’interior’s designer né ho esperienza professionale in merito. Dunque non faccio testo.
Confrontiamo, ora che siamo rimasti in pochi, le logiche e le esigenze di chi acquista una nuova automobile. Anni or sono, chi voleva avvicinarsi a quel grande momento imparava a memoria una intera annata di “Quattruote”, consultava amici, parenti, esperti e consulenti e poi comprava, a rate, la “Cinquecento”.
Oggi invece, quando uno si reca da un concessionario d’auto, non si sogna minimamente di chiedergli se l’oggetto del suo desiderio abbia o meno il servofreno, il servosterzo, l’Abs davanti a tutti i posti a sedere, le cinture di sicurezza, l’aria condizionata, la radio. A farle, certe domande, c’è il rischio di sembrare ingenui. Tutta quella roba è di serie ormai. Come il motore e le ruote. Tutt’al più si potrà discutere se il costo del navigatore Gps è compreso o meno nel totale finale. La velocità dell’auto? Ma con i limiti a 130 km/h, cosa serve? Basterà una semplice occhiata al “tachimetro” per vedere che il bolide garantisce un consolante 180/200 km/h. Il numero dei cavalli vapore del motore è, invece, una curiosità utile da soddisfare: per poter fare bella figura con gli amici.
Le auto di oggi hanno quasi eliminato il clackson che è così volgare. O quanto meno lo hanno reso così faticoso da far suonare (mentre una volta bastava sfiorarlo perché strillasse a tutto volume) che uno ne perde la voglia e poi: pazienza se il pedone non si scansa in tempo o se il ciclista insiste nella sua “rotta di certo tamponamento”.
La cassetta dei ferri? Ma dai…non siamo ridicoli. Giusto una occhiata distratta se ci sono gli strumenti per cambiare una ruota che tanto è, comunque, operazione riservata ai meccanici mica agli automobilisti di oggi.
Allora cosa guarda oggi l’acquirente di un’auto? Prima di tutto il comfort. La comodità di avere cinque porte che consentano facili manovre di salita e discesa ai vari ospiti futuri: marito/moglie, amanti, genitori, figli, amici, cani, gatti, mazze da golf eccetera. Poi la capienza del bagliaio: chissà perché ma abbiamo sempre tante valigie…
Infine, se è un esperto, il futuro acquirente, valuterà la visibilità globale: frontale, laterale, posteriore. Ci sono in circolazione modelli di auto coreane che hanno dei montanti che, in curva, ostruiscono quasi totalmente la vista delle auto sopravvenienti in senso opposto di marcia. E questo può essere molto pericoloso. A questo punto, chi deve comprare un’auto, di solito fa un giro di prova: un paio di isolati attorno alla sede del concessionario, qualche sgasata per “auscultare” il ruggito del motore, una finta “inchiodata” al semaforo giallo. Forse anche un finto parcheggio in retromarcia per valutare specchietti e lunotto. Qualcuno, ma deve essere proprio un fanatico, valuterà la ripresa o la stabilità in curva. Fine. Il resto della decisione dipende solo dal fattore economico (sconto, valutazione dell’usato da ritirare, leasing, mutuo eccetera) e, solo talvolta, dai tempi di consegna.
Differenti le operazioni e le curiosità che dovrebbe avere chi intende comprarsi una barca per navigare.
Ma teniamo ben presente un piccolo, determinante dettaglio: “per mare non ci sono osterie”. Capite? Nemmeno osterie.
Figurarsi se ci sono meccanici, officine specializzate, carri attrezzi eccetera. Per mare c’è solo il mare.
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Sapete come si fa ad eliminare un branco di lupi affamati disponendo solo di un coltello? Semplice e banale.
Si fissa sul terreno la lama del coltello in modo che rimanga ben ferma e con il lato tagliente rivolto verso l’alto. Poi vi si versano sopra alcune gocce di sangue: basta punzecchiarsi un dito per averne a sufficienza. E infine si aspetta.
Attratti dal sangue, i lupi ben presto arriveranno: il più veloce e prepotente si lancerà sulla lama del coltello ed inizierà a leccarla con l’ingordigia impostagli dalla sua atavica fame, e si taglierà così la lingua in modo sempre più profondo. Ogni leccata un taglio, ogni taglio uno zampillo, ogni zampillo una maggior voracità. Uscirà molto sangue (dalla bocca del lupo) che produrrà una sorta di frenesia collettiva. I lupi finiranno per sbranarsi a vicenda eliminandosi completamente.
E’ il concetto della “trappola”, di quella situazione cioè nella quale basta un piccolo errore iniziale per non uscirne più se non con una tragedia finale. Naturalmente questo non vale solo per i lupi. Funziona in modo dannatamente drammatico anche per gli esseri umani. Nelle loro decisioni quotidiane, nei loro affetti, nelle loro scelte. Nei loro acquisti. La vita è (quasi) tutta una “trappola”.
Nelle barche a motore c’è, per noi potenziali acquirenti, una tremenda lama di coltello. E’ l’oggetto più semplice e elementare che ci sia a bordo di un natante e tutto sembra tranne che una maledetta esca da trappola. E’ il volante. Lo chiamo così perché in effetti è un volante d’auto e non una ruota del timone come sarebbe più corretto dire ma che, come si sa, si può avere solo sulle barche a vela le quali, vedi caso, sono state inventate molto, ma molto prima dell’automobile.
L’atteggiamento psicologico di chi vede un oggetto così famigliare come un volante d’auto è tale che il soggetto viene automaticamente portato a pensare che il veicolo che ne dispone sia praticamente un’autovettura, cioè un mezzo di trasporto che abbiamo imparato a condurre sin dalla nostra prima giovinezza.
Qualcosa che non ci darà mai dei problemi. Qualcosa alla quale si può affidare serenamente la propria vita e quella dei nostri cari. Pensateci. Cosa guardate come prima cosa quando salite su una barca? Il posto di guida. E’ la stanza dei bottoni, il posto di comando, il luogo del potere. Ma tutti quegli strumenti, quei pulsanti, quegli interruttori, quelle manopole, quegli “up- down” non hanno una identificazione immediata, ci vorrà un minimo di pratica per imparare a consultarli e usarli. Una sola cosa invece dichiarerà immeditamente la sua assoluta funzionalità, disponibilità e “amicizia”: il volante.
La stragrande maggioranza istintivamente si siederà al posto di guida, impugnerà il volante e si guarderà attorno. Questo sia che la barca sia a terra dentro ad un capannone, esposta in un Salone specializzato oppure ormeggiata in un marina e pronta all’uso.
Ecco: da quel momento in avanti, quella non sarà più una barca. Sarà una “automobile che va sull’acqua”. E la trappola sarà inesorabilmente scattata: il lupo ha dato la sua prima leccata mortale alla lama intrisa di sangue. Andiamo ora a guardare come il mondo dell’auto e quello delle barche fanno in modo che la clientela si avvicini alla loro produzione. Che tipo di pubblicità facciano, per esser più chiari.
La nautica non ha dimensioni di mercato né economie per permettersi comunicazione in televisione mentre le industrie automobilistiche sono fra le clienti più attive e presenti nei palinsesti pubblicitari della Rai e di Mediaset. Ma la sostanza dei messaggi non cambia: “Ora la luce deve inseguire”, garantisce, su una doppia pagina, l’annuncio della Audi che appare sulle riviste specializzate in automobilismo. Negli spot tv si enfatizza il silenzio di una vettura, oppure la sua capacità di portarvi su scenari di inconsueta bellezza, o infine le sue doti di “aiutante” nella conquista della persona amata. In breve: tutta pubblicità emozionale.
Ricordate quando arrivarono in Italia i primi profughi albanesi che cercavano il “Mulino Bianco” che avevano visto sulle nostre reti tv, ben visibili dall’altra parte dell’Adriatico? E ricordate la loro delusione nello scoprire che era un invento pubblicitario?
Ho avuto occasione di lavorare, per quasi dieci anni, molto vicino all’ufficio marketing di un (allora) importante orologio sportivo. Come si sa, l’unica cosa che deve fare un buon orologio è segnare l’ora esatta. Paradossalmente gli orologi al quarzo (che costano pochissimo) sono infinitamente più perfetti di quelli a carica tradizionale (che costano molto di più: vedi, una per tutti, la gamma Rolex). Per questo (visto che “l’ora esatta” è qualità eguale per qualsiasi orologio al quarzo), da quei maghi del marketing, i messaggi che si diffondevano erano inesorabilmente di tipo emozionale: si voleva lasciar credere che, grazie al loro orologio, Manolo scalava l’impossibile, Pipìn e Umberto Pellizzari scendevano in apnea abissi abissali, Carla Perrotti attraversava a piedi i deserti dei cinque continenti, Guy Delage traversava a nuoto in solitario l’oceano Atlantico, Gerard d’Aboville traversava a remi (sempre in solitario, si intende) l’oceano Pacifico, Patrick de Gayardon volava come Icaro e Mike Horn girava tutto il pianeta Terra lungo la linea dell’equatore… eccetera eccetera.
Attenti: le imprese erano assolutamente autentiche e autenticate ma che ha consentirle fosse quel magico orologio, questo no, non era affatto vero. Eppure, per anni, il messaggio funzionò alla grande.
Com’è la pubblicità dei cantieri? Sfogliate la rivista che avete in mano: una bella ragazza in abiti succinti (vabeh, siamo al mare ma accà nisciuno è fesso, no? e, per dirla in milanese, si sa che “tira pusée un pel de figa che tri para de boeù”), una bella distesa di mare, una barca (spesso fotografata in artistico controluce), e poi dei pay-off (una volta si diceva “slogan”) accattivanti.
Pesco a caso: “Il gusto dell’avventura”, “Il sapore dell’avventura”, “Nuovi orizzonti dal miglior punto di vista”, “Raggiungi il tuo orizzonte”, “Le emozioni navigano libere”, “Le emozioni seguono sempre la stessa rotta…”, “Una barca per ogni emozione”, “Amo la sabbia morbida e le curve del mio salotto”, “Mare da vivere”, “Il sogno è come una scia. C’è chi la fa e chi la insegue”, “Potenza e versatilità”, “I grandi amori non invecchiano mai”, “T’illumina D’Immenso”, “E’ facile creare parole, è difficile creare idee”, “Se l’avessi progettata tu, l’avresti fatta così”, “Il primo maxi yacht natante”, “Più amici ci sono, più aumenta lo spazio”, “I sogni viaggiano a una velocità spaventosa. Preparatevi a viverli”, “Navigare alto”, “La perfezione non basta”. C’è anche qualcuno cui non basta la nostra modesta lingua e passa ad un più efficace e convincente inglese: “The sun starts here”, “I want to Sea”, “Legend”, “The unsinkable Legend”, “Back to the Legend”, “Defining first class”, “Power of style”,“Tecnology of dream”, “Far from ordinary”, “The only one in his category”, “The right size of luxury”, “Rise above ordinary points of view”.
Mai che ci sia una scheda tecnica, mai che ci sia un disegno della carena (la cosa più importante di una barca), mai che ci sia una foto dello specchio di poppa (che si veda fino in fondo, non solo sopra la linea di galleggiamento).
In sintesi: siete pregati di comprare per emozione, non per qualità. Di affidare la vostra vita alle motivazioni evanescenti e non a quelle pratiche, reali, concrete.
Nel 1952 Isaac Asimov, in assoluto il miglior scrittore di fantascienza (e grande divulgatore scientifico), scrisse “Cronache dalla Galassia”. In una regione sperduta dell’Impero (ovviamente galattico) c’era aria di ribellione. L’Impero mandò un suo ambasciatore, lord Dorwin, che, in cinque giorni di chiacchiere, tranquillizzò i ribelli. Ma fra questi c’era, Holk, un inventore. Uno che aveva studiato e realizzato una strana macchina che analizzava i discorsi. Ecco il racconto con le testuali parole di Asimov (tradotte dall’inglese originale da Cesare Scaglia): “Quando Holk, dopo due giorni di duro lavoro, riuscì ad eliminare ogni affermazione priva di significato, le parole incomprensibili, gli aggettivi inutili, in breve tutto ciò che era irrilevante, scoprì che non era rimasto niente. Aveva cancellato tutto. Signori, in cinque giorni di discussione, lord Dorwin “non ha detto assolutamente nulla”, ed riuscito a fare in modo che voi non ve ne accorgeste.”*
Questa macchina purtroppo non è stata ancora inventata e quindi non posso garantire che tutte quelle belle parole, quei “pay off” che vi ho trascritto prima, siano solo “aggettivi inutili”. Però mi chiedo cosa ve ne farete di quelle splendide frasi (è stato anche e persino “scomodato” un grande poeta come Giuseppe Ungaretti con una citazione malmostosa del suo Mattina , da “Allegria”) quando- dicevo- vi troverete, sia pure per sbaglio o per puro caso, a navigare su un “mare formato” con uno scafo che ha come unica garanzia solo il “nulla”. Telefonerete al “pronto soccorso”? Oppure alla fotomodella che aveva quello straordinario “salotto”?
Facciamo un ultimo confronto.
Al momento dell’acquisto di una automobile si ha tutto quello che è indispensabile meno gli optional inutili o molto personali (le casse per la musica, i tappetini eccetera).
Per una barca invece no: oh, sì certo, nel prezzo è compresa quasi sempre anche l’àncora: ma siete certi che una basti? A me è capitato in Croazia di averne tre contemporaneamente in mare per resistere (a fatica, molta fatica) alla bora di un giorno d’agosto… E le cime d’ormeggio? Pensate che quei quattro spezzoni che vi danno bastino? Non so. Io navigo sempre con un rotolo di scorta da 200 metri a bordo… e mi capita spesso di doverci metter mano.
L’elenco, a farlo tutto, sarebbe lunghissimo: cito ancora solo un pannellino solare, così utile per tenere sempre in carica le batterie (specie quelle dei servizi). Insomma ogni anno sarete alle prese con il catalogo di Osculati (o dei suoi competitors): e ogni anno dovrete fare acquisti per completare la vostra barca. E’ così.
A questo punto mi sembra sia evidente che, davvero, una barca non è un’automobile.
Nella prossima puntata cercherò di darvi qualche suggerimento per acquistare un natante atto a navigare. Intanto ciao.
* Tratto da: Isaac Asimov, Cronache della Galassia, Oscar Mondatori 1974, introduzione di Fruttero e Lucentini, traduzione di Cesare Scaglia. Capitolo 12. Edizione originale: 1952.
Apparso sulla rivista “Barche” nel fascicolo di gennaio 2007 – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Grazie Marcopolo,
detto da te, suona bene…
Un cordiale saluto,
Antonio Soccol
Interessante post.
Complimenti