Antonio da sempre me la menava con la Vogalonga. Tutte le volte che gli affidavano la direzione d’un nuovo periodico (o d’uno vecchio bisognoso di rianimazione) lui ci cacciava dentro un reportage sulla Vogalonga. Fotografie di Enrico Cappelletti. Una festa di colori, facce stravolte dalla fatica, occhi d’orgoglio, acqua, merletti di marmo, Venezia. Io già amavo Venezia. Come tutti. Venezia è patrimonio dell’umanità, dunque appartiene a tutti e a ciascuno. Un po’, anzi: parecchio di più ai veneziani. Che hanno inventato la Vogalonga innanzi tutto per ribadire il loro diritto al possesso della già Serenissima. E per attirare l’attenzione della pubblica opinione sui problemi della città ricamata sulla laguna e minacciata dall’acqua alta, dal moto ondoso, dall’invadenza di milioni di foresti che la percorrono, la calpestano, la insudiciano ma portano schei, soldi, valuta pregiata finché circolava la lira perché adesso circola l’euro che è valuta pregiatissima. Questa faccenda della Vogalonga mi intrigava
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