Costruzioni Navali Militari
di V. di Sambuy
C’era una volta…
un periodo favorevole alle vendite di materiale militare, quando l’Italia occupava il quinto posto al mondo per le esportazioni. Fra esse molte navi, fra cui una serie di fregate tipo Lupo, i cacciamine classe Lerici e, last but not least, il complesso navale superrapido 75/62 dell’Oto Melara venduto in una ventina di paesi del mondo, ivi compresi gli Usa.
Erano vendite ufficiali, da Stato a Stato, niente a che vedere con il contrabbando di armi, che ha visto peraltro nostri minisommergibili comparire fra qualche flotta mediorientale.
Va notato che si trattava in prevalenza di prodotti già impiegati dalle forze armate nazionali, giacchè il cliente estero si fida solo di materiale regolarmente omologato in patria.
“Si vis pacem para bellum, bellezza”, avrebbe detto Humphrey Bogart.
Checché ne dicano i pacifisti, il detto l’avevano però inventato, assai prima dei Romani, città-stato come Sparta. ed è sempre ancora valido oggi, come allora.
Sotto la spinta di campagne pacifiste la stampa italiana appoggiò negli ultimi anni del XX secolo un utopico disarmo generalizzato che vide frapporre ostacoli burocratici assurdi a molte floride aziende italiane che esportavano con successo le loro piattaforme e i sistemi d’arma.
E crollarono le vendite, sia all’estero, sia alle forza armate nazionali, non finanziate a sufficienza da tutti i governi, come avrebbero invece imposto gli accordi Nato.
E’ perciò con una certa soddisfazione aver appreso da recenti notizie di stampa che le nostre esportazioni di materiale militare sono cresciute in modo soddisfacente. L’andamento, escludendo i programmi intergovernativi, è cresciuto dai 1,36 Gigaeuro del 2005 ai 4,91 Gigaeuro del 2009 con esportazioni dirette per il 40% al Medio Oriente e Africa Settentrionale, al 36% verso l‘Europa e al 10% al Nordamerica.
L’industria italiana delle difesa si è così riposizionata al 7° posto mondiale.
Fra i comparti che esportano di più è in testa quello aerospaziale seguito dalla Fincantieri, che ha venduto all’India una nave logistica classe Etna, e da sistemisti più piccoli ma non meno importanti.
Come citato dianzi, da queste statistiche sono esclusi i programmi intergovernativi, per un valore di circa 1,8 Gigaeuro. Sono, questi, frutto di accordi interforze che prevedono la costruzione di un mezzo, come per esempio l’Eurofighter destinato a diversi paesi, ciascuno dei quali partecipa per una quota corrispondente al valore dell’acquisto in proprio. Così sono anche le fregate classe Horizon del programma italofrancese.
In un momento critico in cui l’industria nautica da diporto annaspa fra difficoltà di ogni genere, è giusto ricordare i brillanti successi dei pattugliatori anticontrabbando e dei velocissimi supergommoni di Buzzi. Due settori che hanno continuato a vendere nonostante la crisi, grazie alle nuove esigenze che tensioni locali continuano a provocare a getto continuo.
Un filone da coltivare e seguire, trasferendo le competenze tecniche dalle unità superlussuose a mezzi paramilitari di elevatissime prestazioni, qualità nella quale i nostri cantieri sono assai esperti.
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