Cinquanta anni fa la prima Viareggio Bastia Viareggio
di Marco Bertini
Cinquanta anni fa prendeva il via la prima Viareggio – Bastia – Viareggio
Gara offshore italiana e dell’intero bacino Mediterraneo. In realtà, la gara nelle prime edizioni era stata denominata Raid Internazionale per “motor-cruisers”, a sottolineare da subito l’impronta di serie che il suo creatore Franz Furrer intendeva dargli.
Era una calda e assolata mattina di sabato 14 luglio del 1962 e l’ultimo bollettino meteo dell’Aereonautica Militare emesso alle 9 dava vento da nord ovest di 20 nodi alla Gorgona, mare mosso sotto costa e agitato al largo. Nella bella sede del “Club Nautico Versilia” al primo piano fu prevista la direzione e l’organizzazione della gara. Nel porto di Viareggio di fronte alla banchina est darsena Europa c’era un andirivieni di persone, armatori e tecnici delle imbarcazioni iscritte alla competizione, personale addetto alla conduzione e controllo della gara stessa, oltre ai militari della Capitaneria di Porto.
Tra tutti i presenti c’era l’allora presidente del Club Nautico Franz Furrer che ascoltava perplesso dagli addetti delle condizioni meteo e chi gli chiedeva se fosse il caso di dare l’ordine per la partenza della gara.
Franz Furrer era uno svizzero naturalizzato italiano erede di una dinastia celebre a Carrara per la lavorazione del marmo, ma lui aveva la passione per il mare e lo studio delle carene delle barche da diporto. Ne aveva possedute già alcune ma a lui interessava quello che si stava progettando oltre oceano, negli Stati Uniti.
La parola offshore Franz Furrer l’aveva sentita per la prima volta nel 1961 mentre si trovava negli Stati Uniti per un suo approfondimento in tema di carene in un momento di relax a bordo di un battello che solcava lentamente le acque del fiume Hudson per un giro intorno all’isola di Manhattan a New York. Furrer notò quella che inequivocabilmente doveva essere una gara fra motor yacht e informatosi ne ebbe la conferma. Queste imbarcazioni, venivano da Long Island ed il percorso si sviluppava su un periplo del principale luogo di vacanze dei newyorkesi.
Si trattava della della terza edizione della “Around Long Island Marathon”, una competizione offshore appunto, dal termine inglese off-shore– (tradotto letteralmente: fuori costa/al largo), vide il trionfo dell’inventore e protagonista assoluto di questo nuovo sport motoristico un certo Sam Griffith ex giocatore di football americano, ex ufficiale di rotta di bombardieri ed ex guardia del corpo del generale George Patton durante la Seconda Guerra Mondiale, pilota automobilistico ad Indianapolis, nonché vincitore della prima gara offshore della storia, la “Miami – Nassau” del 1956. Griffith era insieme all’amico Dick Bertram sul già leggendario “Glass Moppie”, un 31’ in vetroresina, il primo deep vee e prima carena a V profondo ideata da Raymond Hunt. Insomma, una gara di primati assoluti di questo sport, quella a cui assistette Furrer. Era il 12 giugno del 1961 e purtroppo fu anche l’ultima vittoria di Griffith prima che un cancro mettesse fine ad una vera vita vissuta pericolosamente.
Tornando in Italia nella tranquilla Viareggio balneare affollata di ombrelloni sulla spiaggia, pattini a remi, vele e motoscafi che compivano evoluzioni trainando aitanti sciatori d’acqua, Furrer aveva una sola idea in testa, creare anche qua una gara simile a quella a cui aveva assistito nella tecnologica e opulenta America.
Del resto si era in pieno boom economico e gli italiani oltre ad aver scoperto l’uso dell’automobile in massa e le vacanze al mare stavano scoprendo sempre più l’andar per mare non più solo con l’acqua fino alle ginocchia vicino alla riva. Il neologismo “nautica da diporto” cominciava ad essere sulla bocca di molti e vi era sul territorio nazionale un proliferare di cantieri che costruivano imbarcazioni a motore di tutte le dimensioni. Dopo l’auto… la barca. I presupposti per una nuova competizione c’erano.
Furrer seppe subito cogliere lo spirito dell’offshore americano in cui la competizione non era più solo una gara motonautica che si svolgeva sotto costa, così come avveniva dagli inizi del secolo in varie parti del mondo Italia compresa, ma di una vera traversata su lunga distanza dove doti di navigabilità, durata ed orientamento dovevano ora affiancarsi a quelle di potenza e velocità.
In seno al Club Nautico Versilia, Furrer trovò subito chi lo appoggiò con entusiasmo e tra tanti spiccava per passione Federigo Landucci. Tra i cantieri nazionali più in auge in quel momento trovò consensi dai laziali Italcraft di Sergio Sonnino Sorisio e Navaltecnica di Attilio Petroni ed il geniale giovane progettista italo-britannico Renato “Sonny” Levi. Quest’ultimi due avevano partecipato quello stesso 19 agosto 1961 in Inghilterra, alla prima edizione della Cowes Torquay, nonché prima gara offshore europea, su una barca progettata dallo stesso Levi e costruita nei cantieri Navaltecnica di Anzio. “A’ Speranziella”, così si chiamava la prima barca offshore italiana, era un 8 metri in lamellare spinto da una coppia di motori americani a benzina Crusader di derivazione automobilistica, che si rese subito protagonista durante la gara prima di cedere il passo a causa di problemi meccanici e arrivando comunque sesta a Torquay su 27 partenti, dopo 156 miglia marine e mare agitato.
Furrer trovò appoggio anche dalla stampa specializzata sportiva ed in particolare dalla nuova rivista “Nautica” di Vincenzo Zaccagnino che diverrà pari passo con la Viareggio Bastia Viareggio, la più autorevole del settore nautico, con reportage prima e dopo la gara, insieme al quotidiano sportivo “Corriere dello Sport”.
Il percorso scelto fu la traversata del Tirreno, anche se tecnicamente parlando le acque interessate entrano nell’area del Mar Ligure, fra Viareggio e Bastia, quest’ultima principale porto della Corsica orientale, dopo un primo tratto lungo costa fino a Forte dei Marmi. Il giorno dopo ritorno diretto passando tra le isole di Capraia e Gorgona. La classifica sarebbe stata stilata per somma dei tempi dei due tratti.
Il regolamento tecnico non seguì la filosofia americana che accettava imbarcazioni di qualsiasi genere e motorizzazione senza particolari limitazioni se non nelle dimensioni e nella cilindrata, ma prendeva spunto da quello inglese che privilegiava le imbarcazioni prettamente costruite in serie e con tutti i comfort e sicurezza a bordo, ivi comprese stoviglie, suppellettili e ingombranti ed evidenti passamani sulla coperta.
Nasceva così subito la contrapposizione americana-europea sul come intendere le competizioni offshore, con la prima che voleva barche che andassero sul mare nel modo più veloce possibile in assoluto e la seconda che invece voleva intendere questa gare come esclusivo banco prova per imbarcazioni destinate al diporto turistico. Più spettacolare e tecnica le prima, più sicura e abbordabile la seconda.
La regolarizzazione di queste gare sotto un unica regia internazionale della UIM impose più la teoria americana anche se, soprattutto in Inghilterra, si continuò a privilegiare il loro personale modo di intendere l’offshore. Non a caso a Bastia la sosta prevedeva una cena a bordo delle varie imbarcazioni partecipanti a dimostrare proprio il carattere “di serie” di queste.
Quella mattina di sabato Furrer con il foglio del bollettino meteo in mano pensò comunque allo spirito USA di quelle gare e alla Cowes-Torquay dell’anno prima che si corse con un mare decisamente mosso. L’Offshore significava anche e soprattutto questo, ma date le condizioni del mare nessuno sembrava realmente intenzionato a mettere la prua della propria imbarcazione oltre l’imboccatura del porto e dei 24 iscritti, erano attraccati nella banchina davanti alla sede del Club Nautico Versilia solo 19 imbarcazioni. Erano tutti cabinati di varie dimensioni come i grossi motor yacht Picchiotti, che avevano ed hanno ancora oggi il cantieri proprio alle spalle del Club dove durante la guerra vi costruivano i veloci MAS su progetto Baglietto. Nel dettaglio Picchiotti era presente con un 47’ della serie “Giannutri” ed un più vecchio “Super Versilia” di 55’, entrambi carene dislocanti e motorizzati con dei pesanti diesel americani.
C’erano un paio di cabinati di fabbricazione americana, un Cris Craft di 32’ con motori a benzina del mecenate dei jeans made in Italy, i Rifle e un Trojan 3400 Express Cruiser.
Poi tutta schierata la squadra Italcraft con 4 barche con le nuove carene tipo Hunt per i due nuovi X-1 di 26’ e due più grossi Sea Skiff di 28’ tutti motorizzati con dei Chrysler a benzina.
Infine il gioiello di Navaltecnica, la rossa “A’Speranziella” simile al prototipo del 1961 ma ora di 30’ spinto sempre da una coppia di Crusader 8V con sistema di trasmissione V-drive ad assale elica.
La gara era in forse e Furrer sapeva che se alla prima edizione avesse fallito difficilmente ci sarebbe stata una seconda possibilità. Mentre stava pensando sul da farsi un suo collaboratore gli fa presente che giù nell’ingresso del Club, davanti alla segreteria c’è un concorrente che freme per parlargli. Furrer accoglie la richiesta e dopo pochi attimi gli si presenta un minuto, piccolo biondo con delle carte nautiche in mano che gli chiede il perché ancora non si usciva con le barche.
E’ Vincenzo Balestrieri, avvocato romano ed imprenditore edile, alla sua prima esperienza in una gara offshore ed iscritto con il suo Cohete un “Super Versilia” di Picchiotti, un gigante motor yacht di quasi 17 metri con un avanzato sistema radar montato sopra la contro plancia.
Furrer inizia a spiegargli le ragioni ma Balestrieri lo interrompe bruscamente affermando che lui vuol partire e se altri non lo vogliono fare sono problemi loro.
Furrer pensa che se almeno un concorrente prenderà il via la gara sarà valida a tutti gli effetti e quindi salva ed interpella il Comandante della Capitaneria di Porto che lo rassicura ritenendo le barche iscritte idonee ad affrontare le condizioni di mare in essere. Contattati alcuni proprietari di cantieri essi confermano la disponibilità a correre con un ritardo di due ore sul tempo di partenza previsto. La gara ha finalmente inizio alle dodici in punto con nove imbarcazioni sulle diciannove presenti in porto.
Il via è parallelo alla diga foranea del porto e le unità non prendono il largo singolarmente come previsto dal regolamento ad intervalli di un minuto, ma tutti insieme, mare al traverso con onda lunga verso una boa posta davanti a Forte dei Marmi.
Lungo la costa di Viareggio e il Lido di Camaiore, fra l’assonnato stupore dei bagnanti che sicuramente non avevano mai visto così tante barche a motore tutte insieme lanciate verso una solita ma improbabile passerella, scatta in testa il Giannutri costruito dal cantiere Picchiotti dell’armatore “gentleman driver automobilistico” Carlo Leto di Priolo, ma che ha già sulla sua poppa la veloce ‘A Speranziella guidata dall’abile Comandante Attilio Petroni ex ufficiale di Marina e dal progettista Levi con cui si alterna al timone.
Dopo la virata della boa posta davanti a Forte dei Marmi le barche ora affrontavano il mare avendo le onde di prua.
Il grosso Giannutri pareva affrontare bene il mare spinto a tutta manetta, fendendo le onde e alzando piccoli baffi d’acqua senza “incappellate” ma meglio di questa barca sembrava essere A Speranziella che invece le onde le cavalcava con agilità e un morbido beccheggio, merito della nuova carena detta a V profondo con i pattini longitudinali.
Le condizioni del mare invece sembravano penalizzare un po’ le barche di Italcraft soprattutto per la scarsa motorizzazione. Qualche miglio e il cruiser di Petroni superava agilmente il grosso Picchiotti e sarà primo a Bastia dopo quasi tre ore di gara a 26,88 nodi con i concorrenti costretti ad affrontare Il mare duro e la presenza del fastidioso vento di maestrale teso al traverso, particolare che diventerà una caratteristica della VBV. Infatti, in tre occasioni costringerà gli organizzatori ad accorciare il percorso alla Gorgona, rinunciando a Bastia.
Nel porto corso riparato dal maestrale arriva ‘A Speranziella seguita dal Giannutri distanziato di quasi tredici minuti. Poi è la volta del primo Italcraft, Amicizia di Mario Sonnino Sorisio fratello del costruttore e con i suoi 26’ era la barca più piccola in gara. Amicizia arriverà dopo oltre un’ora a causa di un grossolano errore di rotta a causa e di un difetto alla bussola che costringerà l’equipaggio a tagliare il traguardo venendo da sud anziché da nord-est.
Al traverso della Gorgona l’altro X-1 in gara, il Bonifacio II pilotato dal costruttore Sergio Sonnino Sorisio, urta un relitto galleggiante e inizia ad imbarcare acqua in sentina costringendo l’equipaggio a lanciare i segnali di soccorso subito notati dal sopraggiungente Balestrieri che si accosta all’imbarcazione e la prende al traino invertendo la rotta per Viareggio. Sarà la prima di una serie di atti di cavalleria di cui si renderà protagonista il futuro bi-campione del mondo nella sua lunga ed illustre carriera offshore che lo vedrà vincitore fra le altre di quattro edizioni della VBV. Il Campione romano si è spento lo scorso 30 marzo.
I relitti galleggianti in Gorgona saranno un altra caratteristica delle edizioni della VBV e nel 1968 costringerà il Budda Special del costruttore Salvatore Gagliotta a spiaggiarla sull’isola-carcere. Nel 1988 vedrà affondare, sempre per lo stesso motivo, il celebre Pinot di Pinot ex Red Iveco che fu il primo catamarano a vincere questa gara nel 1983.
Dopo i festeggiamenti veramente calorosi e con una nutrita presenza di spettatori a Bastia, gli stanchi e provati equipaggi si concedettero un meritato riposo nelle acque tranquille e rassicuranti del vecchio porto contornato da ristoranti tipici come il “Chez Lavezzi” dove quasi un anno prima Furrer e soci si erano accordati con gli organizzatori locali per varare la gara.
La tappa di ritorno del giorno dopo offrì poche novità rispetto all’andata. Infatti, il mare da affrontare era un’onda lunga di poppa, con una condotta non molto più semplice rispetto al mare di prua, che niente o poco cambiava nei risultati.
‘A Speranziella arrivava prima a Viareggio con una velocità media superiore a quella della altre concorrenti a circa 32 nodi di media ed un tempo totale di percorrenza di quasi mezz’ora più breve.
Amicizia, l’Italcraft X-1 di Sonnino terzo ad oltre un’ora da Petroni nell’andata, senza errori ed evidentemente a suo agio con il mare di poppa arrivava secondo a soli 3′ e 37” a poco più di 31 nodi di media.
Si ricorda che questa era la più piccola delle nove barche partite il giorno prima da Viareggio e con una potenza quasi la metà dello scafo vincitore, a dimostrazione della validità del progetto che pur avendo una moderna carena a V profondo era sempre un cabinato di serie. Gli X-1 dimostreranno alla VBV dell’anno successivo la validità di quel progetto.
Terzo a Viareggio il Giannutri mantiene la seconda piazza nella classifica generale per somma dei tempi a meno di tre minuti dalla barca della Italcraft.
Quarto l’altro Italcraft di Funaro, il Sea Skiff Virginia, anche grazie ai problemi avuti al ritorno dal Trojan Ilo di Giovannini per un avaria che ne ritardava l’arrivo a Viareggio, arrivando fuori tempo massimo.
Tutto sommato la prima edizione della VBV passava la difficile prova della prima volta. Gli iscritti presenti in porto il giorno prima della gara erano già sufficienti per decretarne il successo e solo a causa delle avverse condizioni del mare, che avevano costretto molti a rinunciarvi, e solo la metà circa presero il via alla gara.
I nove temerari erano partiti, tutto si era svolto regolarmente e quindi la prima edizione veniva archiviata positivamente e si poteva già iniziare a lavorare per la seconda edizione dell’anno successivo. Difficilmente sarebbe stato così se la gara non si fosse svolta o ancor peggio avesse incontrato dei problemi durante lo svolgimento.
Nel salone delle cerimonie del Club Nautico Versilia la sera del 15 al gala organizzato per le premiazioni delle tre categorie della classifica generale ed altri premi di contorno c’era grande allegria e soddisfazione da parte di tutti soprattutto di Furrer e dei suoi collaboratori. L’obiettivo era stato centrato.
La gara venne replicata l’anno successivo sempre con la formula in due tappe da svolgersi in due giorni, questo fino al 1965 quando il percorso si adeguò a quello delle altre gare offshore negli Stati Uniti e Inghilterra che si svolgevano in un unica soluzione in un giorno. Intanto la seconda edizione fu subito gara internazionale grazie alla partecipazione di Jim Wynne, uno dei grandi protagonisti sia nella tecnica che nell’agonismo. Wynne parteciperà con un Settimo Velo di 24’ che montava i piedi poppieri da lui creati, anche se è più giusto dire “perfezionati e costruiti dal licenziatario Volvo Penta”.
Nel 1964 arriva un altro grande protagonista dell’era pionieristica dell’offshore, Richard “Dick” Bertram che seppe intuire le potenzialità di una carena progettata da Raymond Hunt, con i pattini disposti longitudinalmente alla carena e prestazioni nautiche ben superiori alle carene dislocanti in uso fino ai primi anni sessanta. Bertram collaudava queste sue carene divenuti poi i fisherman più famosi al mondo, proprio partecipando e soprattutto vincendo le gare offshore come la Viareggio Bastia Viareggio. Arrivarono altri protagonisti delle competizioni che poi diverranno pietre miliari non solo dello sport, ma del mondo nautico internazionale.
A Levi,Wynne e Bertram si aggiunsero così all’albo d’oro della gara Don Aronow pilota e costruttore dei suoi Donzi, Magnum e Cigarette, Don Shead progettista degli Enfield del campione inglese Sopwith, ma anche dei vari CUV monocarena che vinceranno titoli fra la fine degli anni settanta e la metà degli ottanta. Poi arrivò Fabio Buzzi, prima con i suoi piccoli catamarani costruiti dalla C&B che dominavano tutte le sottoclassi della C3, fino ai mostri frantuma record della classe regina, la 1, con il Red Iveco, Yellow Iveco, poi il Mededil dei napoletani Gioffredi e Di Meglio che vinceva nella classe 3 come nella 1 contro catamarani americani che avevano il doppio della potenza degli Aifo diesel che montava, oppure come il Cesa 1882 sia nella versione monocarena che catamarano.
Quanto descritto dell’offshore e della nautica mondiale è solo una piccola parte, perché ci vorrebbe un libro per raccontare tutto e passava obbligatoriamente dalla VBV. Chi vinceva questa gara aveva la certezza, oltre che della validità del progetto, anche del ritorno in termini di vendite nel mercato mondiale e tutto perché la VBV presentava un percorso che non aveva eguali al mondo.
Infatti, se le più blasonate Miami-Nassau e Cowes-Torquay-Cowes potevano vantare una maggiore età e anche partecipazione in termini di numeri di barche al via, la prima aveva un percorso di sola andata da Miami in Florida fino a Nassau nelle Bahamas e la seconda un percorso comunque quasi parallelo alla costa, mentre la Viareggio-Bastia-Viareggio era una traversata con ritorno al porto di partenza dopo aver toccato quello della Corsica.
Anche negli anni ottanta e primi novanta, quando l’avvento dei catamarani aveva già ovunque nel mondo portato le gare a trasformarsi da altura a circuiti sempre più sotto costa e dove la Miami-Nassau o la Bahamas 500 erano scomparse definitivamente, a ricordare a tutti cosa fosse l’offshore rimaneva lei, la gara per antonomasia, dove anche la nuova generazione di piloti, quasi totalmente asettici dal discorso pionieristico, volevano confrontarsi attirati dall’emozione che poteva dare prendere il via, esserci e magari sognare di incidere il proprio nome in fondo ad una lista che faceva rabbrividire per il lustro che aveva.
Paragoni? Facile! Nell’automobilismo, la VBV sarebbe la 24 Ore di le Mans, Indianapolis ma forse più di tutte la Mille Miglia, proprio per le peculiarità del percorso da fare tutto d’un fiato da Brescia a Roma e poi ancora a Brescia come da Viareggio a Bastia e Viareggio. Per le strade d’Italia come per i mari d’Italia e Corsica.
E il pubblico, quello più interessante, vale a dire quello meno esperto, che per 364 giorni l’anno parlava di tutto fuorché di nautica, motoscafi ecc. Ma che in quel giorno masticava di eliche, carene, trasmissioni, bussole (non GPS), piloti, navigatori, star dello spettacolo o del cosiddetto jet set, termine forse oggi desueto e sostituito ampiamente dall’acronimo VIP.
Il pubblico accorreva con il cuore in gola all’accensione di un motore da 600-800 cavalli, otto o dodici cilindri che urlavano dai vani motori aperti delle barche in banchina erano alla portata di tutti: motori, barche piloti, VIP, trucks tirati a lucido o fuoribordo tenuti sullo specchio di poppa con cavi improvvisati. Potevi toccare tutto. Bastava voltare l’angolo dove c’era e c’è ancora, seppur spento, il vecchio faro del porto di Viareggio.
Nelle banchine davanti e vicine alla bella sede del Club Nautico Versilia, padre e padrone della gara e della sede distaccata della Capitaneria di Porto c’era tutto questo fruibile a tutti, dove classi sociali nettamente distanti fra loro si mescolavano senza ostacoli di pass o accrediti.
Il catamarano quadrimotore Cesa 1882 di Buzzi e Villa trionfatore della VBV del 1989.
Nel 1993, dopo la morte di Casiraghi nella sua Montecarlo, tanto era cambiato nello sport, la gara aveva resistito, unica rimasta al mondo dopo l’abdicazione anche della Cowes Classic, si stava preparando a farci assistere alla battaglia dei giganti fra i nuovi mostri di catamarani, che ormai correvano in circuito ed i vecchi nostalgici dell’offshore puro. Una libecciata un po’ più dura del solito impedì lo svolgersi della gara. Dopo 32 anni consecutivi, quello che per numerose volte la VBV aveva rischiato di subire, ora non dava scampo.
Nessun rinvio venne accettato da parte di molti piloti e dell’organizzazione che ora regolava la nuova Class 1 propostasi come l’erede delle competizioni offshore. La ghigliottina cadde inesorabile sul mito della VBV, i tempi erano cambiati. L’offshore pionieristico con il suo tocco di improvvisazione aveva lasciato il posto alle esigenze di sicurezza, ma non solo. Ora il circus, come quello della F1 automobilistica, ascoltava le campane suonate a suon di milioni dai nuovi luoghi, quasi sempre privi di memoria storica di questo sport. Viareggio in questo purtroppo si era sempre distinta per una carenza colpevole dell’amministrazione pubblica che sempre si nascondeva nel ritornello poco credibile della mancanza di fondi.
Fino ad allora aveva rimediato all’organizzazione della gara la passione profusa dai membri del Club Nautico Versilia, supportato dalla Federazione Italiana Motonautica, che ne avevano sempre permesso lo svolgimento fra mille peripezie. Ma ora che questo solo non bastava più, la città si fece trovare disinteressata al suo gioiello.
Sulle banchine delle darsene del porto a luglio non tornarono più i VIP e i campioni con i loro ultimi fiammanti gioielli o le fide barche già vecchie di qualche anno. Per un paio di anni arrivarono gli Endurance, ma non avevano i numeri per portare avanti un discorso che inizialmente parve essere interessante. Il pubblico, soprattutto quello meno esperto, si accorse subito che quelle poche barche presenti non rappresentavano più il top delle competizioni offshore e girando fra i pochi paddock davanti al Club Nautico Versilia, si chiedeva dove fossero i “mostri” degli anni prima.
Anche l’esperienza endurance durò poco e così la gara, stravolta nel suo percorso tradizionale a causa di nuove leggi francesi a protezione dei grandi cetacei marini che vietava il passaggio di gare in acque territoriali protette, si chiuse per sempre.
Da qualche anno a Cowes si è capito che si poteva fare ciò che a Brescia già da molti anni si stava facendo con la Mille Miglia storica che riscuote di anno in anno successi e risonanza a livello internazionale. Facendo risorgere la Cowes Classic nel suo percorso originale, che prevedeva il doppiaggio di Torquay e il doppio passaggio sulle turbolente acque della Lyme Bay, in Inghilterra si è riscoperto il fascino dell’Offshore.
Dopo aver vinto e stabilito il nuovo record della gara rientra in porto “l’Achilli Motors-Cadillac” di Domenico Achilli e Walter Brombin. Saranno gli ultimi vincitori.
Purtroppo in Italia il vintage in campo offshore non sta ancora riscuotendo interesse. Troppo pochi i nuovi pionieri che si stanno adoperando per salvare vecchie glorie del mare. La strangolante crisi economica certo non aiuta, ma questa è a mio avviso la strada futura da seguire per tenere alto e vivo il ricordo di questo bellissimo sport, inventato cinquantasei anni fa da annoiati yachtsmen della Florida in cerca di emozioni e di scorribande nell’oceano nel modo più veloce possibile. L’Offshore.
Auguri VBV!!!
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Gentile Massimo Fusaro,
la ringraziamo per il suo commento e per le imprecisioni di cui ci riferisce, siamo disponibili ad eventuali correzioni.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Bravi bei ricordi c’ero anch’io magari ho notato qualche imprecisione
IL vostro intervento mi dà l’occasione per ringraziarvi. Marcello per avermi spronato a fare l’articolo data la mia pigrizia patologica. E ad Alessandro e Giacomo per aver pubblicato giusto in tempo l’articolo.
Speriamo che questo sia lo spunto per iniziative più consistenti nel futuro.
Gli inglesi ancora una volta ci hanno preceduto e questo è patologico dell’Italia.
Vediamo se riusciremo a recuperare il gap ed a superarli come già successe con la Viareggio-Bastia-Viareggio con la loro Cowes-Torquay-Cowes.
Cordialmente
Marco
Cari Marcello e Marco,
siamo a Vs disposizione per ricordare la VBV, ne dobbiamo parlare preventivamente e sono sicuro che con la nostra passione potremo certamente fare qualche cosa di buono.
Un caro saluto ad entrambi.
Giacomo
Marco,
sei riuscito, come sempre, a fare una panoramica dettagliata e concentrata di quella che è stata una grande gara di motonautica d’altura. Sono sicuro che con la tua passione e quella dei tuoi amici di Viareggio, con il supporto di AMB nella figura di Giacomo Vitale possiamo provare ad organizzare qualcosa per ricordare degnamente la VBV.
Marcello